Torinesi, rapimenti, Porsche: Netflix, levati veloce
“...partite a spiegare al biondo che senza i soldi ed i sogni di Piero Dusio la loro bella Porsche non ci sarebbe mai stata….”
Cosa ci fanno i Porsche, un ricco torinese, Tazio Nuvolari e Carl Abarth in una segheria? Barzelletta anni ‘80? No. Ecco la storia di come un ricco sognatore torinese salvò Porsche Senior da un rapimento e Porsche Jr. da un fallimento. Come? Creando una bestia che cambiò il modo di fare le F1: la Cisitalia 360 Gp.
Sappiamo tutti cos’è Porsche. Imparai da piccolo ad urlare “CARRERA” seguito da modello\cilindrata\potenza ogni volta che mi passava una 911 sotto il naso. Il tutto mentre mia madre mi tirava per mano e si scusava con i passanti adducendo malattie inventate e ritardi mentali vari. E’ una storia strepitosa, quella dei Porsche, per quello che hanno portato avanti e ottenuto in campo automobilistico e non solo. Personalmente amo la loro filosofia, l’attenzione per i dettagli e la tecnica applicata alle proprie vetture. Per una 964RS venderei il c…un rene, venderei un rene.
Il talento per la progettazione arriva da lontanissimo ed è insito nel DNA della famiglia Porsche. Il primogenito della dinastia, Ferdinand, nei primi del ‘900 inizia la scalata nel mondo della progettazione di auto e arriva nel 1934 a ideare le Auto-Union da corsa che, guidate da tedeschi col nome da mafioso italoamericano tipo Rudy Caracciola, demoliscono le avversarie sulle piste di tutta Europa.
Nel 1939, Ferdinand lavora con il figlio, Ferdinand anche lui. Probabilmente Ferdinand sta a Stoccarda come Ciro sta a Napoli, infatti il figlio per tutti è “Ferry O’Tedesc”. Ferry ha talento anche come pilota, ma è come progettista che eccelle ed inizia a schizzare sul foglio di carta una promettente vettura sportiva. Purtroppo per lui arriva la Seconda Guerra Mondiale a rovinare tutto: quel simpatico mattacchione di Hitler invade la Polonia con meno grazia di Rocco Siffredi nell’invasione dell’Ungheria. I nazisti “chiedono” gentilmente a Porsche di progettare qualcosa di utile alla causa e quindi la nascente azienda Porsche si ritrova, durante la guerra, ad occuparsi di mezzi militari. Adolfo però assegna a Ferdinand un altro compito: progettare un’auto per motorizzare le masse, “l’auto del popolo”, il futuro Maggiolino.
Probabilmente se Hitler avesse saputo che nel dopoguerra, proprio il suo amato Maggiolino sarebbe diventato il mezzo preferito per sballarsi, girare nudi e fare sesso libero, probabilmente avrebbe chiesto subito scusa e si sarebbe ritirato in campagna aprendosi un Caccia&Pesca. Per fortuna gli Alleati vincono la guerra e, ovviamente, decidono di prendere il controllo delle attività industriali tedesche. Appurato che i Porsche non appoggiavano attivamente il regime (o forse fregandosene, per impadronirsi del loro know-how), gli Americani invitano Ferdinand, Ferry e l’avvocato di famiglia Anton Piech (nonché genero di Ferdinand) presso la base francese di Baden-Baden per far loro una proposta. Tipo “il Padrino” ma al posto della pastasciutta ci sono le lumache. Comunque, la proposta è la seguente: costruire il Maggiolino in Francia, come parziale risarcimento per i danni di guerra, rendendolo più baguette ma partendo dai progetti già avanzatissimi sviluppati per Adolfo. Non ci è dato sapere cosa risposero i Ferdinandi, ma Peugeot ed altri industriali francesi si opposero fermamente all’idea di avere un “competitors” straniero in casa. Risultato? I due Porsche e Piech vengono immediatamente “ospitati” nelle carceri francesi di Digione come prigionieri di guerra. Sono sempre stati simpaticissimi i francesi, vero? Porsche Junior fu poi rilasciato nel giro di qualche tempo ma Ferdinand, la “mente” dell’azienda fino a quel momento, venne trattenuto assieme a Piech. Adesso che l’ho ripetuto tre volte, vi ricorda qualcosa il cognome Piech? Dopo queste vicissitudini, il trentacinquenne Ferry deve ripartire da zero senza il suo geniale padre. Nella Germania devastata non c’è modo di trovare materiali, pezzi di ricambio, tecnici o semplici edifici risparmiati dai bombardamenti per rifondare l’azienda...
Ci spostiamo quindi a Torino, città famosa principalmente per la bellezza sconvolgente dei propri abitanti. L’Italia, grazie all’incredibile capacità di “pareggiare” le guerre, è già in ripartenza economica. In quegli stessi anni l’industriale Piero Dusio fonda la “Compagnia Industriale Sportiva Italia”, per tutti Cisitalia. Dusio è un grandissimo appassionato di auto ed ex pilota. Inoltre, l’impeccabile Piero, ha anche un’altra peculiarità: è pieno di soldi, tanto che in città si dice che che metà Torino sia di Agnelli, l’altra metà di Dusio. La Cisitalia esordisce nel tardo 1945 con la Cisitalia “Sport” su base Fiat 1000cc, ma è la seconda auto ad essere fondamentale per l’azienda: la 202. Questo modello, disegnato da un giovane Battista “Pinin” Farina, ha una linea talmente bella che oggi ne troviamo un modello esposto come “scultura mobile” al MOMA di New York. Si tratta di una coupè due posti elegante, compatta, aerodinamica, motorizzata con un 4 cilindri Fiat Balilla (che non scuoce mai) di 1089 cc da 55 cv. Il telaio tubolare è di ottima fattura: Dusio, che non è lì a pettinarsi i baffi, ha ottimi materiali a disposizione. Li ha rilevati dalle scorte di tubi in cromo-molibdeno dall’Aeritalia, azienda impegnata durante il periodo bellico nel settore aeronautico. Grazie anche alla qualità dei materiali utilizzati l’auto pesa 780 kg per 165 km/h di velocità massima. La 202 riscontra un buon successo commerciale e questo gasa il buon Dusio, che adesso è pronto per la fase due: conquistarsi un nome nel mondo delle corse.
Per farlo decide di puntare in alto: la F1, che nel primissimo dopoguerra è territorio di caccia per l’Alfa Romeo 158. C’è un altro fatto che porta Piero in piena crisi mistica. Il pluricampione Tazio Nuvolari (una sorta di Lewis Hamilton dell’epoca ma con più peli), l’unico ad opporsi alle Auto-Union nel pre-guerra, si sta guardando attorno per trovare un volante per la stagione 1947/48. Tazio al momento è appiedato. Il suo caposquadra in Alfa Romeo, un certo Enzo Ferrari, ha mollato la squadra per costruire le proprie auto ma rischia di non essere pronto ad offrirgli un mezzo competitivo prima nel 1948/1949. Dusio si vede già a capo di una “Scuderia Cisitalia” Campione mondiale F1 con Tazio Nuvolari come pilota di punta. Ma per realizzare il sogno ha bisogno di ancor più liquidità. Pierino raccimola più soldi possibili e per farlo vende nell’ordine: i denti d’oro della nonna, il femore di cromo-molibdeno del papà (già che c’era…) e la collezione di francobolli del figlio.
Per la causa, Dusio è pronto a rimetterci pure i suoi mutandoni in lana merinos firmati. A chi affidare la realizzazione dell’arma definitiva marcata Cisitalia? Come si chiama il progettista delle Auto-Union che prima della guerra stracciavano tutti? Mmm…Porsche, si chiama Porsche. Ah, Ciro? No, Ferdinand, per l’esattezza. Solo che attualmente è in villeggiatura nel carcere francese, ma forse si riesce ad intercedere col figlio tramite l’agente appena assunto da Porsche, un giovane austriaco trapiantato in Italia: Carl Abarth. Che Tazio Nuvolari conosce…
Considerati i casini in Germania, Ferry Porsche si sposta con tutta la banda. Nel 1948 si stabilisce a Gmund, ridente cittadina austriaca. Trova come sede per la sua fabbrica una vecchia segheria assolutamente inadatta ad una azienda di progettazione auto. Nessun accesso ferroviario, locali troppo piccoli, WC in amianto e scarafaggi borseggiatori. Come se non bastasse, Friedrich Weber, il proprietario della bettola (nonché carrozziere) beve come un pazzo e sul più bello entra in stabilimento senza pantaloni facendo l’elicottero. Un disastro. Ma i tempi sono quelli che sono e Ferry riparte. Nonostante il padre ancora prigioniero, ricomincia a lavorare su quegli schizzi abbandonati causa Grande Guerra. Come anticipato, si tratta di una sportiva due posti, progettata da subito per essere sia coupé che cabrio, con telaio a scocca portante e una linea filante. La meccanica del Maggiolino, opportunamente ritoccata, e (dopo un paio di prove) posizionata al contrario, quindi con cambio interno vettura e motore posteriore “a sbalzo”, consente prestazioni degne di nota.
Vi dico il nome in codice del prototipo? Porsche 356\001. Il progetto va avanti ma i soldi iniziano a scarseggiare, nonostante le prime 356 pre-serie si vendano facile a piloti che da subito le portano alla vittoria nelle gare locali.
C’è anche quella cosuccia da risolvere, cioè la prigionia del padre e di Piech. La Francia ha stabilito un “prezzo” per liberare i due: 500.000 franchi a testa. Al grido di “Libertè, Egalitè, ma no al bidè”, i francesi stanno sempre più simpatici al buon Ferry. Ma la fortuna gira: un giovane agente assunto per cercare commesse e materiali dalla vicina Italia, Carl Abarth, gli parla di un riccone torinese che vorrebbe proporgli un affare. Considerati i problemi economici in cui naviga la società, Ferry accetta al volo l’incontro con Dusio. Viene organizzato un meeting a Bolzano per parlare di questa (ed altre) idee con l’industriale italiano. Dusio, umilissimo, arriva a bordo di una Buick; Porsche, senza una lira, arriva in treno accompagnato dalla sorella e dalla madre di Piech come uno studente delle medie.
Questo incontro cambia radicalmente la storia di Porsche. Dusio porta con sé nuove idee per la F1, sviluppate con l’ausilio di Tazio Nuvolari e Piero Taruffi, altro pilota amico di Dusio. Oltre alla F1 mangia-Alfa chiede altri tre prototipi a Ferry: due vetture stradali e un trattore agricolo. Come detto, Piero si gioca tutto il patrimonio, convinto di diventare l’industriale italiano più importante. Vista la situazione economica mondiale, i due si accordano così: Porsche riceverà tranche di pagamento, ogni quattro mesi, in diverse valute. Dollari, lire italiane, scellini, dobloni di Paperopoli, ticket restaurant, CD di Gigi D’Alessio masterizzati, a Porsche va bene tutto. Cosa fa Ferry con i primi soldi ricevuti? Innanzitutto paga i francesi e riporta a casa suo padre e Piech dopo ben tre anni di prigionia. Ferdinand, ormai settantacinquenne, purtroppo porta con sè dalla “vacanza francese” anche una salute malferma. A questo punto, però, la Porsche è riunita e può ripartire sul serio. L’azienda ha la liquidità, i CD neomelodici, la 356 pronta per la produzione e diversi progetti da affrontare, uno dei quali assolutamente grandioso. Si buttano a capofitto nel progetto F1 e dopo due anni l’azienda presenta il primo prototipo, costruito tra Gmund e l’Italia, che prende il nome di Cisitalia Modello 360 Gran Premio. Che, per dirla come il nostro “Guru” Renato Pozzetto, è un mezzo “della Madonna”.
Anche dopo 80 anni l’auto in questione resta pazzesca. E’ costruita attorno ad un telaio a traliccio tubolare, il primo di questo tipo. Serbatoi della benzina ai lati del guidatore (come glielo faccio il pilota, ben cotto?) e passo abbastanza lungo da contenere motore e cambio tra i due assi, accentrando così le masse. Freni auto-registranti, ammortizzatori idraulici… Anche la posizione del gruppo motopropulsore, dietro al pilota, è rivoluzionaria in F1: hanno messo “I cavalli dietro al carro”, come ebbe a dire Ferrari. Cosa si sono inventati per muovere tutto sto ben di Dio? Ferry, evidentemente, ha un po’ di carogna da scaricare visti gli ultimi anni di patimenti e la mette tutta nel motore. Si tratta di un 1493cc, 12 cilindri, quattro alberi a camme in testa imbestialito da due compressori Roots. Lo testano, prima della messa a punto, e tirano fuori la bellezza di 385 cv a 10.600 giri/minuto. Lo scrivo meglio. TRECENTOOTTANTACINQUE CAVALLI A DIECIMILASEICENTO GIRI MINUTO. I cavalli sembrano tanti a tutti ma non a Ferry, che ha saltato per motivi di lavoro due sedute di psicoanalisi e si picchia con un martello i mignoli del piede a petto nudo. Si calma solo quando i tecnici gli comunicano la potenza stimata dopo il setup del motore: 450 cv, che su un peso di 715 kg generano un rapporto peso-potenza pareggiato solo da Superman strafatto di coca. Se mi dicessero che per farlo funzionare ci va Plutonio, sangue di vergine e capelli di pelati ci crederei senza problemi. Potrebbe bastare, so che vi ho già fatto cadere la mascella, ma c’è ancora un dettaglio tecnico che ha dell'incredibile. L’auto è dotata di cambio a cinque rapporti SEQUENZIALE collegato ad un differenziale centrale: quest’ultimo permette al pilota di passare dalla trazione posteriore alla trazione integrale in marcia, a suo piacimento. Tutto ciò nel 1949. Adesso potete rotolare per terra con la bava alla bocca, come ho fatto io.
Voi immaginate cosa può fare questa auto forgiata da Satana con l’accento di Stoccarda in mano a Tazio Nuvolari? Uno che già prendeva a scarpate le Auto-Union al ‘Ring con un’obsoleta Alfa Romeo P3? Vincere tutto ovunque, raddrizzare il Ring, volare sopra Monza e schiantare Le Mans…
Ma il destino alle volte è infame e decide diversamente. La 360GP non correrà mai, percorre solo 10km prima di essere abbandonata rotta. Questo perché, nei due anni che Porsche ha impiegato per svilupparla, Piero Dusio è andato incontro a problemi economici (dopo aver portato al suicidio decine di consulenti finanziari) che portano addirittura al fallimento della Cisitalia. Per la verità questi “problemini” portano anche alla fuga di Piero in Argentina, dove inizia a produrre, su licenza ufficiale, alcuni modelli Fiat per il mercato locale.
I ruoli si sono invertiti: Porsche è ora un’azienda solida, rispettata e con un modello, la 356, che vende benissimo e continua ad evolvere. In breve tempo arrivano anche vittorie importanti come la 24h di Le Mans nel 1951 conquistata da una 356A. In pratica la casa di Stoccarda diventa ciò che Dusio aveva sognato per Cisitalia. Il 1951 è anche l’anno della dipartita del malandato Ferdinand, giunto in tempo per veder partire le linee di produzione della sua creazione più importante: il Maggiolino.
Nel 1950 la Cooper portò alla vittoria la prima F1 con motore posteriore, prendendo dichiaratamente spunto dalla 360Gp, che viene considerata l’auto da competizione più importante della propria era nonostante non abbia mai corso. Se volete toccare con mano la Cisitalia 360Gp è conservata al Porsche Museum di Stoccarda. Davanti c’è un altare, nel caso abbiate portato con voi un capretto da sacrificare. A dirla proprio tutta, esiste una seconda 360Gp. Oltre al prototipo di cui abbiamo parlato ne fu iniziato anche un secondo esemplare da Porsche, mai completato e portato da Dusio in Argentina. Questa vettura, verniciata con i colori di Nuvolari giallo e blu, fu terminata solo grazie all’aiuto economico del presidente argentino Peyron e utilizzata dallo stesso Tazio per tentare di battere qualche record. Poi, fu anch’essa abbandonata al proprio destino in un garage di Buenos Aires.
Ci ha pensato Gianni Torelli, un italianissimo artigiano (Reggio Emilia, più o meno) dalle mani fatate a riportarla in vita dopo sessanta anni di oblio. Ci vollero 6 anni di lavoro, ma partendo da qualche lamiera, un CD impolverato di Gigi d’Alessio e da alcuni disegni originali, l’ha ricostruita interamente. Vi consiglio di farvi un giro su Youtube: ci sono diversi filmati del restauro raccontati dall’adorabile Torelli, con tanto di accensione della bestia.
Quindi, se ora un tedesco si vanta con voi della sua Porsche (ne avrebbe i motivi, ovviamente, ma chi fa lo sborone ci sta sul ca), voi non perdete la pazienza. Portatevi in posizione di coda, ad ore 4 / ore 8 (a seconda della mano preferita) e da circa sessanta centimetri fate partire un coppino ben assestato alla base del collo. Quando si gira tutto rosso mettete su lo sguardo fiero e partite a spiegare al biondo che senza i soldi ed i sogni di Piero Dusio la loro bella Porsche non ci sarebbe mai stata. Ok, forse ci saremmo risparmiati quei buondìmotta della Cayenne e della Macan, ma questo magari non diteglielo…
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