Lancia Delta HF Turbo i.e. (2WD)

- La delta dimenticata -

“...140 cv a 5500 giri\minuto e 191 nm di coppia, numeri interessanti, considerando che sono superiori a quelli delle mitiche Uno Turbo, Renault 5 GT Turbo e compagnia bella. Certo, rispetto a queste “bare con le ruote" il peso aumenta di 200 kg, fermando l’ago della bilancia a circa 1070 kg, ma a livello di rapporto peso/potenza siamo più o meno nella stessa fascia. Impugno il pomello del cambio a cinque rapporti e mi avvio sulla strada, inebriato e leggermente stordito dal misto di odore olio\benzina tipico dell’era pre catalizzatore. Ho capito, forse, da dove arrivano certi racconti esagerati tramandati dall’epoca: dai vapori incombusti…”

Poche auto sono state dimenticate così velocemente come la Lancia Delta HF 2WD. La colpa, se così si può dire, è delle sorelle Integrali, veri e propri miti dell’automobilismo mondiale. Eppure la HF è stata la prima Delta sportiva: è giunto il momento di capire quanto del mito Delta sia già presente nella due ruote motrici.

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25 aprile 2023|   scritto e pensato dalla mente malata di M.Carito   |   editato e caricato dal pensiero distorto di Gabry   |   Inquadrato, scattato, editato dalla mano mossa di Sebastian Iordache e Simone Bologna

Beh, lo abbiamo fatto anche noi, inutile fare i fenomeni. Quando è stato il momento di portare su queste pagine “La ReGGGGina”, ovvero la Lancia Delta, abbiamo optato per una Evoluzione 2 (qua trovi la nostra prova completa). Benchè personalmente sia più affascinato dalla Integrale 16V, è inutile girarci attorno: la Evo è quella che, ancora oggi, fa girare più teste. Eppure, prima dell’avvento delle vistose bombature, della trazione integrale e del gorgogliante due litri turbo, la Delta si era già fregiata del glorioso suffisso “HF”, seguito dalla onnipresente, negli anni ‘80, scritta “Turbo”.

La signora in grigio che vedete in queste foto, seriosa nel suo abito grigio canna di fucile, è proprio una Delta HF Turbo 2WD, per essere precisi una versione ad iniezione elettronica. Niente carrozzeria palestrata, niente assetto rasoterra, niente interni Recaro. Sembra una normalissima LX da nonno con i cerchi della HF, vero? Vero. Eppure, vi assicuro, non va come una 1.3 lt. aspirata…

Impressioni a ruote ferme

L’auto è di Stefano e ci è stata gentilmente concessa da Paolo, titolare di Classy Car, concessionario di auto sportive e storiche sito a Torino che ne sta curando la vendita. Ho portato personalmente la HF al percorso del test, percorrendo circa 30 km dalla città al percorso su cui la proverò, in mezzo alla campagna. Carrozzeria anonima o meno, nel tragitto ho raccolto diversi sorrisi e qualche pollice su, segno che la Delta, bombature o meno, ha un posto nell’immaginario collettivo. Va bene, una 595 Abarth verde ha pensato bene di sverniciarmi una portiera su un tratto rettilineo, ma che vogliamo fare, sono ragazzi. Comunque, guardatela: è di una semplicità quasi spiazzante.

Io e il fotografo, Simone, siamo in difficoltà. Dimenticate gli iconici doppi fari tondi delle versioni 4WD, qua troviamo i due fari grossi e squadrati delle Delta non sportive, che sembrano i fari di un imbianchino. Il paraurti, poi, sembra quasi voler nascondere i fendinebbia, all’epoca un optional di quelli “giusti”, a causa dell’inclinazione. C’è solo la scritta “HF Turbo”, rosso fuoco, ad accendere i pruriti di noi appassionati. I passaruota, se si esclude un accenno di bordatura, sono piatti e per nulla muscolari, così come il cofano anteriore, liscio come un tavolino da campeggio, di quelli di plastica da aprire solo ad Agosto.

La fiancata ricorda altre 13 auto dell’epoca: vedete anche voi una Golf prima serie, o una Fiesta? La Delta HF è elegante e un po’ distaccata, come la signora dell’ultimo piano che non rinuncia ai capelli sempre in ordine e ai tacchi, nonostante l’osteoporosi dilagante. L’assetto altissimo, la vetratura generosa, la linea di cintura bassa, l’assenza di qualunque spoiler o minigonna: ora, ho capito che non si voleva esagerare, ma così è davvero troppo timida. Ci pensano i bellissimi cerchi, da 14 pollici e calzati con delle umilissime 165\60, ad attivare dal primo sguardo “l’eccitazione da Delta”, riprendendo il design delle versioni 4WD. Se sperate che il terminale di scarico ravvivi un po’ la situazione, poi, vi sbagliate di grosso. Da sotto il paraurti, un po’ più spigoloso delle versioni senza velleità sportive, sbuca una piccola uscita tonda, nulla di più. Sul portellone la scritta “HF Turbo” potrebbe aiutare nella caratterizzazione sportiva, non fosse che su questo esemplare è scolorita e quindi, al posto dell’eccitante rosso, troviamo un innocuo blu\nero. Ad osservarla meglio, però, ci sono alcuni dettagli che meritano sul serio. Detto dei cerchi, non posso che apprezzare gli specchietti retrovisori, carenati come quelli delle sorelle da rally, anche se decisamente più sfruttabili. Un’altra cosa che mi piace molto sono le maniglie, squadrate e a filo della carrozzeria: sono stranamente gustose da azionare.

Proprio dopo averne usata una mi trovo ad osservare gli interni. I sedili, senza giri di parole, sembrano presi pari pari da una Prisma: la forma è quella leggermente informe, alla Barbapapà, tipica delle berline meno sportive, mentre il rivestimento in vellutino richiama alla mia mente la Tempra con cui ho iniziato le mie scorribande da neo patentato. Una volta a bordo, però, riservano una sorpresa inaspettata: la seduta e la parte bassa dello schienale sono così cedevoli da “abbracciarmi”, lasciandomi affondare di una spanna. Per le spalle, beh, dovrò arrangiarmi. La consolle centrale e il pomello riprendono lo stile “LX”: sono un po’ dimessi, poco o nulla memorabili. Queste mie considerazioni, però, durano 23 secondi, tempo di osservare dritto davanti a me. Il volante OMP dell’epoca, non originale, è la cornice perfetta per uno dei cruscotti più belli che si potessero trovare su un’auto nel 1986, meglio di tante sportive blasonate dell’epoca. Fondo nero, scritte giallo acceso: a sinistra il tachimetro con fondoscala a 240 km\h, nella parte centrale inferiore ben tre strumenti secondari, ovvero voltimetro, quantità benzina e temperatura acqua e, proprio al centro appena più su, la pressione del turbo, circondata da una miriade di spie. Tutto a destra ecco il contagiri, con fondoscala a 8000 e zona rossa, anzi arancione, da circa 6500. Appena più in basso noto una spia gialla che, nel corso del test, avrò modo di apprezzare. Non è finita qua, perchè un po' più a destra, nella consolle centrale, ci sono altri due bellissimi strumenti analogici, rispettivamente la pressione e la temperatura dell’olio. Insomma, il cruscotto è degno di una “HF” e ti immerge fino al collo nella pura meccanica. Adorabile. 

Inserisco la chiave nel quadro, primo scatto: le spie si illuminano e le lancette schizzano in posizione, aspetto che la pompa carburante smetta di ronzare e poi, con un altro mezzo giro, accendo il motore. Già, il motore. La “nostra” HF Turbo è del 1986, primo anno di passaggio dal motore a carburatori a quello a iniezione. La HF I.E. è mossa da un 1585 cc affine a quello che esordì nella Thema due anni prima, con testa ruotata di 180°, quindi con aspirazione verso l'abitacolo e scarico davanti, iniezione e accensione elettronica IAW e turbina Garrett T2. 140 cv a 5500 giri\minuto e 191 nm di coppia, numeri interessanti, considerando che sono superiori a quelli delle mitiche Uno Turbo, Renault 5 GT Turbo e compagnia bella. Certo, rispetto a queste “bare con le ruote" il peso aumenta di 200 kg, fermando l’ago della bilancia a circa 1070 kg, ma a livello di rapporto peso/potenza siamo più o meno nella stessa fascia. Impugno il pomello del cambio a cinque rapporti e mi avvio sulla strada, inebriato e leggermente stordito dal misto di odore olio\benzina tipico dell’era pre catalizzatore.

Ho capito, forse, da dove arrivano certi racconti esagerati tramandati dall’epoca: dai vapori incombusti…

Su strada

Come ho già scritto qualche riga più sù, io e la HF abbiamo avuto modo di conoscerci durante il trasferimento. Ho quindi già preso alcuni appunti mentali, sottolineati più volte con il pennarello rosso, tanto per non dimenticarmene. Primo, per gli standard moderni non frena praticamente nulla, e questo nonostante l’impianto sia fresco di revisione. Il pedale centrale, nonostante opponga resistenza, inizia a “funzionare” dopo averlo premuto per una buona metà e anche così rallenta, più che frenare, l’avanzata della Delta. L’assetto, se non propriamente molle, è morbido e cedevole. A questo va sommata la lentezza con cui gli pneumatici, dalla spalla alta ma dalla sezione minima, trovano appoggio. Potrebbe essere abbastanza, ma non è finita qua: la scatola dello sterzo, per buoni 15 gradi di rotazione dal centro, semplicemente non fa nulla, salvo poi svegliarsi con tutta calma. Insomma, con i comandi principali c’è da prenderci la mano, o meglio, il tempo. Vanno tutti azionati con sensibile anticipo e senza pretendere chissà cosa. Beh, quasi tutti i comandi, per la verità. Davanti a me la strada serpeggia, quasi dritta, in mezzo alla campagna. Impugno il pomello e scalo in 2°: come per il resto dei comandi, anche il cambio è un po’ vago e morbido. A questo punto, a 30 km\h, affondo il pedale del gas.

Il 4 cilindri inizia a rombare a distanza, fino a quando, a circa 2500 giri\minuto, la lancetta della pressione del turbo dello strumento al centro del cruscotto “decolla” verso la metà della scala e la turbina T2 inizia a lavorare. Ora, non so se si tratta solo dell’effetto scenico dello strumento, se per il turbo-lag ben percepibile o per il modo in cui il cofano si alza sensibilmente sull’orizzonte, ma i 140 cv mi arrivano sulla schiena con una decisione inattesa. Non è veloce in senso assoluto, ma nemmeno lenta, anzi. Simone, che nella vita guida una Swift Sport ZC31S (qua trovi la nostra prova completa), ha la mia stessa impressione: “va decisamente più forte della mia…”. Quindi la signora, sotto quel tailleur da impiegata delle Poste, porta ancora l’intimo coordinato. Bene. Prima del test non sapevo bene cosa aspettarmi dalla HF. Da un lato, da buona Delta, mi aspetto vada fatta curvare sfruttando le inerzie, con un po’ di buona ignoranza nell’uso del freno in curva, magari. Oppure, vista la potenza turbocompressa e la sola trazione anteriore, mi troverò a combattere con la trazione, in stile Uno Turbo (qua trovi la nostra prova completa)? Dieci minuti di scorribande e, forse anche grazie ai fumi sempre più presenti, penso di essere arrivato ad un buon compromesso. Di sicuro non posso forzare un granchè gli inserimenti in curva: la stradina su cui siamo è sì tutta a vista, ma stretta e “bastarda”. A prima vista appare “piatta”, facile e innocua, salvo poi chiudere le traiettorie improvvisamente in uscita, o presentare un bel dosso o una compressione proprio nel momento meno opportuno. Quando provo a portare un po’ più velocità in curva, sforzandomi di anticipare la sterzata quel tanto che basta per annullare l’effetto della spalla alta degli pneumatici e dell’assetto cedevole, oltre che della scatola dello sterzo che sembra immersa nel miele, la Delta si appoggia alle ruote esterne e curva con una certa grinta. Arriva ben presto il momento in cui gli pneumatici iniziano a lamentarsi, prima gli anteriori, e poi tutti e quattro assieme. Questo segna anche il limite oltre il quale la Delta inizia a scomporsi, a perdere coerenza, con l’anteriore che resta in traiettoria solo “remando” con il volante e il posteriore in ritardo e inerte.

Con mia grande sorpresa, però, per quanto possa sentire chiaramente il telaio flettere, l’anteriore continua a scaricare a terra la potenza senza perdere direzionalità. Il 1,6 lt. è abbastanza in forma da far raggiungere velocità a tre cifre in uno spazio contenuto. I rapporti del cambio sono lunghi, tanto che la 3° è tutto ciò che riesco a sfruttare su questa strada, ma proprio per questa caratteristica la Delta ritrova parte della propria “regalità”, accumulando velocità a larghe falcate. Sinceramente, il turbo-lag è il ritardo meno preoccupante di tutta la Delta e, anzi, è meno “impressionante” di quello delle sorelle Evoluzione. Dicevo, più ci prendo la mano, e più mi rendo conto che è il ritardo di risposta del telaio, delle sospensioni e dello sterzo a dettare il ritmo, oltre che la risposta dei freni appena sufficiente. Davanti a me c’è una chicane stretta e piena di compressioni. Arrivo in 3° piena, circa 120 km\h, freno con anticipo, la Delta si “punta” in avanti, e con almeno un paio di metri di anticipo rispetto a quanto farei normalmente inizio a sterzare. A questo punto la HF prima si inclina, poi va in appoggio, il volante a questo punto diventa più “duro” e solido, e solo in questo momento il frontale si inserisce. Le ruote stridono, torno sul gas brevemente, poi lo rilascio e inserisco la seconda curva, sempre con deciso anticipo. L’HF ora è decisamente impegnata, tanto che il telaio, nel momento in cui tolgo il piede dall'acceleratore, risponde con un certo scivolamento pigro del posteriore, che in qualche modo aiuta l’inserimento. Torno sul gas con decisione, sincronizzo al meglio il lag dell’acceleratore con l’uscita della curva e la HF emerge, spinta dai 140 cv, sul breve rettilineo successivo. In tutto questo, ad ogni accelerazione, uso la spia gialla “MAX”, con il simbolo della turbina, che si accende quando il motore è nel momento di pieno carico. E’ un indicatore di cambiata perfetto: si accende, aspetto un paio di istanti e poi inserisco la marcia successiva, così che il motore sia sempre nella migliore curva di coppia. L’HF ha un atteggiamento perfettamente adeguato all’aspetto esterno: è un po’ distaccata, non le piace troppo essere maltrattata, ma una volta che si trova in ballo risponde, a modo suo e con i suoi tempi, alle richieste. Non posso continuare a trattare la signora troppo male, si offenderebbe, quindi rallento e lascio raffreddare la meccanica, mentre cerco di raccogliere le idee.

Considerazioni finali

Dico la verità, ci metto un po’ a digerire l’esperienza quel tanto che basta per esprimere un parere sensato. L’HF 2WD è esattamente l’auto a metà strada tra le Integrali e le versioni casa e chiesa. Ha un carattere sfumato, una sorta di media ponderata tra il desiderio di scatenare il turbo ed il passare assolutamente inosservata. Questo, forse, dimostra quanto la Lancia stessa non avesse idea di cosa potesse sviluppare, partendo da questa base. Al primo approccio risulta un po’ insipida, troppo normale, poco HF. Bisogna capire cosa osservare e cosa ascoltare per costruire dei bei ricordi. Esattamente come, guardandola ferma in mezzo alla campagna, mi sono “aggrappato” ai bellissimi cerchi in lega, una volta a bordo ho trovato in alcuni dettagli qualcosa di memorabile. Lo strumento della pressione del turbo, ad esempio, per quanto “inutile” è gustosissimo. Idem la spia di cambiata ante litteram, ovvero quel “MAX” riferito alla pressione di sovralimentazione, oppure il volante OMP che vibra fino a quando non l’avantreno non è carico al punto giusto. Persino i sedili, nonostante l’aspetto quasi dimesso, trattengono benino e, udite udite, ho la sensazione che siano montati leggermente più in basso dei Recaro della Evoluzione, tanto che mi infastidisce meno la forte inclinazione del volante tipica delle auto italiane del tempo. Mi rendo conto solo ora che la signora, per quanto un po’ distaccata, ha trovato il modo di lasciare qualche ricordo in me.

L’HF è esattamente ciò che ci si attende che sia: un embrione di leggenda.

Stefano, grazie mille di averci prestato la HF! E un altro enorme ringraziamento a Paolo di Classy Car, salone dove potrete trovare l’auto del servizio in vendita. E’ solo un arrivederci, perché ho la sensazione che da questa collaborazione Ruggine Magazine - Classy Car ne vedremo delle belle… 

Classy Car - Via Solero 2, Torino

IG - FB: Classy Car

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