Datsun 240z

- World War 240Z -

“La Z ora sembra decisamente diversa e mi sta piacendo molto, accucciata sulle ruote posteriori con il 6 cilindri che spinge come una locomotiva. A circa 6500 giri/minuto metto la 3°, il cambio sembra preciso nonostante la corsa “anni 70” dell’asta, la ripresa diventa meno rabbiosa ma la Datsun accumula velocità con impressionante decisione...”

La Datsun 240Z è, probabilmente, una delle auto più amate mai uscite dal Giappone. La cosa strana è che per noi italiani è praticamente un unicorno bianco, vista la scarsa reperibilità sul nostro territorio. Eppure, la nostra aspettativa nei riguardi della Z era grandissima, quasi dolorosa. E’ stato come salire, di persona, sulla macchinina che mi ha tenuto ore e ore sul pavimento a giocare, una 240Z della BBurago. Pazzesco? Sì.

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15 giugno 2021| scritto e pensato dalla mente malata di M.Carito | editato e corretto dal pensiero distorto di Gabry | Inquadrato, scattato, editato dalla mano mossa di Gabry

“Perchè proprio una Z? Beh, da piccolo avevo un modellino di 240Z, mi piaceva tantissimo, e rispetto alle altre macchinine con cui giocavo non avevo mai visto la versione reale sulle nostre strade...”

Gianni, il proprietario della strepitosa Datsun 240Z blu “Nissan 903” qua di fronte a noi, ha appena risposto alla domanda di Gabri sul motivo che sta dietro la scelta della vettura. Resto imbambolato con lo sguardo sulla scritta “240Z” sul montante posteriore dell’auto. In realtà non sto realmente guardando il (bellissimo) dettaglio, ma sto ricordando qualcosa: anche io avevo un modellino, penso BBurago, della 240Z. Grigio, alettone posteriore e cerchi sbagliati e fastidiosi, perchè già a 8 anni ero un discreto malato di auto. Mi sono sempre chiesto da dove arrivasse la mia passione per quest’auto particolare, la 240Z, e la risposta di Gianni penso possa valere anche per me: giocattoli d’infanzia. Che carrambata!

In effetti per noi italiani potrebbero non esserci altre motivazioni per essere in fissa con la coupé Datsun. Ricordo il fumetto “Wangan Midnight”, il cui protagonista, a bordo di una Z L28 biturbo, passava il proprio tempo a far garette sulla tangenziale di Tokyo, in stile Uno Turbo negli anni ‘90, ma con 600 cavalli sotto al cofano. Ricordo, penso dalle immagini dei modellini della Tamiya, le 240Z rosse con cofano nero da corsa, molto belle, e più recentemente la 240Z (bellissima) non proprio originale apparsa in Fast&Furious, ma nient’altro. Questo perché quando inizia la commercializzazione, nel 1969, in Italia ne arrivano pochissime e per le strade penso di non averne mai vista una, se escludiamo le fiere di auto d’epoca. I mercati principali di questo modello sono ovviamente il Giappone, dove è commercializzata sotto marchio Nissan, e gli USA, dove Nissan sceglie il marchio Datsun unicamente per motivi di marketing. Nissan, all’epoca, era un marchio ritenuto troppo “popolare” per una coupé sportiva due posti. La linea di questa vettura, prima vera Nissan sportiva, è opera di H.Matsuo, che dimostra di saperci fare sul serio con la matita. Il nostro eroe dichiara più volte che la linea della 240Z è nata pensando alla Ferrari 250 GTO ed alla Jaguar E-Type. Ottimi spunti, anche se io ci vedo le proporzioni della Ferrari 365 GTB/4 “Daytona” del 1968, il che resta comunque un ottimo complimento.

A qualsiasi auto si siano ispirati, in ogni caso, la 240Z e le successive sorelle 2+2 hanno avuto un buon successo commerciale nei due principali mercati di riferimento. Per me, gran parte di questo successo si deve alla linea: è bella sul serio, esotica, una vera instant classic. Non solo, grazie alle 240Z, Nissan si è tolta anche qualche soddisfazione sportiva. Se state pensando ad una vettura da pista, vi sbagliate: la 240Z vince in mezzo alla sabbia ed ai sassi il durissimo “East African Safari Rally” sia nel 1971 che nel 1973. Inoltre, nel 1972 arriva terza assoluta al Rally di Montecarlo. Non male.


Una 240Z da Safari
Al Monte del '72

Impressioni a ruote ferme

Da qualunque parte abbiano preso ispirazione, i ragazzi di Nissan hanno tirato fuori una linea semplicemente spettacolare. Quest’oggi infatti stiamo letteralmente “mangiando con gli occhi” la 240Z blu, che sta ancora sonnecchiando in garage. Garage in cui, per altro, viene custodita assieme ad una MX-5 prima serie e ad una Daihatsu Feroza da battaglia. Una discreta collezione per gli amanti del Giappone. Gianni ha comprato la 240Z in California, con all'incirca “tra i 300.000 ed i 600.000 km, credo”. Era già “abbastanza decente” in acquisto, merito del clima secco del sud degli USA che aiuta a preservare i telai e le carrozzerie dalla ruggine, ma ha comunque avuto bisogno di tanta cura per diventare quella che è oggi. Finalmente, nonostante la pandemia, il conseguente problema di reperimento pezzi e mille ritardi, quest’anno il proprietario è riuscito a portare la Z per i suoi primi chilometri su strada. L’amore che Gianni nutre per quest’auto è testimoniato chiaramente dalla quantità di informazioni che ci snocciola mentre giriamo attorno alla Datsun. La 240Z, rispetto alle successive 260Z e 280Z, è l’unica due posti secchi. Questo ha permesso ai progettisti di mantenere un passo più corto e le conseguenti proporzioni strepitose. Tra l’altro il colore “blu 903” è luminoso, profondo e sta benissimo sulle linee tese della carrozzeria. Il muso è lunghissimo, con il cofano sormontato da un vistoso rigonfiamento che dona ancora più carattere alla vista frontale, già eccezionale di suo.

Rispetto a quando l’auto è arrivata in Italia, il gruppo ruota è stato decisamente migliorato nell’aspetto dal proprietario. La 240Z è sbarcata dagli USA con i cerchi che venivano montati direttamente dall’importatore americano, degli “American Racing” da 14 pollici: sì, sono gli stessi del celebre “Generale Lee” della famosa serie televisiva anni 80 “The Dukes of Hazzard”. Son bellini, ma i cerchi Konig da 15’’ con pneumatico da 205 donano alla Z un colpo d’occhio veramente azzeccato, in pieno stile Giappo dell’epoca.

Le fiancate, a prima vista lisce come sassi di fiume, in realtà sono percorse da una nervatura che invita lo sguardo esattamente nel punto in cui i designer giapponesi volevano si fermasse: al posteriore. La vista da dietro, di tre quarti, è per me tra le migliori in circolazione. Coda tronca, lunotto posteriore discendente e una pulizia di linea eccezionale, aggressiva e bellissima. Lo “specchio di coda”, cioè il pannello posteriore dove sono incassati i fanali posteriori, è verniciato in grigio antracite: questo regala a tutto l’insieme una leggerezza assurda. Che bella è? Che dire poi del singolo scarico, tondo, che sbuca a sinistra? E la scritta sul baule “Datsun 240Z” in metallo? E le linee dello sbrinatore del lunotto, longitudinali, caratteristica che troviamo solo nella primissima serie di 240Z?

Ovunque si osservi la 240Z regala dettagli notevolissimi. Devo dire, però, che nella mia testa la Z perfetta ha un pò di aggressività in più: lip anteriore in gomma, doppio scarico sovrapposto e ala a becco d’anatra al posteriore, assetto. Ok, sono deviazioni mie, quest’auto è già eccezionale così, ma le Giapponesi chiamano subito la personalizzazione spinta. Penso che Gianni la veda come me, almeno in parte: “Vorrei abbassarla un po’, in particolare davanti, perchè così sembra un po’ “puntata” sul posteriore…”. D’altronde il modellino era decisamente assettato, o sbaglio? Parlandoci del restauro, meticolosamente catalogato passo per passo da foto raccolte in un fascicolo rilegato custodito gelosamente in studio, Gianni ci apre il lunghissimo cofano anteriore. In questo modo, ci scopre uno dei pezzi forti di quest’auto, che non è solamente bella ma ha anche ottime credenziali tecniche. Davanti a noi, montato longitudinalmente, troviamo un 6 cilindri in linea di 2,4lt che eroga la bellezza di 150 cv, non pochi per l’epoca. E’ un motore molto particolare, con scarico e aspirazione sullo stesso lato (il sinistro) rispetto alla vettura. Ha un aspetto decisamente vintage, nel senso buono del termine, con la scritta “Nissan OHC” sul coperchio della testata e i due carburatori Hitachi HJC46W da 30mm, in pratica degli SU inglesi costruiti su licenza. Gianni ha eliminato il grosso (e arancione) coperchio dell’aspirazione a favore di due filtri diretti montati sui carburatori: questa modifica regala uno splendido dettagli tecnico al vano motore. Sono sempre più convinto che, sotto questo restauro all’insegna dell’originalità, ci sia una visione decisamente simile alla mia della 240Z...E’ un motore stretto e lungo, come tutti i 6 cilindri in linea, eppure noto che il muso è decisamente più lungo del necessario, probabilmente per motivi estetici. Bravi, ottima idea.

La 240Z monta uno schema Mcpherson sia all’anteriore e al posteriore e aprendo il baule si possono vedere, sotto ad una copertura di pelle dal motivo a rombi, l’attacco delle sospensioni posteriori. Gran parte del lavoro di Gianni si è concentrato all’interno della vettura, arrivata con sedili e dettagli degni di una lotta (persa malamente) con un rottweiler. Visti da fuori gli interni ora sembrano eccezionali, ma per ora indugio ancora sull’esterno: avrò tempo dopo di guardarla bene dentro.

Le cornici dei vetri, lucidate ma non cromate, si stringono verso il posteriore con una curva deliziosa. I paraurti, per fortuna privi di quei paracolpi in “gomma Meliconi” tanto in voga negli USA in quegli anni, sono stati ricromati e sembrano nuovissimi. Bella, l’ho già detto? Ci perdiamo un po’ in chiacchiere, come d’altronde sempre succede quando si incontra un appassionato vero, fino a quando viene il momento di portare a fare un giro la signora in blu.

Dovete sapere una cosa che abbiamo notato ricorre spesso con i proprietari di vetture storiche. Quando viene il momento di accendere il motore, tutti esordiscono con un: “Non so se parte…”. Gianni fa lo stesso, noi ridiamo sotto i baffi, perchè vetture così curate si accendono sempre al primo colpo. Ed infatti, mezzo giro del motorino d’avviamento ed il 6 in linea si mette in moto e si stabilizza su un minimo perfettamente regolare. Il suono, da davanti, è quasi troppo sommesso, mentre dallo scarico proviene un delizioso brontolio. Foto di rito ed usciamo dal garage. E’ ora di guidare la Datsun quasi 30 anni dopo averla avuta come modellino. La vita alle volte non è così stronza come sembra.

Su strada

Quando finalmente entro nella Datsun mi ritrovo seduto in un abitacolo che grida “anni ‘70” da qualunque parte lo si guardi. I sedili, neri come il resto degli interni, sono morbidi ed offrono un ottimo mix tra contenimento e comodità. Il cruscotto è molto semplice: incassati dentro a due “palpebre”, simili a quelle delle Alfa Romeo del tempo, troviamo i due strumenti principali. A destra il contagiri, con la zona rossa tra i 7 e gli 8000 giri/minuto, preceduta da 500 giri di zona gialla. Sorrido, lo strumento promette un po’ di sano divertimento ad alto numero di giri. A sinistra troviamo il tachimetro, scalato in Mph, con fondo corsa a 160. Ora, 160 mph sono 257 km/h e per quanto io sia ottimista nella vita, quello della Nissan è forse un filo eccessivo. C’è però da dire che nel 1970 la 240Z era capace di oltre 200 km/h di velocità effettiva, un valore decisamente in media con le migliori sportive dell’epoca. Anche il volante ha qualcosa di simile alle Alfa dell’epoca: sarà per la forma a calice, sarà per il centro tondeggiante o per le tre razze, non saprei.

Spostando lo sguardo a destra, nella parte centrale della consolle, racchiusi in altri tre piccoli strumenti circolari, trovo la temperatura dell’acqua, la pressione e la temperatura olio e il Voltmetro. Tutto a destra l’orologio analogico che, come in tutte le vetture d’epoca che si rispettino, funziona così così. Come si suol dire, almeno due volte al giorno segna l’ora giusta… Il comando del cambio spunta dal tunnel della trasmissione un po’ più arretrato rispetto alle vetture europee del tempo: una sottile asta sovrastata da un pomello in legno piccolo e un po’ consunto. Questa è una vettura costruita con specifiche USA quindi troviamo, indicati sul pomello stesso, solo 4 rapporti più retromarcia, al posto dei 5 rapporti installati sulle vetture destinate al mercato europeo. Considerato che alcune “muscle car” avevano solo due o tre rapporti, beh, effettivamente il 4 rapporti Nissan poteva bastare per impressionare gli americani.

Afferro la maniglia della porta, posta sul bordo inferiore della portiera, e chiudo. Stringo la cintura di sicurezza, del tipo che ora si trova sui voli Ryanair, e siamo pronti. Giro la piccola chiave, dall’aspetto fragile come quella della buca delle lettere, e il 2,4lt si mette in moto senza alcuna esitazione. Le mie orecchie sono un po’ confuse, perché il suono è meno esotico di quanto mi sarei aspettato da un plurifrazionato degli anni ‘70, ma il contagiri mi regala una certezza: se non suona particolarmente bene al minimo, beh, lassù verso i 7000 giri ho il sospetto che qualcosa cambierà...Intendiamoci, è un bel suono, ma meno ricco di quanto mi sarei aspettato. Frizione giù, il pedale è morbido e gestibile come quello di una moderna vettura. Si parte. Ad andatura normale non posso far altro che apprezzare la posizione di guida. E’ tutto a portata di mano ma non per questo banale: ho le gambe distese, le braccia rilassate e la visibilità attraverso il grosso parabrezza è splendida. Freno per imboccare una curva e vengo colto da leggero panico, anche se sto andando piano: il pedale centrale risponde in modo molto spugnoso e, più che frenare, la Z rallenta. Uhm. Ok, la 240Z ha i tamburi al posteriore, caratteristica un po’ deludente viste le credenziali da sportiva che si porta dietro, ma qua c’è qualcosa che non va. Problemi di pompa, credo. Ci può stare, visto che il nostro è praticamente il primo test dinamico post restauro. Lo sterzo ha una leggera zona morta centrale ma poi risponde con una buona accuratezza ed un peso non eccessivo, anche se all’aumentare dell’angolo di sterzo si sente una inerzia inaspettata, come se si dovesse un po’ remare col volante. Sono stupito, è una sensazione inaspettata, ma credo sia dovuta agli pneumatici maggiorati da 205. Appena la strada si raddrizza, in 2° marcia, porto il motore a 4000 giri/minuto. La risposta del motore è “glassata”: il 6 cilindri risponde con una ripresa morbida, vellutata e molto costante, senza alcuna traccia di particolare aggressività. Freno, anzi rallento con tutto l’anticipo del mondo, inserisco la 240Z in un veloce destra-sinistra e l’avantreno risponde con buona prontezza, con il lungo muso che taglia in due la traiettoria desiderata. Con angolo di sterzo ridotto la sensazione di “deriva” dell’anteriore non si avverte per nulla, anzi, la Z cambia direzione con sorprendente fluidità. La pedaliera non è perfetta per il punta-tacco, cosa strana per una giapponese, ma con un po’ di esperienza in più (girando molto di più del solito il piede) riesco nell’intento: così facendo il cambio passa dalla 3° alla 2° con una fluidità godibilissima.

Continuo così ancora per qualche minuto, sfruttando la 2° il più possibile. La 3° ed ancor di più la 4° marcia sono decisamente lunghe e smorzano un po’ la spinta del 6 cilindri, che al momento mi lascia un po’ indifferente. Almeno fino a quando davanti a noi non si apre un lungo rettilineo. Seconda, accelero a fondo: sino a circa 5000 giri/minuto il 2,4 lt continua a essere pastosissimo, quasi signorile. Oltre questa soglia è come se si ricordasse che, prima di crescere come un signore posato, ha avuto un passato da teppistello. Oltre i 5000 giri/minuto il suono cambia e si trasforma in ululato deciso e ricco di toni, da pelle d’oca. Anche la ripresa aumenta, inserendo nella pastosità una nuova spinta più vibrante e decisa, con la 240Z che grida attraverso lo scarico e si lancia in avanti. La Z ora sembra decisamente diversa e mi sta piacendo tanto, accucciata sulle ruote posteriori con il 6 cilindri che spinge come una locomotiva. A circa 6500 giri/minuto metto la 3°, il cambio sembra preciso nonostante la corsa “anni 70” dell’asta, la ripresa diventa meno rabbiosa ma la Datsun accumula velocità con decisione.

Quello che mi arriva alle orecchie è un suono più di scarico che di aspirazione, mancano le note roche che di solito provengono dal cofano anteriore, e questo un po’ mi stupisce, visti i carburatori. Quando il 6 cilindri è in piena spinta è rabbioso, con un picco di potenza nei paraggi dei 6000 giri ben avvertibile ed entusiasmante, ma sembra sempre un po’ strozzato, come se volesse fare molto di più ma non riuscisse. Strano. Di fronte a noi c’è una grande rotonda e, memore dei freni “schiaccia e prega” di questa Z, mollo con grande anticipo, non prima però di dare un’occhiata al tachimetro: 90 miglia orarie. Lascio fare a voi la conversione, ma non va male la signora. Peccato che il cambio a 4 rapporti mortifichi la risposta del motore in 3° e 4° marcia, oggettivamente troppo lunghe per permettere, spesso, di tenere il motore nella zona “bulla” del contagiri. Gianni, che oltre ad amare la 240Z ama anche guidare sul serio (la Miatina l’ha portata al Ring, Imola, Mugello…) è d’accordo con me: il 5 rapporti sarebbe tutta un’altra cosa.

Messi da parte i freni, che andranno sistemati, un’altra cosa che mi lascia perplesso quando alzo un po’ il ritmo è la risposta della Z quando si cerca di mandarla in appoggio. E’ come se l’auto fosse rigida abbastanza in senso longitudinale ma non altrettanto in senso trasversale, rollando un pochino troppo sulle sospensioni nonostante in frenata o in accelerazione mostri un comportamento composto e preciso. A questo si aggiunge quella leggera incertezza negli inserimenti dovuta agli pneumatici maggiorati, rendendo il tutto un po’ meno godibile di quanto mi aspettassi. Fermo restando che i 15 pollici sono troppo, troppo belli per essere tolti, suggerisco a Gianni un 195 sullo stesso cerchio, al posto delle 205. Anche perchè, dico mentre affronto una curva sinistra, la 240Z sembra sempre troppo gommata e poco agile, ed è l’esatto opposto di ciò che mi aspetto da una vettura a trazione posteriore che pesa meno di 1100 kg. Vorrei sentirla più leggera e con un handling regolabile, tattile. Esprimo questi appunti, personalissimi, a Gianni. Lui ci pensa un po’ e poi trova la soluzione perfetta, con un pensiero laterale da applausi. Roba che non fossi impegnato a frenare abbastanza per non finire nel campo partirei con un applauso. “Sostituendo i carburatori Hitachi da 30 mm con tre Weber doppio corpo da 40 mm si spremono altri 30 cv dal motore, ed a quel punto le 205 dovrebbero essere più sensate...”. Questa mi sembra un’ottima idea, che tra l’altro conferma le mie impressioni sul 6 cilindri: se lasciato libero di respirare potrebbe dare molto, molto di più. E chissà che musiche in aspirazione, a quel punto… Continuo a guidare, cercando di tirare fuori altre informazioni da questa esperienza. Lo sterzo, se tralasciamo la sensazione data dagli pneumatici, è brillante, diretto e preciso. Se si forza un po’ di più, impegnando con più cattiveria la Datsun in appoggio, la vettura resta neutra e sicura di sé, almeno fino a quando il rollio diventa eccessivo. Mi sto godendo la 240Z, adesso che mi sono rilassato e che sto entrando in sintonia con il suo ritmo. E’, quantomeno in versione “USA”, una veloce GT, più che una sportiva da coltello tra i denti, cosa che di solito non fa per me. Eppure, il modo in cui tutta l’auto sembra tendersi e prender vita oltre i 5000 giri/minuto è segno inequivocabile che, sotto sotto, qua c’è una sportiva vera.

Considerazioni finali

Mi piace? Sì, ovviamente, ma mannaggia agli americani con questo setup è meno brillante di quanto potrebbe (e vorrebbe) essere. È veloce, facile e ricca di feedback, anche con i freni appannati da qualche difetto di “gioventù da restauro”. Procedo spedito in mezzo i campi e sento chiaramente la qualità del progetto. Si sta seduti in basso, con le braccia perfettamente piegate e ogni singolo comando ha una tattilità meccanica invidiabile, senza per questo essere troppo dura o difficile da condurre. La 240Z ha una qualità generale di guida con cui un (vero) appassionato potrebbe convivere benissimo anche nel 2021 e non mi riferisco al semplice giro della domenica. Senza considerare che per strada i passanti si voltano a guardarti con la bocca spalancata e senza contare che il semplice sedersi dentro il suo abitacolo è un’esperienza meravigliosa, speciale, grazie alla personalità carismatica della 240Z. Quando accosto e scendo non posso fare a meno di girarmi a guardare ancora un po’ la Datsun.

A questo punto però devo dirlo: una Datsun 240Z con 5 rapporti, gomme strette, 180 cv e freni all’altezza potrebbe dar vita ad un’esperienza di guida da raccontare ai nipotini. Gianni, tu che dici?

“Eh...ora vediamo…”

Ve l’ho detto che andiamo d’accordo, no?

Un grande “grazie” a Gianni, che ci ha permesso di mettere le mani sulla sua adorata (e tanto attesa!) Z. E’ un’auto splendida, e visto quando ci tiene una volta sistemati i problemini di gioventù non dubitiamo che possa diventare la migliore Z in Italia. Se poi volessi farcela provare di nuovo, così, per toglierci ogni dubbio…

Un ringraziamento speciale va a Graziano di StoreXtreme per la sua gentilezza e per la piacevola collaborazione anche in quest'avventura.

Seguite Gianni su IG e su FB: carica foto su foto della Z e di tutto ciò che la riguarda.

Instagram: La_Z_di_Artanz

Facebook: La Z di Artanz

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