fiat barchetta
- a nozze coi fichi secchi -
“...sono solo, per l’ultima volta, con la Barchetta. Davanti ho una decina di chilometri di strade conosciute, asciutte e quasi deserte. Quello che segue è una guida fatta di correzioni, compromessi, calcoli strutturali fatti a mente ma anche un certo fluire di azioni/reazioni, input, cose fatte bene e cose fatte male.
Insomma una esperienza. E, in quanto tale, memorabile…”
La Fiat Barchetta: ovvero, quando a Torino c’era voglia di stupire, di essere orgoglio e orgogliosi. E’ ora di provarne una a fondo, giusto per capire se quei due o tre (mila) pregiudizi che anche io nutro nei suoi confronti siano reali o, anche lei, sia una meraviglia se vista con gli occhi del 2024.
Ognuno di noi vive in modo diverso un oggetto, un luogo, un suono o un odore. Tutto dipende, spesso, dal primo incontro con quel qualcosa. La bellezza di essere giovani tele bianche su cui il destino può scrivere l’incipit della vita che sarà. Se fossimo uccelli appena usciti dall’uovo potremmo chiamarlo imprinting. Ad esempio, la vettura che sto per provare, per me e penso solo per me, ha un retrogusto pistaiolo. Ed è molto controcorrente, come retrogusto, perché parliamo di una mezzo il cui club si fa chiamare “Barchettisti Sabaudi", manco fossero appassionati di carrozze con cavalli, di caccia alla volpe o di parrucche improbabili. Insomma, per il resto degli appassionati è una delle auto più distanti da cordoli & affini. Questo perché, ancora minorenne, una delle prime immagini che ricordo di quest’auto fu di un esemplare rosso, alleggerito, svuotato, con il frontale verniciato di nero che riportava la scritta “Kissed by the Nurburgring”, chiaro segno di un trackday finito maluccio. Inutile dire che la adoravo. Per tutto il resto del mondo, invece, questa è la tipica cabrio da passeggio. Certo, ha un certo numero di appassionati, ma non ha mai attirato gente attenta alle capacità dinamiche, anzi: nella maggior parte dei casi si tratta di persone con la panzetta e la calvizie in stato terminale che tentano semplicemente di darsi un tono, magari post-divorzio, proprio regalandosi una cabrio. Rischiando, per altro, così la morte per sciatica fulminante. Ora, però, ho anche io 40 anni, ed è giunto il momento di capire dove sta la verità: la Fiat Barchetta è una sportiva che ha sofferto di brutta pubblicità, al netto della scheda tecnica, oppure spingerà anche me a scrivere frasi sgrammaticate su Facebook usando come immagine profilo una foto in primissimo piano con un paio di occhiali da sole imbarazzanti? I dubbi crescono già dai primi minuti con Norman, il proprietario della barchetta arancio Aragosta che guiderò, perché non corrisponde per nulla all’immagine del proprietario medio di Fiat Barchetta, anzi. Sì, è un maniaco dei dettagli e mi parla con trasporto della ricerca della sua spiderina, ma è anche un tester auto di professione e uno dei suoi ultimi lavori riguarda niente popò di meno che la Maserati MC 20.
Norman si è fatto accompagnare da Francesco, che ci ha portato una Barchetta Giallo Ginestra già restyling, giusto per approfondire la storia della Barchetta toccandola con mano. Ok, lui rientra più nello stereotipo: età matura, polo, modi educati… ma tempo un caffè e mi racconta di avere una Ferrari 430, di adorare la sua Diablo (qua il nostro test della Diablo!) e che il PDK della sua Porsche 992 è il miglior cambio automatico mai provato. Ah, la Ferrari 512TR, che usa troppo poco, è una delle sue Rosse preferite.
Il mistero attorno all’utente tipo della Barchetta si infittisce, roba da farci una puntata speciale di quei programmi tutta cronaca nera e ansia all’ora di cena.
Una cosa tipo “Chi la Guida?”
Impressioni a ruote ferme
La storia del progetto Barchetta, se siete un po’ nerdacchioni in fatto di auto, è piuttosto gustosa. E’ una storia che più italiana di così non si può, fatta di quella maledetta capacità nostrana di fare le nozze coi fichi secchi, come direbbe un nonno di provincia. Traduzione: creare un prodotto incredibilmente riconoscibile usando, per la maggior parte, pezzi trovati in catena di montaggio, tantissimo stile e ingegno, ovviamente con un budget limitato. Per farla breve, la piattaforma della Barchetta è quella della Punto 1° serie. Mettetela una di fianco all’altra, guardatele bene, e ditemi se non è un lavoro incredibile.
Se volete sapere di più sul Tubo potete trovare interi documentari e spiegoni vari di chi questa vettura l’ha pensata e prodotta, e fidatevi, ne vale la pena. Ai miei occhi, oggi più di ieri, in considerazione della fine che ha fatto Fiat e il mercato dell’auto in generale, la Barchetta appare un prodotto interessante. E questo, lo ammetto, nonostante non mi sia mai passato per la testa di comprarne una, dato il mio stile un po’ più, come dire, verace. A Essere sinceri la mia ragazza ne desidera una: ama le piante e la meditazione e trova la Barchetta un bell’oggetto. Capite cosa intendo? Su questo non posso darle torto, perché ad averla davanti non si può negare che è un insieme di dettagli, di curve e di scelte, tali da renderla da subito una vera e propria classica.
I fari carenati un po’ Fiat Coupé, la linea laterale, i passaruota ben cesellati, i quattro fanali arrotondati, gli specchietti in stile Porsche 964. Su tutto, la dimensione minuscola, basta un solo sguardo per abbracciarla tutta. A guardar bene c’è un sacco di lavoro, roba da renderla completamente impensabile, a livello di economie di produzione (maledette), nel 2024. Piccolo inciso, furono vendute la bellezza di (circa) 60.000 Barchetta in 10 anni di produzione, alla faccia degli esperti di marketing. Giusto per ricordare a tutti che quelli con la calcolatrice in mano, che di lavoro rovinano i sogni dei creativi, spesso hanno torto. Ma torniamo a noi, perché come sovente accade mi fisso su alcuni dettagli: nel caso della Barchetta la forma, leggermente concava tra i passaruota posteriori, del baule. Bellissima superficie.
Ci sono anche parti che non mi fanno impazzire, tipo il paraurti anteriore che, invece di finire con un bel lip deciso, fa una curva verso l’altro, perdendo di decisione e definizione proprio in uno dei punti più importanti per il carattere di un’auto. L’Arancione Aragosta di questo esemplare, tra le altre cose, è speciale, perchè è la stessa tinta che Lamborghini usava sulla Miura, tanto che Bertone dovette fare una telefonata a Sant’Agata Bolognese per chiedere il permesso per utilizzarlo, giusto per non beccarsi poi una denuncia. Mia opinione personale, questo colore sta benissimo sulle linee della Barchetta. A questo punto non resta che sedersi in auto, ed è proprio nell’aprire la portiera che si scopre il dettaglio più gustoso, per me (e Norman) della Barchetta, ovvero la maniglia a bacchetta. Premi il pulsante e la maniglia ti si porge, in automatico, verso il palmo della mano, sotto forma di una sottile e delicata bacchetta di metallo lucido. La tiri e la portiera si sblocca. Stile a palate.
Proprio questi dettagli sono quelli di cui parlavo prima, piccoli tocchi di genialità italiana, capaci di dare un senso al tutto, e stic@zzi se sotto c’è una Punto. Salgo a bordo e riconosco tocchi di Magazzino Ricambi Fiat ovunque, dai sedili e dal volante in stile Coupé al pomello del cambio che sembra preso dalla Marea, così come i vari pulsanti. Eppure tutto funziona, in qualche modo. Anzi, proprio in questo modo, quello tipico delle migliori Fiat, dal gusto un po’ economico e senza pretese ma anche incredibilmente funzionale e, proprio per questo, capace di mettere subito a proprio agio. Panda Docet.
In particolare la strumentazione circolare e con il contagiri, più piccolo e proprio al centro, è davvero piacevole, un po’ Duetto se vogliamo. Ci si cala in abitacolo con un movimento di gamba\anca\gamba dal tipico gusto delle sportive di una volta, cosa che mi fa felice all’istante. Il sedile non si può abbassare e il volante è leggermente troppo in basso, in stile Mazda Mx5. La cosa mi infastidisce doppiamente, perchè in effetti il difetto è amplificato dalla forma stessa del volante, che nella parte posteriore fa una vera e propria curva verso il basso, bruciando così senza motivo preziosi centimetri tra la corona e le mie cosce.
Si sta seduti un po’ troppo in alto, a causa dei sedili un filo troppo imbottiti, ma con a pochi centimetri dalla mano destra il corto cambietto a cinque rapporti e con una visione della campagna circostante quasi panoramica. Mi sporgo, prendo il bordo superiore della portiera e la richiudo con un suono metallico a pochi centimetri dalla mia spalla sinistra. Chiave nel blocchetto, mezzo giro e il bialbero da 1.8 lt. capace di 130 cv, lo stesso che troviamo nelle Fiat Coupe più lente, parte all’istante. Prima dentro, ci siamo.
Su strada
Parto subito con una grande ammissione. Ecco, nonostante oramai veleggio verso i 150 test, non so bene come gestire quello della Barchetta. Di solito accendo e, su un tracciato come questo, che conosco a menadito, inizio semplicemente a darci dentro. Il fatto è che l’arancione Fiat su cui mi trovo non ispira propriamente guida nel vero senso della parola, anzi. Persino a velocità modeste posso sentire chiaramente il telaio flettere all’altezza dei montanti, proprio sotto al parabrezza, con tanto di scricchiolii di protesta che arrivano dalle plastiche del cruscotto. Lo sterzo è tranquillo e leggermente disconnesso ai piccoli angoli, il cambio ha un'azione solida ma dai tempi leggermente dilatati e il motore, nonostante un piacevole suono roco, è castrato da rapporti palesemente lunghissimi. Quanto sono lunghi? Beh, come scopriremo tra poco, la 3° è buona per 140km\h di tachimetro, e nemmeno tirandola a limitatore.
In effetti tutto sembra invitare ad una certa rilassatezza nei modi, ad un bell’aperitivo in riva al mare, ma purtroppo (e per fortuna) su Ruggine c’è una certa etichetta da rispettare. Approfittando delle esigenze video\foto inizio a fare su e giù per un tratto tutto curve e controcurve e, passaggio dopo passaggio, aggiungo km\h sul tachimetro, pressione sul freno e input di sterzo sempre maggiori. Nonostante gli evidenti limiti strutturali la Barchetta continua ad assecondarmi, inserendosi in curva con una certa prontezza e aggrappandosi alla traiettoria impostata, più o meno. La piccola Fiat, in questi momenti, ha però un grandissimo alleato, uno di quelli che nei film d’azione arriva quando tutto sembra perduto, cambiando le sorti della battaglia. Questo alleato si chiama “Leggerezza”, non proprio un nome da eroe macho, ma tant’è, è perfetto per il 2024 dove anche nei film d’azione l’eroe è bisessuale, porta con disinvoltura il rossetto e sicuramente è di una qualche minoranza etnica. La Barchetta è leggera, per gli standard moderni quasi anoressica, con i suoi 1060 kg dichiarati, caratteristica che la rende, pur nelle difficoltà telaistiche, sempre in qualche modo prevedibile e capace di togliersi dagli impicci. Il bialbero cambia leggermente carattere oltre i 4500 giri\minuto, quando il variatore di fase decide di dare una mano. La lancetta nel piccolo contagiri, a voler proprio insistere, sale oltre i 6500 giri\minuto, regime oltre il quale non ha senso continuare ad insistere. Tanto che, dopo aver “riempito” il tachimetro un paio di volte (per dovere di cronaca), per tutto il resto del test mi limiterò a usare i regimi intermedi, sfruttando la modesta ma volenterosa coppia del motore.
Primo, perché quando tiro troppo le marce mi sembra di violentare l’anima tranquilla della Barchetta, e secondo perchè il motore non regala particolare piacere agli alti regimi, nonostante la fasatura variabile. Ma l’ho spiegato prima, la Barchetta è un prodotto nato sul concetto di sfruttare quello che si ha, senza lamentarsi, ed è una filosofia che rispetto da sempre. Quindi mi rimbocco le maniche e, piano piano, prendo il giusto ritmo tra flessione del telaio in inserimento, leggera pigrizia dello sterzo e acceleratore, questo sì, ben regolabile. Il sottosterzo è dietro l’angolo, ma un po’ come nella rivale dagli occhi a mandorla Mx-5 il segreto sta nel curare la traiettoria, dare meno sterzo possibile e frenare giusto l’idispensabile, magari facendo un po’ di trail-braking, senza esagerare però. In particolare c’è una curva veloce a destra, che affronto ad una velocità a 3 cifre, dopo la quale bisogna frenare con decisione per una 90° sinistra, in contropendenza. Arrivo, gas a tavoletta, al quarto tentativo non alleggerisco neanche, punto solo a dare pochi input di sterzo e una buona traiettoria. La Barchetta rolla, il telaio flette e poi, quasi a ritrovare compostezza una volta appoggiata sulle ruote esterne, sembra “raddrizzarsi” regalando qualche ulteriore grado di rotazione. Gas sempre a fondo, con lo sterzo continuo a correggere leggermente la traiettoria, appena ho le ruote dritte freno con forza. Da buona Fiat il muso picchia verso terra e il posteriore serpeggia leggermente, inserisco la seconda curva a sinistra con ancora un filo di freno, sottosterzo, apro un po’ lo sterzo e poi giù il gas, in 2°.
Gli pneumatici strillano e protestano, ma devo dire che provo dell’insolito piacere nel gestire la diffusa quantità di mancanze in termini di pura prestazione. Ora, so di essere un po’ troppo filosofo de noiartri, ma ho sempre preferito andare piano, ma sentire di riuscire a sfruttare 8\10 di una vettura lavorando duramente, che andare fortissimo e sfruttare 5\10 di un'auto troppo potente, veloce, grossa e ipertrofica per le strade reali. E, anche peggio, che mi taglia anche fuori dal flusso uomo-auto di cui sono fatte le migliori guidate. Ci fermiamo un attimo e Norman coglie l’occasione per scendere dal sedile del passeggero. Ancora un paio di foto, servizio finito. Anzi, ci siamo dimenticati la ripresa POV dell’esperienza di guida, quella che trovate nel video test (su IG e Youtube). Sono solo, per l’ultima volta, con la Barchetta. Davanti ho una decina di chilometri di strade conosciute, asciutte e quasi deserte. Quello che segue è una guida fatta di correzioni, compromessi, calcoli strutturali fatti a mente ma anche un certo fluire di azioni/reazioni, input, cose fatte bene e cose fatte male.
Insomma una esperienza. E, in quanto tale, memorabile.
Considerazioni finali
No, la Barchetta non è un’auto per appassionati di guida nel vero senso della parola. Flette e si contorce, il motore non è nulla di speciale e i rapporti del cambio sono assurdamente lunghi, se ci si vuole divertire. Eppure, se come me siete un po’ stufi delle auto sintetiche, insapori e imbruttite che ultimamente ci vengono propinate, in qualche modo la spiderina Fiat riesce ad essere una boccata di ossigeno. Non vi farà scendere tremanti di adrenalina e no, per quanto possiate sentirvi in vena e per quanto vi impegnerete a fondo non avrete mai un ritmo all’altezza di una sportiva mediamente dotata ma comunque, alla fine del test, appoggiato ad un muretto con davanti la Barchetta che ticchetta raffreddandosi spandendo nell’aria odore di pneumatici caldi e freni messi alla frusta, non posso fare altro che sorridere. Questo qualcosa vorrà pur dire.
E comunque, con lo stesso telaio, a bordo di una Punto GT (ecco il nostro test!) sarei andato più piano e mi sarei divertito molto meno.
Hold my beer.
Un grandissimo ringraziamento a Norman per la disponibilità e a Francesco per la compagnia, è stato molto divertente!
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