lamborghini diablo

- Un giorno tra i Tori. parte 1: La Diablo -

“...siamo a 5000 giri\minuto ed il mio cervello mi dice che può andare bene così, ma questa volta lo ignoro. La strada davanti a noi si sta rimpicciolendo per la velocità, e proprio quando penso di averne abbastanza la spinta cambia ancora. La coppia rotonda lascia spazio alla cavalleria appuntita, la spinta morbida e decisa ora è solo violenza, le mie pupille si dilatano ed il suono è follia. Le note alte prodotte dal V12 sovrastano il rombo cupo, in una sorta di picco sbraitante, un urlo vero e proprio che diventa sempre più sottile, penetrante, e sembra sfidarmi a tenere giù quel pedale ancora e ancora. Non guardo il contagiri, non posso staccare gli occhi dalla strada, ma la rotonda si avvicina ad una velocità preoccupante…”

Ci sono auto incredibili, veloci, bellissime, da sogno. E poi ci sono quelle dieci, dodici massimo, che non riesci nemmeno a sognare di poter guidare. La Lamborghini Diablo, se siete figli degli anni ‘80, è sicuramente una di queste. Lo dico: ne ho guidata una. Ecco il tentativo di descrivervi l’esperienza, sperando di essere riuscito a portarvene almeno una frazione...

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27 agosto 2021| scritto e pensato dalla mente malata di M.Carito | editato e corretto dal pensiero distorto di Gabry | Inquadrato, scattato, editato dalla mano mossa di Gabry

Uno dei momenti più surreali con Ruggine Magazine si può riassumere così: “Emilio, mentre Gabriele finisce le foto all’arancione, che dici, iniziamo il test con la gialla?”

Ci troviamo in una splendida acetaia nell’incandescente provincia di Modena, perfetta per le foto statiche delle vetture di oggi, un posto fantastico con un proprietario dall’accoglienza tipicamente emiliana: siamo partiti da “bottiglietta d’acqua?” e siamo finiti tra bocce di vino, chiappe al vento (femminili) e sgasate a 12 cilindri. Più emiliano di così si muore. Io, però, oggi mi sono tenuto sobrio e concentrato come un Corazziere davanti al Quirinale: stamattina le cose sono serie come non mai. Volete sapere cosa mi ha tenuto lontano da quel vinello fresco nonostante i 35° gradi di temperatura atmosferica? Semplice, “la Gialla” di cui sopra è una Lamborghini Diablo che ci sta guardando male da inizio giornata, quasi a valutare se i nostri testicoli producono abbastanza testosterone per portarla in giro. Per non mostrarmi intimorito faccio lo spavaldo, petto in fuori e tatuaggi bene in vista, ma ho le gambette un po’ più molli del solito. La Diablo che abbiamo qua è ancora più speciale di quanto già non sia una Diablo qualunque, ammesso che esista una Diablo qualunque. Per prima cosa, è del 1993, una tra le ultime della primissima serie, un lotto di circa 30 vetture a trazione posteriore ma con alcuni aggiornamenti che vedremo poi nella successiva VT a trazione integrale. Non solo, ha anche la stessa targa “BO” e lo stesso identico colore della Diablo che Lamborghini usò nel 1990 per la presentazione dell’auto, con un certo Sandro Munari che faceva traversi sui colli qua attorno. Speciale? Voi che dite?

Se non vi chiamate Sandro Munari, per favore, lasciate perdere...

“Non ce n’è un’altra così, al mondo.”

Grazie, ora sono più sereno. A tranquillizzarmi ci pensa Emilio, il proprietario, che lavora nel campo dei ricambi per le Lambo ed è un vero esperto nel settore: possiede anche un’altra Diablo, una Roadster viola, ed una Countach. Oltre a...l’arancione, anche se in comproprietà. Ah, in passato ha avuto anche un’altra Countach. Ed una Diablo SV. Penso di non essermi dimenticato nulla, se non di sbavare come un mastino davanti alla ciotola. La Lamborghini Diablo è l’ultima prodotta tutta a Sant’Agata Bolognese senza l’aiuto di Audi. Anzi, questa cosa è vera per metà, perchè il canto del cigno di questo modello, la strepitosa VT 6.0, è stata affinata sotto l’occhio vigile dei tecnici tedeschi. La Diablo è l’erede della strepitosa Countach (recentemente riproposta da Lamborghini in chiave moderna) e, da buona figlia degli anni ‘80, non poteva che tendere all’esagerazione: il celebre V12 fu portato a 5,7 litri per produrre la bellezza di 492 cavalli a 6800 giri\minuto e 59 kgm di coppia a 5200 giri\minuto. Tutta questa prepotenza è in grado di lanciare la stupefacente carrozzeria a cuneo, ovviamente firmata da Marcello Gandini, a 325 km\h, dopo aver fatto segnare un 4 secondi netti per lo 0-100.

Pensandoci, fossi il Sindaco di Cuneo, uno come Gandini lo farei cittadino onorario, ma è solo un consiglio. Quando i giornalisti dell’epoca ci misero le mani sopra la descrissero come velocissima, inutilizzabile nel mondo reale, intimidatoria e per piloti veri… ma ha anche dei difetti. Per noi figli degli anni ‘80 è stata la supercar per eccellenza, quella più estroversa, assieme alla più racing Ferrari F40 ed alla misteriosa Bugatti EB110. Ne avevo un modellino esattamente uguale, giallo: mi cadde dalla mensola sopra il letto dritta in testa. Ve l’ho detto che è pericolosa o no?

Impressioni a ruote ferme

E’ tutto il giorno che guardo la Diablo da lontano. Di solito non resisto e mi avvicino subito alle auto, pregustando il momento in cui potrò scatenarle. Le “paciocco”, per così dire. Ma con lei non è successo. L’ho guardata da lontano, incredulo, e mi ci sono accostato con calma e rispetto. Il perchè penso di non doverlo spiegare: basta guardare la Diablo per capire che, nonostante le passate esperienze, nulla può prepararmi a quello che sta per accadere.

E’ una grande auto, imponente, con un aspetto veramente intimidatorio, con le gomme posteriori da 335 montate su cerchi dal canale infinito, i quattro scarichi che puntano il cielo e il muso che picchia verso terra. Ma poi, oh, è una Lamborghini progettata negli anni ‘80, che altro c’è da dire? Ha proporzioni da animale preistorico, è lievemente fuori scala rispetto a qualcosa che potrebbe nascere oggi. Se non fosse chiaro a tutti qual è il punto del discorso, la forma stessa dell’auto pone al centro di tutta la faccenda il cuore dell’auto, l’imponente V12 aspirato.

L’abitacolo è decisamente spostato verso il muso, spinto “fuori” dalla silhouette dal 5707 cc e dalla sua trasmissione. Questo esemplare ha l’ala posteriore, ovviamente enorme, appena sopra le bellissime luci circolari posteriori. Lo dico: la preferisco senza, così come la Countach, che adoro senza ala. Quando lo dico ad Emilio mi aspetto che mi intimi di allontanarmi dall’auto, ma è d’accordo con me. L’ala mi è sempre sembrata il tentativo di aggiungere un’aggressività posticcia, di cui quest’auto non ha bisogno, vista l’assoluta drammaticità intrinseca. “Colpa degli americani…” Ah ok, Emilio, capito. Ok, ho criticato una Diablo: siate clementi.

Detto questo il mio cervello quasi non riesce a mettere assieme tutti gli elementi estetici che compongono la carrozzeria della Diablo. Da dietro sembra enorme, con il posteriore grosso come un tavolo da biliardo e le prese d’aria così larghe da poter ingoiare un cane di medie dimensioni. Lateralmente è lunga e bassa ai limiti della caricatura e l’abitacolo sembra finire quasi sopra le ruote anteriori, tanto è avanzato per far posto al V12.

Se si fa il giro e la si guarda frontalmente, invece, il muso sembra così inclinato che si può usare come rampa e la prospettiva lo “schiaccia” tantissimo, accentuando quanto sia più largo che lungo. E’ un’auto assurda, unica e inimitabile. Bella d'una bellezza fatta di eccessi e brutalità. Mi piace? Ci potete scommettere. Ok, basta girarci attorno. Schiaccio la serratura a vista e la portiera si sgancia. Faccio un po’ di forza e una grossa parte della fiancata inizia a girare sui cardini e, aiutata da sibilanti pistoncini (pistoncioni, direi), inizia ad aprirsi verso l’alto. Non c’è modo di fare questa cosa senza restare a bocca aperta, è una specie di tocco di teatralità assoluto, il trucco che riesce sempre al mago consumato. Sono così distratto dal movimento della portiera che resto per un attimo “appeso”, invece che mollare la maniglia e lasciarle finire il movimento. Eccomi, sto guardando la cabina di pilotaggio di questa specie di caccia cresciuto a tagliatelle e ragù.

Respiro profondo. Entrarci è tutto sommato semplice, basta sedersi sul brancardo largo come un tavolino da caffè e lasciarsi scivolare dentro, l’apertura teatrale della portiera lascia un discreto spazio di manovra. Scendere, beh, sarà un’altro discorso...I sedili, non regolabili a livello lombare, sono inclinati verso il retro dell’auto e hanno un aspetto sottile e delicato, quantomeno al livello dello schienale. In questo esemplare il colore della pelle è una specie di blu petrolio molto scuro, che contrasta con la parte superiore del cruscotto, nera. Il volante, a tre razze, riporta in rilievo il Toro del logo della Diablo intento a spezzare le ossa a qualche torero. Sarà che alla corrida ho sempre tifato per il toro, sarà che vedere uno in calzamaglia rossa che viene lanciato per aria è stranamente piacevole, ma questo dettaglio mi garba tantissimo.

La strumentazione è chiara e semplice come quella di un velivolo degli anni ‘50: nero imperante, grafica bianca a contrasto, contagiri con zona gialla che parte da “70” e arriva a “90”, tachimetro con fondoscala a 340 km\h e poco altro. Vista l’estetica “urlata” della Diablo, l’interno è talmente semplice da essere brutale e non lo vorrei in nessun altro modo. Cioè, ok fare gli sboroni a Montecarlo con la Diablo nuova fiammante, ma una volta dentro sarà meglio che la pianti con i mocassini & i mignoli alzati mentre bevi e ti ci impegni, se non vuoi essere recuperato con un cucchiaino da caffè. Ciò che manca al sedile a livello di spalle lo recupera con gli interessi a livello di anche: è praticamente un sedile scocca, con fianchetti alti e duri. I sedili sono disassati visivamente verso l’interno dell’auto, ma nonostante questo “aiuto” ho le gambe ancora più piegate verso il centro. Laggiù in fondo, da qualche parte sotto i miei piedi, ci sono i pedali.

Impugno il volante, spinto verso di me dal piantone più lungo che abbia mai visto su un’auto stradale, afferro la parte inferiore della portiera e la spingo verso giù. “Shhhh stomp”. La posizione di guida mi ricorda un’auto da Le Mans, con le gambe distese sotto il piantone lunghissimo e la posizione inclinata indietro e fortemente sdraiata. Ci siamo, sono dentro una Diablo e sto per accenderla. Roba che se donassi il sangue ora in una casa di cura potrei regalare erezioni (emozioni, volevo scrivere emozioni…) anche ai novantacinquenni con la prostata formato maxi. Lo faccio? Mmm. La Diablo è posteggiata tra due caseggiati, con accanto un’altra auto che costa più di casa mia e che bisogna uscire per forza in retro. E’ tutto il giorno che vedo Emilio far manovra seduto sul brancardo della Diablo, completamente fuori dall’auto tranne che per i piedi sui pedali e la mano destra, appoggiata sul volante, quasi fosse sopra un natante. Conoscendo anche la debolezza della frizione della Diablo…si insomma, me ne vergogno un po’ ma che dici, Emilio, la tiri fuori te da qua?

Qualche secondo di lavoro del motorino di avviamento e il V12 sveglia i cilindri. Lo fa senza effetti speciali, tipo quel picco di giri eccessivo oramai prassi per le vetture più moderne, che evidentemente hanno bisogno di sotterfugi per farsi notare. La Diablo no, non ne ha bisogno. Semplicemente, ad un certo punto, il V12 inizia a far tremare l’aria attorno agli scarichi e si assesta su un minimo concitato e laborioso. Questi regalano una tonalità leggermente asincrona, quasi ruvida, granulosa. Quasi si riescono a percepire i singoli scoppi del V12 e la leggera imperfezione nella miscela aria-carburante. La Diablo ora è sul vialetto di ingresso, largo come l’auto stessa, ed è pronta ad accogliermi. Petto in fuori, Emilio mi guarda ma non dice nulla, è il mio turno.

Su strada

Schiaccio la frizione, “fino in fondo mi raccomando, fino in fondo”, afferro il grosso pomello che sembra eredità di una Fiat Marea (dovevo dirlo) e lo spingo con forza a sinistra e poi giù lungo la griglia metallica. “Cla-clang”, ci siamo: il rapporto entra e attraverso la mano la sensazione è quella di un accoppiamento di grossi e ruvidi ingranaggi. Rilascio la frizione, pesante ma non assurda, e la Diablo si muove. Sotto le larghe ruote la ghiaia scricchiola e l’ombra dei pioppi sul bordo della stradina che stiamo percorrendo sembra accompagnarci sino alla statale, che invece è inondata di luce. Ecco, se in questa luce apparisse Sant’Agata che fa segno “Ci penso io, stai sereno”, sarei più tranquillo. Guardo gli specchietti: ciò che vedo non è diverso da quando in autostrada ci si ritrova all’improvviso una supercar dietro: gran parte della visuale è occupata dai larghissimi fianchi della Diablo. Dallo specchietto centrale si può solo controllare che l’ala posteriore sia sempre al suo posto, perché della strada vedo nulla o quasi. Da quanto mi spiega Emilio, gli specchietti laterali hanno una doppia funzione: la prima, ovvia, è quella di guardare chi sopraggiunge da dietro, sempre che qualcuno riesca in effetti a sopraggiungere dietro ad una Diablo. La seconda funzione, decisamente più importante, è dare la misura esatta della larghezza del posteriore, che è molto più imponente dell’anteriore. In pratica, se non tocchi con gli specchietti, non toccherai nemmeno con il retro: penso sia uno dei calibri più costosi mai costruito. Tempo di dare una precedenza ed eccoci, siamo sulla statale.

Sono in 1°, un rapporto che sulla Diablo è capace di 100 km\h. Per completezza di informazione, la 2° spinge fino a 147 km\h, la 3° a 200 km\h, la 4° a 255 km\h e la 5° a 325 km\h. Così, per dire. Premo il gas con cautela e nulla, non succede niente. Sotto il mio piede destro l’acceleratore oppone talmente tanta resistenza da farmi venire il dubbio di aver appoggiato il piede su una traversa del telaio. Poi schiaccio con più forza e finalmente il pedale cede di qualche millimetro, aprendo le farfalle e spingendo dolcemente la Diablo lungo la strada. A 3000 giri\minuto giù la frizione, mano sul pomello, CLANG-CLANG, 2°. Il pomello va portato prima in posizione neutra, al centro della griglia, e poi spinto verso il rapporto, in due tempi ben distinti. Veloce? No, ma è un’azione che imbarzottisce manco fosse pillola blu. Sto andando però troppo piano e la Lamborghini saltella scontrosa, insultandomi per la vigliaccheria: oh, con calma bestiaccia, con calma. Lo sterzo, che non è servoassistito, è deliziosamente diretto e chiacchierone, ma questa sua velocità di reazione amplifica la sensazione di essere seduti all’apice di un grosso triangolo, con il posteriore che incombe sullo stretto anteriore. Qualche giro motore in più e la Diablo si spinge attraverso i lunghissimi rapporti con una fluidità meravigliosa. E’ un animale dalla falcata lunghissima e penso che su una strada come questa la 2° e la 3° marcia siano tutto ciò di cui ragionevolmente si possa aver bisogno. Il V12 borbotta sornione a pochi centimetri dalla nostra schiena, un rombo esotico e stranamente educato. Potrebbe attraversare tutto il mondo così, ma davanti a noi c’è un po’ di spazio libero (ma quanti camper ci sono al mondo?) e muoio dalla voglia di sentire cosa può fare il 5707 cc a 48 valvole. Fletto il piede destro, in 2°, diciamo un terzo del gas, e quello che succede mi fa rizzare i peli sulle braccia. E, ripensandoci, lo fa anche adesso. Il V12 cambia suono all’istante, crescendo di decibel con una violenza tale da sembrare che abbiano aperto la porta della sala test motori di una scuderia di auto da corsa. Siamo investiti dal muro di suono, meno acuto di quanto mi aspettassi, ricco di schiocchi e brontolii e per qualche ragione al mio orecchio sinistro arriva un risucchio enorme, animalesco. Sono così stupito da quello che sta succedendo che non riesco a concentrarmi solo sull’udito, sono bombardato da informazioni. I 1600 kg della Diablo sembrano svanire in un attimo ed io, colto di sorpresa dalla risposta del motore e dal boato proveniente dal retro, cerco con un po’ di panico la leva del cambio, l’afferro e la porto in 3°, per poi lasciare il comando del gas. Il V12 torna più civile ed ora mi è decisamente più chiaro di cosa si sta parlando. Freno molto in anticipo, l’impianto delle Diablo è notoriamente sottodimensionato e nelle prime versioni lo è ancora di più, e mi accodo al traffico. C@zzo, che roba. Passati i primi convenevoli la Diablo sembra più piccola di prima, ma non esattamente una Lotus Elise: diciamo assurda ma non troppo assurda, ecco. Quando il V12 sale in cattedra lo sterzo resta comunicativo e non si alleggerisce, anche grazie al passo importante della vettura, e questo regala una sensazione di invincibilità nel momento in cui si decide di pungolare il grosso motore. Friggo dalla voglia di rifarlo. Rallento, 2°, tutte e due le mani saldamente sul volante, premo il gas con più forza di prima, diciamo appena oltre la metà. Di nuovo, all’istante, i decibel crescono a dismisura e sono sicuro che i motociclisti dietro di noi possano sentire lo spostamento d’aria uscire dai quattro scarichi mentre il V12 si sveglia con ancora più forza. Adesso posso sentire le gomme posteriori schiacciare l’asfalto con la coppia e la Diablo parte verso l’orizzonte come se volesse mangiarsi tutto, alberi, trattori e camperisti compresi. Quando i giri motore arrivano attorno ai 5000\5500 la spinta è spinta sta ancora salendo a ritmo impressionante. Mano sul pomello, frizione giù, CLANG-CLANG, 3°, torno sul gas per un attimo, la spinta riprende come se nulla fosse, e poi mi attacco ai freni. Wow. 59 kgm di coppia non sono il valore di coppia più alto che ho mai sperimentato, siamo nel 2021 ed è un numero alla portata di tante auto turbo, ma vi assicuro che è un’esperienza diversa. Il tuo corpo viene attaccato da tutti i fronti: l’auto è larga, devi metterci forza per tenere il piede giù ed il volante in traiettoria. Come se non bastasse, alle tue orecchie arriva un grido così forte e brutale da non avere pari, quantomeno per la mia esperienza. Mentre combatti con tutto questo, ti rendi conto che la spinta sul petto e sulla cervicale è persistente e prolungata, non solo una botta di accelerazione come nelle moderne turbo, ma un lunghissimo momento di spinta. A questo poi ci sono da aggiungere svariate altre preoccupazioni: sapere che la cambiata che dovrai affrontare sarà difficile, ricordarsi che non frena, il camper davanti a te si sta avvicinando velocemente e forse non ha ancora svuotato la toilette, tutto su quest’auto vale un sacco di soldi ed Emilio è accanto a me ed è alto più di un metro e novanta...Insomma, tante cose a cui fare attenzione. Ho cambiato rapporto quasi per istinto di sopravvivenza, come se ne avessi abbastanza, ma mi rendo subito conto di non aver ancora sentito tutti i quasi 500 cv del V12, che arrivano ben più su, a 7000 giri\minuto. Ciò che è chiaro è che la strada su cui siamo è limitante per il passo della Diablo, è come far giocare Djokovic un match di paddle. La Lamborghini sembra una bestia in gabbia che, tra vetture lente e carreggiate singole, non può lasciarsi andare alla prolungata ferocia di cui è capace. Nelle curve veloci lo sterzo cristallino è un ottimo alleato, così come la posizione di guida da shuttle che permette una visuale anteriore tutto sommata buona. Inserisco la grossa Lambo in una curva aperta e la percezione è che la sterzata è divisa in due momenti specifici. Quando ruoto il volante posso sentire le grosse gomme anteriori fare aderenza, lanciando il corto muso della Diablo dove desiderato, ma subito dopo da dietro arriva chiara l’impressione di inerzia che le grosse gomme e la massa sospesa tra di esse si portano dietro. E’ sempre chiaro, insomma, che dietro di me c’è tanto da far ruotare e da spostare. Questo test drive, per ovvie ragioni, non può essere così intimo e approfondito come al solito, ma cerco di godermi al massimo questa incredibile opportunità. Per quanto mi violenti, non riesco a pensare di essere aggressivo con il gas in uscita di curva su una strada stretta (normale, in verità, ma sono su una Diablo) come questa. Affronto le altre curve con un po’ più di impegno, il volante resta piacevolissimo anche con più angolo di sterzo, e l’inerzia del V12 piano piano viene fuori sempre di più. All’aumentare dell’angolo di sterzo la Diablo si appoggia sempre più pesantemente alle gomme anteriori in fase di inserimento, dimostrando chiaramente di non provare alcun piacere nelle curve strette, giustamente. E’ semplicemente “troppa”. Troppo lunga, troppo larga, troppo gommata, troppo violenta. Una verità assoluta però posso dirla: se si vuole fare un giro per il puro gusto di farlo, la Diablo è una di quelle vetture con cui scegliere attentamente il tracciato, altrimenti si corre il rischio di sentirsi frustrati e arrabbiati con tutti gli abitanti della terra. Sogno una strada larga, meglio se a doppia corsia, con curve veloci ed ampi rettilinei su cui sbiancare i capelli con il V12. Anche perché nei brevi tratti in cui riesco a far sgranchire le gambe alla Diablo, il passo è davvero maestoso. Emilio è una persona interessante e conosce tutto di queste creature, resterei ad ascoltarlo per ore, ma non ho mai sentito il V12 girare al massimo. Insomma, potrebbe non capitare mai più questa opportunità.

Siamo quasi arrivati, davanti a noi i camper finalmente ci danno tregua ed in fondo c’è una rotonda decisamente larga e ben asfaltata. Scalo, 2°, respiro così profondo che manco la pubblicità delle gomme da masticare e poi porto, con rispettosa gradualità, il durissimo pedale dell’acceleratore a fondo corsa o giù di lì. Il V12 si sveglia con il solito urlo di guerra, ma questa volta c’è della follia vera nella sua voce, una sorta di “ora sò c@zzi tua” meccanico. Io, per tutta risposta, mi concentro sul volante così forte da sbiancarmi le nocche. Ok, i motori moderni sono più potenti, più efficienti e consumano la metà, ma la “schiena” di cui è capace questo V12 è epica, monumentale e segna un solco profondo nella mia memoria. Siamo a 5000 giri\minuto e di nuovo il mio cervello urla che può andare bene così, ma lo ignoro. La strada davanti a noi si sta rimpicciolendo a causa della velocità, e quando penso di cedere alla tentazione di passare alla 3° la spinta cambia ancora. La regale erogazione della coppia lascia spazio alla feroce ed appuntita potenza, la spinta morbida lascia spazio alla violenza. Le mie pupille si dilatano e le orecchie mi si riempiono del suono, che adesso è davvero folle. Le note alte prodotte dal V12 sovrastano il rombo cupo, in una sorta di picco sbraitante, sempre più sottile, penetrante, e sembra sfidarmi a tenere giù quel pedale ancora e ancora. Non guardo il contagiri, non posso staccare gli occhi dalla strada, ma la rotonda si avvicina ad una velocità preoccupante e il V12 sembra continuare a salire di giri e accumulare spinta all’infinito. In tutto ciò, i freni sono sempre quelli di prima, V12 o non V12. Freno con decisione, attento ad eventuali bloccaggi delle gomme anteriori, l’auto ondeggia un po’. Il peso del grosso motore, a causa della forte frenata, si trasmette con chiarezza attraverso il telaio. Sta schiacciando le gomme anteriori e lo splitter squadrato verso terra, come se il blocco motore fosse montato troppo in alto rispetto alla linea di baricentro e ora lottasse apertamente contro i freni. Ancora con una leggera pressione sul pedale centrale inserisco in rotonda, mollo il freno e mentre sterzo verso sinistra torno sul gas. C’è del sottosterzo, anche una volta inserita in curva l’inerzia del V12 continua a farsi sentire, mettendo in difficoltà l’avantreno e rallentando di una frazione l’appoggio del posteriore. Frazione, ok, ma cosa potrebbe succedere se si provasse a spingere sul serio la Diablo? Cosa può fare quel posteriore a chi tenta di emulare Munari? Sì, sono daccordo con voi, ci sono modi più economici per suicidarsi. Rallento, sono felice.

Dentro le mie orecchie sta ancora suonando il V12 ad alto numero di giri e dall’adrenalina inizio a ragionare ad alta voce. Dico che vorrei provare la Diablo in un ambiente sicuro, come una pista. Emilio mi guarda e mi fa capire che no, non è proprio una buona idea. Poi, però, aggiunge: “Dovresti provare una Diablo SV. Frena meglio, il volante servoassistito la rende più agile e ha i rapporti del cambio accorciati che le regalano una violenza molto superiore…” .

Più forza? Dico, più violenza della Diablo liscia? Dove devo firmare?

Considerazioni finali

La Diablo, non ci posso ancora credere. La Lamborghini Diablo. Ciò che ho trovato è stata un’auto che racchiude dentro di sé diverse anime: è estroversa, per andarci in giro bisogna avere una forte personalità o un’invidia del pene di proporzioni mai viste, e fino a qua ci siamo. Ma, una volta dietro al volante, non c’è più spazio per la superficialità. Cambiare rapporto, accelerare e persino entrare richiede al pilota impegno ed esperienza, ma se si trova la strada giusta e si ha il coraggio di sfidare il V12 è capace di generare momenti da pelle d’oca. E’ dotata di un motore con una spinta immediata, piena e ruvida, quasi organica, ma non fermatevi al picco di coppia, per quanto vi sembri di volare. Un po’ come per i film di Indiana Jones le prime prove, per quanto difficili, sono solo il preludio al paradiso. Tenete giù il piede e sentirete la poderosa coppia trasformarsi in deliziosa e musicale violenza. Mi scuso, ma non so spiegarlo meglio di così: se amate la meccanica è come raggiungere un posto in cui tutto è come deve essere. E amen se la Diablo non è una vettura “da curva”, se non è agile e se è piena di difetti intrinsechi del proprio essere costruita per essere, semplicemente, velocissima.

Detto ciò: Emilio, ma così, per caso, hai una SV?

Questa volta è difficile anche scrivere i ringraziamenti. Dico solo che grazie a Jacopo, Emilio, Andrea e Fede abbiamo vissuto due giorni che, a ricordarli adesso, sembrano quasi troppo belli per essere veri. La Lamborghini Diablo, l’arancione e...la nera. Che week-end!

Grazie ragazzi.

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