Mini cooper s (r56) jcw kit

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“...la R56 sembra migliorare all’aumentare delle forze in gioco, ma lasciarsi prendere la mano senza la sicurezza di avere un impianto frenante all'altezza è pericoloso, oltre che stupido. Il telaio è quasi magico: schizza da una appoggio all’altro come un cucciolo di cane iperattivo e per quanto lo si forzi riesce a rimanere cocciutamente incollato alla traiettoria, anche quando si aumenta l’angolo di sterzo a traiettoria già impostata. Proprio per questo posso dire che quelli che come prima auto hanno una Mini Cooper S sono decisamente molto, ma molto più al sicuro di quelli che hanno fatto scuola guida su una francesina anni ‘90…”

Gli anni passano, questo lo sappiamo. Per diverse generazioni l’accoppiata 106 Rallye e Saxo VTS ha rappresentato il modo migliore per entrare nel mondo delle piccole sportive, ma adesso le prime Mini sembrano essere le preferite come “entry level” nel mondo delle auto ludiche. Ad esempio, perchè non puntare una bella R56 con kit John Cooper Works?

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29 novembre 2022| scritto e pensato dalla mente malata di M.Carito | editato e corretto dal pensiero distorto di Gabry | Inquadrato, scattato, editato dalla mano mossa di Simone Bologna

Ho un’impressione che vorrei condividere con voi, amici Arrugginiti. Mi sembra che da un po’ di tempo, a causa ovviamente dell’invecchiamento di queste ultime, le care vecchie piccole bombe, tipo le 106 Rallye & Saxo VTS (qua trovi la nostra prova), sono state sostituite come auto da divertimento a basso costo. Da cosa? Beh, dalle Mini Cooper S R53 e R56, le prime e più pure edizioni della piccola sportiva di casa BMW. Pensateci: se voi in questo momento aveste 5 o 6.000€ in tasca per una vetturetta veloce, divertente, non troppo vecchia e anche bellina da vedere, su cos'altro potreste puntare? Lasciamo da parte tutti i discorsi sull’affidabilità del motore, quando tutto funziona per bene la Mini Cooper S prima serie e il restyling turbo restano tra le più divertenti trazioni anteriori mai costruite. Abbiamo già testato la più tosta di tutte le R53, la GP1 (qua trovi la nostra prova) e ne siamo rimasti affascinati.

Veloce, divertente, tattile e con uno stile da casinaro delle superiori. E’ giunto il momento di mettere le mani su una R56, una di quelle che ha tutte le carte in regola per regalare momenti di pura gioia: è dotata del kit di potenziamento John Cooper Works, montato post vendita, quindi ha 211 cv a 260 Nm di coppia sotto al piede destro. Per la verità, da buona auto da divertimento, è stata ulteriormente elaborata con uno scarico più libero, una bellissima aspirazione AEM, una centralina rivista e, grazie ad ammortizzatori Bilstein B14 e a pneumatici semislick Yokohama, vede anche un netto miglioramento a livello di handling.

Impressioni a ruote ferme

Ammettiamolo: la R56 fa apparire le moderne Mini eccessive, esagerate, finte.

Le più recenti sembrano sforzarsi tanto solo per nascondere una forma base assolutamente inadeguata e antitetica al concetto stesso di Mini. Un po' la differenza tra Monica Bellucci e una Drag Queen, se posso permettermi. La R56 è piccola, compatta, con le semplici e geniali linee leggermente vintage ancora oggi attuali e piacevolissime. Forse appare più speciale oggi che vent’anni fa: sembra attinente al moderno concetto di restomod, anche se quando fu presentata ancora non esisteva. Gli pneumatici posti agli angoli, qua calzati su splendidi cerchi OZ da 17 pollici, regalano l’impressione esatta di quello che la R56 è: un’auto larga e corta, dall’impronta a terra importante. Questo esemplare ha rinunciato a parte della purezza nelle linee per una maggiore aggressività. Monta infatti i paraurti del restyling post 2010, un po’ più bassi e muscolosi, oltre essere stata riverniciata di un verde celebrativo preso da una versione speciale, la “World Championship 50”. Posso dirlo? Messa giù così è decisamente cattiva: sembra non esserci spazio tra una parte meccanica e l’altra, quasi fosse ricavata da un unico blocco.

E’ sinceramente impressionante, ed esattamente come le due piccole francesi di cui sopra è circondata da un'aura di libertà, di giocosità immediata, che si è purtroppo persa in moltissime auto moderne. Come avrete capito, mi piace. Il paraurti anteriore è basso e i fari ovaleggianti un po’ inclinati, in stile Porsche 997, sono leggermente più bassi della linea del cofano bombato, con tanto di riconoscibilissima presa d’aria. La fiancata è liscia e semplice, con la vetratura e il tetto che “chiudono” leggermente verso il posteriore, tocco altrettanto unico vintage, così come i passaruota allargati da archetti in plastica nera in stile anni ‘70. Dietro, poi, l’ampio e tondeggiante spoiler sul lunotto, le luci trapezoidali ai lati del baule e il doppio scarico centrale che richiama le Mini “classiche” più toste. Sapete cosa mi piace? Che il paraurti posteriore lasci intravedere parte del battistrada. Da qua, però, vedo anche l’unico dettaglio estetico che incrina un po’ il mio entusiasmo, ovvero le due finte prese d’aria ai lati del paraurti: un primo strisciante tentativo di togliere pulizia a favore del marketing?

Anche l’abitacolo è un riuscitissimo mix tra minimalismo e design nostalgico. Ok, il tachimetro centrale mi ha sempre disturbato, ma il contagiri tondo davanti agli occhi è bellissimo, così come il piccolo volante e l’ampia visuale che si gode dal grande parabrezza. Si può capire che il progetto risale a metà degli anni 2000 dalla leva del cambio: esce, lunga e esile, dal pianale come si usava una volta, quando la consolle centrale delle auto non era alta cinquanta centimetri. Il pomello in carbonio della JCW è lucido e decisamente hi-tech rispetto al resto e, da quanto mi dice il proprietario Antonio, è un pezzo molto richiesto dai malati di Mini, che sono una discreta quantità.

Antonio, tra l'altro, è la seconda auto che ci presta per un test: oramai quasi due anni fa ci diede la sua Mitsubishi Colt CZT (qua trovi la nostra prova), e non lo ringrazieremo mai abbastanza per essere stato uno dei primi a credere a noi. Ora che sono seduto all’interno sono stupito di riscontrare che, rispetto alla R53, i sedili sono montati leggermente più in alto. Ok, gli interni beige non sono propriamente sportivi, ma appena il 1,6 turbo si mette in moto con un suono scoppiettante e indaffarato smetto di pensarci.

Su strada

Sono sempre più convinto che la Mini sia la degna erede spirituale delle 106 & Saxo.L’ho comprata tanto per, volevo venderla subito, ma è troppo divertente…”.

Ecco, questo è il fulcro del discorso, confermato anche dalle parole di Antonio, che tra le altre cose… ha anche una 106 Rallye. La verità è che queste auto sono pervase da un senso di agilità e reattività che le rende dilaganti, in quanto ad entusiasmo.

L’acceleratore incernierato in basso è tattile, granuloso, ed è la porta di ingresso ad un motore, tristemente noto per la sua fragilità, che in questo momento risponde reattivo, pronto al divertimento. A proposito di fragilità, la vettura tra poco verrà forgiata e potenziata, alla faccia del “volevo venderla…”. Ma torniamo alla Mini. Come detto, la posizione di guida è leggermente peggiore di quella della R53 ed è un peccato, perchè il volante della dimensione giusta è esattamente dove dovrebbe stare. Già che sto criticando i sedili, devo dire che la pelle e la conformazione dello schienale lo rendono scivoloso e poco contenitivo, tanto che mi ancoro un po’ con il ginocchio destro alla consolle ancora prima di iniziare a darci dentro. Il cambio è contrastato, duro (potrebbe dipendere dalla frizione in rame di questo esemplare) ma abbastanza veloce, mentre il pedale del freno è posizionato perfettamente per dei gustosissimi punta-tacco in scalata. Curva a destra, lo sterzo in ingresso è tattile e reattivo, facendomi sentire tutto quello che passa sotto le appiccicose Yokohama, ma quando ritorno sul gas il controllo di trazione seghetta la potenza.

Strano, perché non ho accelerato con aggressività, quindi decido di escludere subito l'elettronica guastafeste. E’ un po’ che non guido una compatta sportiva e vengo subito travolto da quella smania di divertirmi che le migliori piccoline riescono a instillare dal primo istante. Così spalanco il gas e mi godo il suono maleducato del 4 cilindri turbo, che spinge sino a 6000 giri in modo costante, riempiendo perfettamente i rapporti del cambio e facendo accumulare velocità alla piccola Mini con decisione, in particolare in 3°. Frenata decisa, non mi ero reso conto di quanto stessi andando forte, inserisco, lascio scorrere la Mini e quando torno sul gas l’avantreno sbanda un pochino sotto l’effetto della coppia. Ecco, la prima e forse più importante differenza tra la R56 e la R53 è già emersa: la più anziana, volumetrica, ha una erogazione più appuntita e la coppia crescente sembra quasi accompagnare il riallineamento del volante, permettendo di dosare con meno stress la forza del motore. La R56 invece, sotto l’assalto della turbina, è quasi eccessiva nell’erogazione della coppia, che arriva sotto forma di un “botta” piuttosto che di una curva crescente. Prevedibile, così come era prevedibile il cambio di suono del 4 cilindri: al posto del singolare e caratteristico miagolio da gatto in calore della R53, la R56 si esibisce in una performance più roca e baritonale.

Non ci metto molto ad alzare un pochino il ritmo. A pieno carico il 1,6 lt. turbo fa valere i suoi 210\220 cv e accelera con decisione, ma senza quella sensazione di essere “troppo” per le strade pubbliche. Inaspettatamente, in accelerazione la R56 continua a pretendere il massimo impegno, non permette di rilassarsi: l'avantreno è iperattivo e segue la "schiena" della strada, obbligando a tenere ben saldo il volante. Un’altra cosa che subito salta alla ribalta è la carreggiata larga in rapporto al passo. La Mini va in appoggio in un attimo, complice sicuramente anche l’assetto e la gommatura estrema di questo esemplare, ma è proprio una questione di leve: tu curvi, lei si appoggia sulle ruote esterne e cambia direzione, con il posteriore che è “fuori” dalla curva prima di quanto ti aspetti. Inizio a prenderci la mano, alternando sequenze di curve con il coltello tra i denti a momenti di riflessione. Il posteriore sembra piantato a terra, si smette velocemente di preoccuparsi di lui, e l’avantreno una volta messo sotto carico è sicuro e stabile, eppure in uscita dalle curve più strette la coppia riesce spesso a prendere il sopravvento, obbligandomi a gestire il pedale del gas con un’attenzione maggiore di quanto mi sarei aspettato. Ok, un differenziale autobloccante qua manca, a conferma di come un’anteriore sportiva non possa farne a meno, in particolare se turbocompressa. Per la verità le JCW avevano in opzione un autobloccante, che mi sento di raccomandare: la R53 GP1 faceva lavorare il proprio Torsen in maniera egregia.

Appena però le curve si fanno più aperte la R56 ricomincia a brillare: l’avantreno si inserisce con pochissimo sterzo e in uscita i problemi di trazione spariscono, lasciando spazio ad una efficacia decisamente impressionante. All’aumentare del ritmo inizia a venire fuori una certa eccessiva rigidità di fondo dell'anteriore, che istintivamente mi suggerisce di scegliere le traiettorie più “pulite” ed evitare i tagli sui bump più estremi. Si sfrutta la carreggiata larga quasi come se fosse una sportiva di caratura maggiore, piuttosto che lanciarla fregandosene della conformazione della strada, come invece si può fare con le compatte di estrazione rallystica. Oltre questo sta anche venendo fuori un problema che, con le Mini, incontro sempre: è successo con la R53 GP e sta accadendo anche adesso. All’aumentare del ritmo, in particolare con auto che hanno un avantreno granitico in ingresso e un posteriore che tende a seguire senza problemi, mi piace usare un pizzico di “trail-braking”. Per dirla come mangiamo, dopo aver dato una bella “pestata” sui freni in rettilineo continuo a frenare poi fino al punto di corda, cercando di tenere il posteriore il più “leggero” possibile, per accelerare a fondo una volta al punto di corda. Ecco, l’impianto frenante della Mini non ama per nulla questa tecnica, nonostante il suo più grande estimatore fosse un certo Jim Clark, inglesissimo pilota di F1 degli anni ‘60.

La R56 inizia ad allungare gli spazi di frenata e il decadimento è repentino, tanto che attraverso il pedale posso sentire le pinze stringere il disco disperatamente ma non riuscire a frenarlo come dovrebbe. La soluzione è lasciar correre un po’ di più l’auto, la R56 lo permette assolutamente, ma ci sono alcuni tratti del percorso in discesa e inevitabilmente il ritmo ne risente, perchè la mia fiducia è scesa di un paio di tacche. E’ un peccato: la R56 sembra migliorare all’aumentare delle forze in gioco, ma giocare con queste forze senza la sicurezza di avere un impianto frenante all'altezza è pericoloso, oltre che stupido. Il telaio è quasi magico: schizza da una appoggio all’altro come un cucciolo di cane iperattivo e per quanto lo si forzi riesce a rimanere cocciutamente incollato alla traiettoria, anche quando si aumenta l’angolo di sterzo a traiettoria già impostata.

Quando il ritmo si fa decisamente alto, in particolare adesso che cerco di concentrare la frenata solo nella fase di avvicinamento alla curva, quindi a ruote dritte, devo porre ancora più attenzione allo stato della strada, pena strattoni e correzioni sul volante. E’ come se la geometria dell’anteriore, così focalizzata su agilità e aderenza, vada in leggera confusione in caso di asfalto rovinato o ondulato. Nulla che non si possa correggere, ma manca quella capacità di attaccare sempre e comunque delle migliori compatte. Penso sia il prezzo da pagare per l’incredibile capacità di inserimento che la Mini sta sfoggiando in lungo e in largo. Più spingi e più si percepisce larga e piazzata e persino quando finalmente smusa un po’ si tratta solo di una sfumatura, più che una resa, una sorta di avviso ai naviganti. Se proprio vogliamo fare i pignoli preferirei un posteriore un pelo più libero, in particolare nella fase in cui si passa dal freno al gas, così da ridurre la problematica relativa alla mancanza del differenziale autobloccante con ruote più dritte al momento del ritorno sul gas, ma stiamo davvero parlando di dettagli. La R56 è una delle compatte più furbe, divertenti e funzionali mai costruite. Ed è pure bella. Fate voi.

Considerazioni finali

La Mini è sempre la Mini: immediata, capace e leggermente scatenata, è la rappresentazione automobilistica del senso di libertà che abbiamo provato in gita scolastica a 17 anni. Resta ancora oggi, anzi, ancora di più oggi, una boccata d’aria fresca nel mare di proposte moderne figlie del marketing, anestetizzate e anestetizzanti. Non è perfetta: perde coesione sui fondi più sconnessi e i freni, anche con il kit JCW, sono insufficienti per il ritmo che tutto il resto dell’auto sembra desiderare. Per quel che mi riguarda il differenziale opzionale è assolutamente da prendere in considerazione, ma altro non mi viene in mente. Ok, il motore spesso implode, ma non pensateci troppo, nessuno è perfetto.

Andate, ragazzi, prendetene e godetene tutti!

Un gigantesco ringraziamento a Antonio (Parry_088 su Instagram, seguitelo!): per la seconda volta ci ha prestato una sua auto, ed è sempre un grandissimo divertimento. Grazie mille!

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