Fiat-Abarth 1000 replica

- il peso mosca che picchia come un peso massimo -

Scommetto che voi tutti conosciate le FIAT 600 anabolizzate che Abarth portò in giro per le piste a mordere le auto più grandi ma meno rabbiose. La “1000” fu l’apice nella scala evolutiva delle 600 firmate dallo scorpione. Ne abbiamo guidata una e ve la raccontiamo!

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11 gennaio 2020| scritto e pensato dalla mente malata di M.Carito | editato e corretto dal pensiero distorto di Gabry | Inquadrato, scattato, editato dalla mano mossa di Gabry

La parabola di quel genio di Karl Abarth è stata pazzesca. Lasciamo perdere per un attimo gli adesivi con gli scorpioni incollati a decine sulle FIAT più svariate, dalla 500 alla Palio Weekend. Su alcune di queste ci sono così tanti scorpioni incollati da compromettere il rapporto peso-potenza. Lasciamo stare che per anni il nome Abarth sia semplicemente svanito nel nulla, schiacciato dalla dura legge dell’economia e dall’idiozia dei proprietari del marchio. Perchè ridurre il tutto soltanto a questo, sarebbe come raccontare una storia straordinaria partendo dalle ultime 3 pagine. E qua su Ruggine cerchiamo di leggerne almeno 5, di pagine, prima di andare a letto. Facciamola breve: Karl Abarth è un vero luminare, che unisce intuizioni ingegneristiche ad una capacità imprenditoriale rara. Il tutto messo in pratica a partire dal 1949 quando, con pezzi di auto ottenuti a titolo di “pagamento” dalla Cisitalia, inizia l'avventura imprenditoriale, costruendo su questi “avanzi” una berlinetta sportiva, la 205 vestita dal carrozziere Vignale.

Beh, dai, come prima auto non c’è male Carlè...

Per ora lasciamo perdere (ma solo per questioni di tempo, che poi mi dite che scrivo troppo!) queste incredibili vetture pensate e costruite direttamente da Abarth, roba da perdere la testa. Concentriamoci su quello che ora gli esperti chiamano il “core business” (si sa che i soldi so’ piezz'e core) dell’azienda: la democrazia. Suspance, eh? Pensate sia un tipo strano? Vi spiego: Carlo è stato il primo ad intuire che bisognasse “democratizzare” la potenza. Già, perché se fino a quel momento le auto sono roba da benestanti, quelle veloci sono roba da miliardari. Ma nei primi anni ‘50 l’Italia, così come il resto del mondo occidentale, va incontro al boom economico post bellico e per le strade scorrazzano migliaia di piccole vetturette. E' gente che non può permettersi uno di quei mostruosi V12 che vedono sfrecciare alla Mille Miglia o alla Targa Florio, ma che è giustamente orgogliosa delle proprie vetturette ma che forse nutre una sana passione per le corse. Cosa facciamo, li lasciamo fuori a guardare? No! Carlo, che come detto ha il fiuto per gli affari, ci arriva per primo e si inventa un accessorio per aumentare le prestazioni dell'auto da tutti i giorni: rullo di tamburi...la “Marmitta Abarth”. Accessorio che, montato sulle innocue FIAT Topolino, aggiunge sound e qualche cavallo in più. Frazione di cavallo, non proprio un cavallo intero, un pony. Che ci sia un reale guadagno di potenza o no, è un successo clamoroso: da un lato Abarth costruisce vetture incredibili sia per le competizioni che one-off per i ricchi appassionati, dall’altro vende decine di migliaia di marmitte, un vero must per i nuovi possessori di utilitarie. Fatturando e facendo crescere l'azienda. La democratizzazione della potenza funziona, ma la vera rivoluzione arriva nel 1955, quando FIAT presenta la 600. Ora, se avete mai avuto a che fare con la FIAT 600 sapete benissimo che è quanto di più distante dalle auto sportive possa esserci. Le forme tondeggianti sono figlie di una ricerca ben specifica. Aerodinamica? No, risparmio di lamiera. Motore a 4 cilindri, chiamato “100”, studiato appositamente per la nuova nata: 633 cc per 21,5 cv di pura prepotenza e cambio a 4 rapporti. Seguendo la tendenza dell’epoca (VV Maggiolino?) il motore viene montato al posteriore, in senso longitudinale, praticamente sopra l’asse posteriore. Il motore “100” avrà una vita lunghissima e sarà fondamentale nella crescita FIAT. Verrà montato, con le opportune modifiche, anche su 127, Panda, 112 e persino, con la cilindrata portata a 903 cc, sulla Uno 45. Ok, se non vi è venuta voglia di guidarne una, capisco.

Adesso ditemi che Abarth non ci vedeva lungo
Dopo le cure del “Mago”, ecco la Abarth 750 cc

Per fortuna c’è Carlo che appena si trova la nuova nata per le mani fa la sua magia e questa volta non si ferma solo alla marmitta. D’altronde, l’Abarth sa fare ben di più di una semplice marmitta, come dimostrano le vetture che escono con il Marchio dello Scorpione. Crea un kit di potenziamento per portare il motore della 600 fino a 750 cc, creando così la FIAT-Abarth 750, la prima delle “derivate” del gruppo FIAT. Per i veri maschi alpha dell’epoca, quelli che si vogliono sporcare le mani da soli, canotta e sigaretta in bocca, Abarth tira fuori un altro coniglio dal cilindro. Dentro una bella scatola di legno mette tutto il necessario per trasformare nel proprio garage il motore della propria FIAT 600 in un 750cc e lo rinomina “Kit trasformazione 750cc”. Altro che Ikea. Inutile dire che anche di questi “kit per il fai da te” se ne vendono a migliaia, spinti anche dalle vittorie in pista delle nuove nate, tra cui alcuni record di categoria a Monza e ottimi posizionamenti alla Mille Miglia. Sulla scia di questi risultati (e dei soldi che, grazie alla pubblicità derivante, ormai in Abarth raccolgono con la pala…) Carlo continua a sviluppare la propria idea di “600”. Arriva la FIAT-Abarth 850 (cc) e con essa altri successi. Roba che ormai la FIAT stessa spedisce le scocche delle 600 direttamente in Abarth (la cui sede è sempre a Torino, la comodità prima di tutto) per farle preparare dalla squadra di Carlo. Insomma, la cosa si è fatta seria. Così seria che arriva la massima espressione della “600” secondo Carlo: la FIAT-Abarth 1000. Non si tratta solo di un motore più grosso: le sospensioni abbandonano le umili balestre posteriori a favore di un gruppo molla-ammortizzatore, così come i freni, che ora solo a disco all’anteriore e la strumentazione interna, che dispone ora anche di contagiri e di tutto ciò che serve per andare forte in pista senza mandare a fuoco il propulsore. Ve l’ho detto o no che in Abarth ci sanno fare? Non solo, le cose si sono fatte veramente serie e Abarth ci ha preso gusto a vincere in pista. Il modello, così come la precedente FIAT-Abarth 850, viene ulteriormente affinato per le competizioni, diventando prima FIAT-Abarth 1000 “TC” (Turismo Competizione) e, quando nel 1970 si è deciso di fare proprio male agli avversari, “TCR”, dove la “R” indica l’adozione delle teste radiali per il motore, liberando così 115 cv a 9500 giri al minuto dal motore, che non arriva a 1000cc. Il tutto in un’auto che pesa come me dopo le feste Natalizie, sui 550 kg. Se ci mettiamo anche i fianchetti bombati, il radiatore anteriore carenato e il cofano motore posteriore aperto per aiutare il raffreddamento (e per fare uscire lo scarico 4 in 1), beh, la modesta 600 si è trasformata in un piccolo concentrato di rabbia&cattiveria.

La 1000 TCR. Occhio che morde...

E’ come quei pugili peso mosca cresciuti a pane e calci in bocca alla romana, non so se rendo l’idea. Piccoli, ma assolutamente da non far arrabbiare. Grazie alle vittorie in pista, ai Kit di trasformazione per la 600 e per la famosissima 500 (quest’ultima elaborata su richiesta della stessa FIAT ), Abarth si crea la nomea di “Mago”, uno in grado di far andare forte anche le auto più umili. Ma ricordate, tutto parte dalla 600.

Se adesso siete corsi a cercarne una sul mercato dell’usato, beh, tornate a sedervi e mettetevi comodi: le quotazioni di questi mezzi sono arrivati alle stelle. Ma visto che vi voglio bene e non posso vedervi con le quelle faccine tristi, vi racconto com’è guidare una replica di una FIAT-Abarth 1000 nel 2020. Ok, è una replica, ma proprio per le umili origini del progetto, potreste trarne ispirazione per costruirne una in garage ottenendo una vettura praticamente uguale a quelle dell’epoca, in piena filosofia Abarth.

Oggi siamo nel cortile dei nostri “spacciatori di mezzi d’epoca” di fiducia, i ragazzi di Garage America. Perchè? Semplice, l’auto che stiamo per testare è stata costruita e messa a punto proprio qua. Luigi, detto Gigi, il proprietario/creatore, è un meccanico di Garage America e quella che borbotta al minimo davanti (anzi, sotto, è minuscola!) ai nostri occhi è per l’appunto la sua Fiat-Abarth 1000 replica. Mi gusto i dettagli mentre mi racconta di come ha comprato la “miglior 600” a prezzo umano che sia riuscito a trovare, di come l’ha smontata interamente e modificata in pieno stile Abarth e di come l’ha messa a punto. Il motore è un serie “100” preso da una Fiat Uno, 903 cc, modificato con carburatori maggiorati, lavorazione dei condotti e scarico più libero per ottenere i “circa” 60 cv disponibili sulla Fiat-Abarth 1000 originale. Sospensioni posteriori aggiornate, così come i freni, che ora all’anteriore sono a disco. Ci si poteva fermare qua, in effetti, ma Gigi non è uomo da lasciar le cose a metà. Radiatore spostato all’anteriore, dietro al tipico “muso” Abarth, allargamenti vari e cofano posteriore rialzato, oltre alla classica colorazione racing Abarth dell'epoca: “Grigio Campovolo” e rosso, con tanto di scacchiera sul tetto e scritta “Abarth” sulla rete copri radiatore anteriore. Per chiudere il tutto, cerchi da 13 pollici che riempiono i passaruota allargati. Oh, c’è poco da dire: fa scena. Per strada tutti si voltano a guardarla. Per il proprietario si tratta di un’auto tributo: suo padre da giovane lo portava a girare a Monza con la sua FIAT-Abarth 1000, originale e fatta in casa.

“Appena arrivati a Monza, mio padre toglieva la marmitta stradale e metteva su il 4-1, che usciva direttamente dal cofano posteriore, poi eliminava il getto del minimo dai carburatori. Lo toglieva proprio, per avere il massimo afflusso di benzina, per caduta. Il suo “1000” faceva più di 9000 giri!”.

Resto a bocca aperta davanti al racconto di Gigi, che ora è un uomo grande e grosso ma, mentre ricorda quei momenti, sorride come un bambino ed ha gli occhi che luccicano. La passione si sente nell’aria, è solida come la roccia ed ha preso forma nella vetturetta che vibra e scalcia davanti a noi. Tra un aneddoto e l’altro, mi racconta di come Abarth abbia inventato il colore “Grigio Campovolo”.

“Karl doveva spedire le 600 per una gara, ma la squadra era in ritardo…” Gigi inizia a raccontarmi la storia, che sembra avvincente come quelle dell’Amaro Averna: “...L’antico vaso andava portato in salvo…”

Torniamo a noi. “...insomma, Karl non sapeva come verniciarle e, ancora peggio, in stabilimento aveva poca vernice”.

Siamo ormai tutti in attesa del colpo di scena.

“Così Carlo mandò qualcuno al campo volo di Collegno per chiedere una mano, che è proprio attraversato la strada, sull'altro lato di Corso Marche, dove si trovava la sede dell’Abarth. Il meccanico torna con l’unica vernice disponibile in un campo volo negli anni ‘50, un grigio opaco senza troppe pretese. In Abarth fanno spallucce, lo allungano un pò con del bianco e ci verniciano le 600. Quelle 600 vincono, e da quel momento il colore diventa Abarth a tutti gli effetti”.

A Karl è andata bene con il Grigio Campovolo. Rende la piccola FIAT-Abarth molto seria, molto focalizzata, tipo un’arma. Ci pensano poi il fascione rosso che gira attorno all’auto, la scritta bianca “Abarth” sulla rete del radiatore e la scacchiera sul tetto ad urlare che qua si fa sul serio davvero. Muoio dalla voglia di provarla. Salto su ed impugno il piccolo volante in legno. O meglio: entro, mi rendo conto che con la giacca non riuscirei nemmeno a girare il volante, esco, tolgo la giacca, rientro, ci siamo quasi, esco, tolgo anche la sciarpa. E’ davvero minuscola, una sensazione che non si prova mai ai nostri giorni. Quasi giusta giusta. La spalla sinistra tocca la portiera, che va chiusa con una certa forza spostando la spalla stessa, per sbatterla. I pedali sembrano la radiografia di un ragazzino che ha bisogno urgente di un apparecchio per i denti: frizione ma soprattutto freno e acceleratore sono così vicini da sembrare accavallati. Quest’ultimo striscia un po’ sulla moquette rossa che riveste il tunnel della trasmissione, quando lo faccio presente a Gigi lui si china, piega la lamiera del pedale con la mano e poi mi dice: “aggiustato”. Altro che meccanici di F1, con i loro computer ed i loro dati. Sento già di volergli bene.

Siamo pronti. Premo il pulsante rosso di avvio e il motore parte. L’auto trema e freme, si và. Dai primi metri sembra un’auto facile da spostare, senza particolari accorgimenti. L’unica cosa a cui fare attenzione è il comando dell’acceleratore, che sembra durissimo e poco scorrevole, un po’ “scattoso”. “E’ la molla del ritorno, devo montarne una più morbida”. Me lo dice Gigi ancora prima che faccia qualsiasi considerazione. Ci stiamo muovendo verso una strada più interessante, ancora nel traffico, e la 1000 sembra proprio a suo agio, così mi rilasso. Non resisto (d'altronde trattenersi fa male) e con la scusa della molla poco collaborativa butto giù l’acceleratore in 2°. La 600 scatta in avanti senza alcuna inerzia e con una convinzione quasi comica. Finalmente arriviamo sulla giusta strada per un test come questo: un nastro d’asfalto stretto ma senza sali scendi, con ampie curve a vista intervallate da altre a 90°. Forse per la piccola stazza della 600, o forse perchè sono un cretino, sbaglio clamorosamente l’approccio alla 1000. Entro in una curva a sinistra abbastanza stretta, “spigolo” un po’ la traiettoria e in uscita butto giù l’acceleratore in 2°, con tanto angolo di sterzo. Il risultato è un sottosterzo talmente grande da lanciarmi nell’altra corsia. L’avantreno, ora scarico, rimbalza sulle sospensioni ed io remo col volante cercando di far curvare l’auto con il canale di scolo alla mia destra che si avvicina, prima di recuperare direzionalità. Scusa Gigi. Ok, so che il motore è appeso là dietro, semplicemente la mancanza di inerzia e le reazioni immediate dell’auto mi han fatto dimenticare che la fisica, semplicemente, non si batte. Ma io, che non sono scemo e che son sempre andato bene in educazione fisica, ora ho capito. Il motore, nonostante le piccole dimensioni, ha un carattere ben definito e non va sottovalutato, come si potrebbe fare con soli 60 cv. Che sia in 3° o 4°, se si spinge a fondo l’acceleratore, la 1000 scatta in avanti con la stessa forza, accumulando velocità sul piccolo tachimetro in modo preoccupante, tanto da farmi spesso muovere la mano verso il pomello prima di ricordarmi che, qua, la 5° non c’è. Non è un motore dall’erogazione appuntita, è più una forza che vi spinge costante con fermezza e decisione. Tipo quando tuo padre ti spingeva con una mano sulla schiena la prima volta che tentavi di andare in bici senza rotelle, con la velocità che aumenta più di quanto vorresti e tu che non sei ancora pronto.

A fine giornata, sui rettilinei, andrò decisamente più forte di quanto mi sarei aspettato: non vi dirò che velocità ho raggiunto, ma Gigi conferma la mia impressione: “L’ho spinta fino a 160 km\h, poi ho mollato. Io, non lei…”

La cosa strana, strana per davvero, è che alle mie orecchie suona come un grosso due cilindri, e non me lo sarei aspettato. Non so se è così perchè il suono proviene da dietro e arriva alle mie orecchie rimbombando sulla nuda scocca, ma è così e mi piace.

Arriva la prossima curva, un ampio curvone a sinistra con due punti di corda, perchè l’infame stringe alla fine, quando ormai credi di avercela fatta. Memore della mia unica esperienza con un’auto a motore posteriore (una Porsche 996 Carrera) freno e porto il peso davanti impostando la traiettoria con un piede sul freno. La 1000 si incolla immediatamente alla linea, in modo così repentino da obbligarmi a ridurre un po’ l’angolo di sterzo. Rilascio i freni e faccio scorrere la 1000 verso l’esterno della curva, per addolcire la traiettoria ed avere più angolo per il secondo, e più stretto, punto di corda. Quando arriva sfioro il freno, solo un po’, l’anteriore si incolla nuovamente a terra e la 1000 curva in un fazzoletto. Torno sull’acceleratore e l’auto si acquatta, accelerando e scoppiettando verso la prossima sfida. Mi accorgo che se la prima fase della curva si gestisce con il freno, la seconda si gestisce con la pressione sull’acceleratore, dando più gas quando si vuole alleggerire l’anteriore dopo il punto di corda o restando più cauti per mantenere più direzionalità e più carico sullo sterzo. E’ così naturale e istintivo da farmi sorridere di gusto. La mancanza di inerzia è inebriante e se da un lato mi obbliga a ritarare i miei punti di riferimento, dall’altro rende il processo di apprendimento veloce e immediato, senza fastidiose inerzie da tenere sotto controllo. I freni, per i termini di paragone moderno, sono appena “sufficienti”, ma su questa vetturetta sono perfettamente in grado di svolgere il proprio lavoro fino al limite del bloccaggio, come scopro arrivando un po’ troppo forte ad una curva a 90°, con il posteriore alleggerito dalla frenata che ondeggia un pochino e l’anteriore così carico da rimbalzare un po’ sulle sospensioni. Forse, se fossi davvero in vena di follie, potrei usare questo alleggerimento del posteriore per entrare in curva in sbandata, guadagnando angolo d’ingresso e sfruttando la trazione per uscire sparato, in pieno stile 911, ma non mi sembra il caso di provare proprio oggi che non ho portato le mutande di ricambio (Gigi poi è bello grosso). Lo sterzo è limpido, vibra leggermente come un allarme ogni volta che il telaio lavora, rendendo chiaro il carico laterale e soprattutto i fondamentali carichi sull’anteriore. Direi che è un’auto facile da imparare e da godersi, una volta capito come le piace fare le cose. Una volta portato il peso davanti in inserimento, l’auto curva piatta e precisa, senza alcuno scossone e senza aver mai problemi a tenere la linea desiderata, al massimo ondeggiando o scivolando un po’ sulle quattro ruote. Il motore c’è sempre, quindi non si deve pensare troppo al regime di rotazione in cui ci si trova, e ci si può concentrare solo sulle traiettorie e sulla distribuzione dei pesi. Il cambio è collaborativo ed i rapporti vanno a segno senza problemi. Mi sto divertendo a portare sempre più velocità in entrata ed a tornare sempre prima sull’acceleratore, mantenendo più alta la velocità media e cercando sempre la linea più breve che non mi faccia perdere scorrevolezza, fino a quando non raggiungo il limite. L’anteriore inizia a saltellare un pochino in entrata di curva e l’auto perde in compostezza, ma nulla di grave. La trazione, anche su asfalto sporco e logoro come quello su cui sto guidando, non è mai un problema, così come non lo è l’essere su una strada aperta al pubblico: grazie alle ridotte dimensioni si possono fare traiettorie soddisfacenti anche rispettando la propria corsia. Mi chiedo come sia guidare una TCR, con il doppio della potenza, 9500 giri\minuti, sospensioni ancora migliori e gomme più larghe. Deve essere pazzesco.

Riemergo dalla 1000 con un sorriso enorme stampato in faccia, soddisfatto e felice di questa esperienza. Guardo i ragazzi e Gigi, che mi sorride, sa cosa provo.

“Da fuori, vedendoti curvare, sembra un film accelerato! E’ bellissima, piatta e veloce!”

Anche da dentro, ragazzi, anche da dentro...

L’idea di base per questa vettura è tanto efficace quanto semplice, oggi come 70 anni fa, ed è bellissimo scoprirlo. Ok, una compatta di oggi, anche non sportiva, percorrerebbe queste strade più velocemente, ma non è questo il punto, spero lo abbiate capito.

Vi assicuro che nessuna, nemmeno quelle più sportive, sarebbe in grado di stamparvi in faccia un sorriso così grande in così poco tempo, regalandovi un’esperienza di guida immersiva, ludica e unica. Bravo Gigi, ottimo lavoro.

Ah, tanto per dirvelo, la FIAT-Abarth 1000 del servizio è in vendita...

I nostri ringraziamenti vanno a Gigi per averci concesso di spremere la sua vettura ed ai proprietari di Garage America. Oltre ad essere incredibilmente appassionati, competenti e disponibili, sono una vera famiglia con cui condividere la propria passione. Grazie, grazie, grazie.

Se avete un'auto storica da sistemare o mettere a punto, questi sono i loro contatti:

Garage America, Via San Francesco al Campo 119, Leinì.

Sito Web | Tel. 011-9974876 | Mail: garage.america@libero.it

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