Lancia Fulvia HF "fanalino" & Montecarlo
- High Fidelity -
La Fulvia Coupé è una di quelle auto che tutti dovremmo conoscere a menadito. Tipo poesie di Manzoni, ma con cavalli, vittorie e anni di produzione da decantare in sonetti. Il perchè è semplice: grazie alla Squadra Corse Lancia e al suo fondatore, Cesare Fiorio, sono state gettate le basi per tutte le vittorie nei rally che hanno fatto grande il nome Lancia. La capostipite di questa dinastia è proprio la Fulvia. Prima auto a portare orgogliosa la sigla “HF” nel nome sulle fiancate, a convincere i vecchi ed ingessati manager che anche una raffinata Lancia poteva vincere sugli sterrati di tutto il mondo e che il mondo aveva bisogno di Lancia speciali. Abbiamo testato una Fulvia HF ed una Montecarlo. Ora possiamo dirvelo: meno Manzoni, più Lancia.
Quanto vi mancano le vetture della Squadra Corse?
Stratos, Delta Evoluzione, 037, Delta S4, LC1, LC2, ma anche Alfa Romeo 155 DTM, di sicuro me ne dimentico qualcuna. No, non sto sognando ad occhi aperti, sto solo cercando di ricordare quante auto non sarebbero esistite senza quel bellissimo pezzo di metallo rosso che romba davanti a me in questo momento. Anche sotto di me, in effetti. Stringo un po’ la presa sul volante Ferrero che vibra e metto a fuoco il cofano nero opaco con il piccolissimo specchietto a goccia da rally, anch’esso nero, fissato a metà del passaruota anteriore. Il tracciato sale con decisione, circondato da boschi secolari che disegnano con le ombre una sorta di reticolo sulla strada, insolitamente chiara, come fosse impolverata e antica. Davanti a me la Lancia Fulvia HF 1,6 “Fanalino” scala di marcia per affrontare un tornante, allarga un po’ e curva in un unico movimento fluido. La sto osservando attraverso il parabrezza della Fulvia Montecarlo che sto guidando e non potrebbe essere più perfetta di così. Ora devo concentrarmi, tocca a me. Freno, spingo la leva del cambio in avanti per scalare dalla 3° alla 2° e accompagno con un colpetto di gas, tanto per sentire il V4 della Montecarlo scoppiettare, impugno con forza il volante e la Fulvia curva, con la luce che attraverso i rami degli alberi disegna sagome assurde sul cruscotto in legno e sugli strumenti Veglia Borletti. Torno sul gas con convinzione ed incollo lo sguardo sul sottile posteriore della HF, che si sta allontanando sotto la spinta del 1600. Potrei andare avanti così tutto il giorno, è tutto incredibilmente vivido e reale, come un film al cinema dopo anni di visioni sul 15 pollici a tubo catodico della cucina. Scusatemi se non riesco a fare battute, ma oggi mi sento più romantico di uno sguardo di Galliani a Berlusconi. Vabbè, un po’ meno, ma non tanto.
Un po' di storia
La storia della Fulvia Coupé è una di quelle in cui “l'italianità” ha una completa eccezione positiva del termine, senza se e senza ma. E’ una storia dolce, senza l'amaro che spesso è presente in noi italiani, nel nostro modo di fare e nella miriade di modi in cui riusciamo a disperdere il talento di cui siamo dotati. La Fulvia Coupé nasce nel 1965, quando i quadri Lancia chiedono a Piero Castagnero di disegnare una coupé sulla base della Fulvia, una comoda e rifinita berlina in commercio dal 1963. Telaio accorciato di 150mm, stesso V4 1200 cc da 80 cv sotto al cofano, ma, rispetto all’anonima vettura da cui deriva, dotata di una linea strepitosa, “ispirata ai Motoscafi Riva”, a quanto dichiarato dal buon Piero. Chi non era molto convinto di quest’ultima affermazione era Giovanni Michelotti, geniale designer di quel periodo, che nel 1961 aveva presentato al Salone dell’Auto di Torino una vettura su base Fiat 1300/1500 dalla linea stranamente molto simile alla Fulvia Coupè di Castagnero. Casualità? Non lo sapremo mai, ma sappiamo che Michelotti se la prese abbastanza da tagliare i rapporti con Castagnero dopo un faccia a faccia in privato. Un duello con matite e squadrette, me lo immagino così. Un bell’inizio con melodramma, più italiani di così si muore.
La nuova nata piace a tutti e vende bene. Bella è bella, riscuote un successo particolare con le signore perbene, ma sarebbe rimasta soltanto questo se nella sua storia non fosse arrivato un giovane ragazzo di nome Cesare Fiorio. Ragazzo che, in un angolo del capannone Lancia di Borgo San Paolo a Torino, ha appena fondato la “Squadra Corse HF Lancia”. Fiorio l’ha fatto nonostante la proprietà non veda di buon occhio le competizioni, troppo “plebee” per un marchio altisonante come Lancia, più attento ai dettagli. Comunque, a forza di insistere, Cesare ottiene un piccolo budget da Lancia per pensare ad un impiego sportivo della casa. Così, Fiorio e l’Ing. Mina trasformano la Fulvia Coupé in una credibile auto da corsa. Via i chilogrammi in eccesso, dentro un motore più potente da 1300 cc e via sugli sterrati di mezzo mondo. Nasce la Fulvia Rallye 1,3 HF: “High Fidelity”, cioè un’auto solida, che non avrebbe mai abbandonato il pilota e che creasse proseliti del marchio. Come simbolo scelgono un elefante. Conoscete un animale più robusto e dalla memoria più lunga?
Arrivano le prime vittorie, la Fulvia Coupè acquista fascino anche tra il pubblico più interessato alle prestazioni e sono tutti contenti. Tutti tranne la Squadra Corse che, per quanto faccia miracoli con l’HF, a causa della piccola cilindrata del V4 non può lottare per la vittoria assoluta nel campionato Rally. Piccola curiosità da giocare nelle serate giuste: come detto, la Fulvia “liscia” ha un feeling particolare con la clientela femminile, ma anche nelle competizioni non scherza. Nel 1968, ad esempio, una Fulvia HF vince il Rally di Sestriere con dietro al volante una certa Pat Moss, la sorella del grande Stirling. Ok, probabilmente in quella famiglia andava forte anche la nonna col girello, ma tant’è. Grazie a questa e ad altre affermazioni, i capoccioni di Lancia sono costretti ad ammettere che i successi della HF portano lustro al marchio e che questo aspetto fa da traino alle vendite del modello. Insomma, si arrendono: nel 1969 prendono Fiorio da parte, gli mettono a disposizione un budget decente e gli chiedono di fare quel che sa. Immagino il buon Cesare che arriva dai suoi ragazzi della Squadra Corse saltando di gioia, lanciando per aria banconote tipo video Trap e urlando a tutti di concretizzare sulla HF i loro desideri più inconfessabili.
Il motore viene portato a 1584 cc, la potenza a 120 cv, la geometria delle sospensioni modificata, il cambio ora è a 5 marce, i cerchi e gli pneumatici maggiorati e viene montato uno sterzo più diretto. Ma che atleta sarebbe senza una dieta specifica? La neonata viene alleggerita il più possibile, sino a raggiungere gli 850 kg. Il risultato è la Fulvia Coupé Rallye 1,6 HF. Una Fulvia costruita, finalmente, per dominare le competizioni. Nulla fu lasciato al caso: per migliorare l’illuminazione durante le gare in notturna il team monta una coppia di fari anteriori maggiorati, aspetto che le valse il nomignolo di “Fanalone”. Ora ci siamo, la Fulvia ha le carte in regola per giocarsela con tutti nel mondiale. Nel 1972 l’HF n°14 guidata dal “Drago” Munari e navigata da Mannucci vince, tra le altre gare, un'incredibile Rally di Montecarlo ed a fine anno Lancia si aggiudica il Campionato Costruttori: il cerchio s'è chiuso, Lancia è un nome vincente e tutto il mondo conosce la Fulvia Coupè. Tanto che, a fine produzione, vende poco meno della berlina da cui deriva. Fiorio ha gettato le basi per fare la storia dei Rally e non solo. Basta pensare che la Fulvia fu poi sostituita dalla Stratos, dando il via a decenni di (quasi) dominio Lancia nel campionato Rally.
Non dimentichiamo poi, che dalle ceneri della Squadra Corse Lancia nacque il team che portò l’Alfa Romeo 155 nel campionatio DTM. Che storia eh?
Impressioni a ruote ferme
La prima volta che il Sig. Luca ci apre il garage di casa, tra noi Arrugginiti cala immediatamente il silenzio. Siamo venuti qua per una Montecarlo, che già di per sè giustificherebbe il viaggio, ma nella penombra dell’enorme garage ci troviamo di fronte ad un vero tesoro. Ci sono molte altre Montecarlo, una rara Fulvia 1,3S Rallye, due Fulvia Sport Zagato (di cui una HF!) e, proprio a fianco della Montecarlo che siamo venuti a vedere, una delle ultime 1,6 HF prodotte, la “Fanalino”. Ho già la bocca aperta, ma quando gli occhi si abituano alla penombra, intravedo tra le altre la sagoma nera di una Jaguar E-type Coupè, poi di una 124 Spider ed infine una Mercedes 350 SL. “Manuale, manuale” ci tiene a precisare il sig.Luca. Passiamo un’ora e mezza a vagare tra le auto, cercando di rubare con gli occhi più dettagli possibili, mentre il Sig. Luca ci inonda di informazioni, aneddoti e dettagli tecnici di ognuno di loro. Ha posseduto, smontato, riparato e rimontato talmente tante Fulvia da poterci scrivere un trattato. “Le auto vanno usate, godute. Anzi scusatemi ma ora devo andare a prendere mia nipote Camilla a scuola” ci dice mentre accende una delle sue Montecarlo. Lo guardiamo interrogativi, lui capisce: “Vado sempre con un’auto delle mie, la faccio scegliere a lei, l'adora!”.
Nonostante la Sindrome di Stendhal che ci fa balbettare, andiamo via dal garage del Sig. Luca con un la promessa di risentirci per portare a spasso la Montecarlo e l’HF, pandemia permettendo.
Ed eccoci qua, qualche tempo dopo il nostro primo incontro, in una di quelle classiche mattine in cui la primavera inizia a bucare l’inverno. Quelle mattine in cui togli il giubbotto ma non te la senti ancora di togliere il cappellino di lana, avete presente? No? Forse sono solo io che sono di nuovo in piena Sindrome e che agisco come fossi sotto l’effetto di qualche droga leggera. Ma capitemi, di fronte ai miei occhi, inondate dal sole, ci sono due Fulvia Coupè in splendida forma, pronte per essere guidate. Il mio piano è di partire con la meno potente, la Montecarlo, in modo da vivere l’esperienza con gradualità, senza sentirmi eventualmente deluso dalla mancanza di potenza del 1,3 della prima rispetto al 1,6 della HF. Ora che sono qua davanti capisco di essere stato stupido, perchè di fronte a questa Montecarlo del 1973 non si può rimaner delusi. La “Montecarlo” è un allestimento nato proprio per celebrare la vittoria al Rally del 1972. Si tratta di una Fulvia equipaggiata dal famoso 1300 cc da 90 cv ma con esterni ed interni in stile HF, oltre al cambio a 5 rapporti e livrea simil-racing. Devo dire che l’obiettivo è stato centrato, la Montecarlo sembra proprio un’auto pronta per affrontare un Rally. La linea è bellissima, anche se curiosa: il frontale è un insieme di superfici piane raccordate, ha un aspetto “pieno”, con l’inclinazione del bordo anteriore del cofano motore talmente accentuata che la scritta “LANCIA ITALIA” in bianco si legge benissimo anche da lontano, come fosse appoggiata ad un leggio. La superficie vetrata è molto ampia e, grazie ai montanti sottili, da alcune angolazioni la Fulvia sembra quasi una barchetta, un’auto aperta, leggera. La linea della fiancata si restringe man mano che si prosegue con lo sguardo verso la coda, che infatti è sottile, quasi un prolungamento naturale delle linee convergenti laterali. In effetti c’è qualcosa di nautico nelle proporzioni tra anteriore e posteriore, bravo Michel...Castagnero, volevo dire, Castagnero.
Ma quanto è piccola questa auto vista da vicino? Solo i dettagli “Squadra Corse” danno un segno marcato alle linee leggere della carrozzeria. Il cofano motore ed il baule sono verniciati nel classico nero opaco tipico delle auto rally dell’epoca. La scelta di questa colorazione non era casuale, ma mirata e specifica per limitare il più possibile i riflessi del sole sul cofano durante le gare. Questo aspetto spezza in modo netto con la raffinatezza di un’ascia bipenne il rosso acceso della carrozzeria. I cerchi Cromodora in magnesio, con il classico disegno dell’epoca e il colore grigio satinato, sono semplicemente perfetti. L’assetto, alto dietro ed “impuntato” verso l’anteriore, sembra indicare anche da ferma che il grosso dell’azione avviene proprio davanti. Alcuni dettagli, poi, sono da antologia. Come lo scarico che sbuca dritto dal posteriore, lo specchietto a goccia, anch’essi nero opachi, il grosso adesivo “HF” che troneggia sul passaruota e l’enorme scritta “LANCIA ITALIA” sul cofano anteriore.
I fendinebbia rettangolari ed un’altra coppia di fari anteriori supplementari fanno sembrare questa Montecarlo pronta per una tappa del Rally di cui porta il nome. Guardo il Sig.Luca. “Un bel numero 14 nero su fondo bianco?” Lui mi sorride e non dice nulla. Questa è una piccola auto convinta dei propri mezzi, concentrata e la trovo irresistibile. Sembra decisamente più “tosta” della sobria HF del 1971 ferma appena più avanti, completamente rossa e priva di cofani neri, anche se l’assetto più “scampanato”delle ruote anteriori, il posteriore più basso e la targhetta “1600 HF” sul posteriore dicono tutt’altro.
Salgo a bordo della Montecarlo e mi ritrovo seduto in un abitacolo così tanto luminoso che mi pare di aver acceso una lampada al neon. Persino i sedili, neri, risplendono lucidi. Mah, sarà l’amore che ci mette il Sig.Luca, ma questa Montecarlo brilla nel vero senso della parola. La prima cosa che noto è la posizione del sedile, che sembra montato 10 centimetri più in alto di quanto avrei immaginato. Tocco il bordo inferiore del volante con le cosce, uno strepitoso Ferraro d’epoca. Cerco di sistemarmi e la situazione migliora, anche se il volante resta troppo basso e ho le braccia troppo distese. Braccia a parte, per una vettura italiana degli anni ‘60, l’ergonomia è sorprendentemente curata. La pedaliera è ben distanziata e non obbliga a particolari contorsionismi, la leva del cambio è nella giusta posizione e tutto sembra dove deve stare. Do un po’ di gas al V4 e osservo la lancetta bianca schizzare con un movimento seghettato dal minimo fino a 4000 giri/minuto, in un attimo. La strumentazione nera con cifre bianche è bellissima ed il dettaglio della zona rossa, preceduta da una tacca dello stesso colore posta a 6200 giri/minuto, mi fa mugolare di piacere.
“Sig. Luca, c’è qualcosa che devo sapere sulla guida, qualche particolarità?” “No, la prima è in giù, il resto è normalissimo”.
Uhm. Ho guidato auto storiche a sufficienza e prendo questa affermazione con le pinze. Di solito le auto con un po’ di anni sulle spalle hanno caratteristiche decisamente poco “normali” per i tempi moderni, cose a cui i proprietari sono abituati e quindi tendono a minimizzare, anche solo per puro amore. Che so, freni che non frenano, cambi che richiedono un allenamento Jedi, sterzi che sembrano sconnessi dall’asse, cose così. Lo scoprirò a breve, no? Per ora sono in un posto meraviglioso. Ci siamo, giù la frizione, prima in basso e si parte.
Su strada
Capisco che il Sig.Luca non mi ha mentito dopo una manciata di metri, giusto il tempo di affrontare la prima curva e di frenare ad uno STOP. La Montecarlo curva, frena e cambia rapporto senza particolari accorgimenti, la pedaliera è morbida e reattiva e tutto sembra funzionare bene. Qualche minuto dopo, attraversando il paese sotto gli sguardi ammirati di grandi e piccini, posso già dire che quest’auto potrei usarla tutti i giorni. E’ solida, ogni comando ha il giusto peso e si muove con sicurezza. Che cambio! E’ perfettamente spaziato ed infila i rapporti senza alcun problema, con una corsa decisamente lunga della leva ma dall’azione ben definita e sicura. I freni reagiscono all’istante e con una buona forza frenante, l’avantreno è piantato a terra e reagisce anche ai minimi input del volante, che è forse l’unico elemento datato, visto il carico di cui ha bisogno a basse velocità. La Fulvia mi sta ammaliando, come se dalle bocchette dell’aria uscisse qualche pozione magica. Il V4, famoso per la carburazione un po’ ostica, ha un suono tutto suo, scoppietta in rilascio e prende giri con assoluta libertà. Reagisce alla minima pressione del gas, a qualunque regime, con un deciso cambio di passo. Quando inserisco la 2° il mio braccio è a “fondo corsa” e devo staccare di qualche centimetro la schiena dal sedile per infilare il rapporto. A parte questo, tutto il resto appare come distintamente d’epoca eppure magicamente al passo con i tempi. Non moderno, ma clamorosamente accettabile. Il Sig. Luca ci ha detto poco fa che su una Fulvia Coupè ci sta bene sia l’ottantenne nostalgico che il venticinquenne con la passione per le belle auto. Uscendo da una rotonda non posso che confermare, è un’auto che racchiude un mix unico fatto di qualità estetiche e leggenda sportiva, da abbracciare un pubblico incredibilmente eterogeneo, difficilmente conciliabile. Quando finalmente arriviamo sulla strada del test, la Montecarlo mi ha già stregato, ma ora è il momento di vedere la Fulvia su una strada adatta al suo mito. I 10 minuti successivi consegnano la Montecarlo alla mia personale galleria dei migliori ricordi a bordo di una storica. L’HF di fronte a me ha un grosso vantaggio in termini di motore e scappa via ogni volta che la strada si raddrizza. Osservarla in azione dal volante della Montecarlo è già di per sè un’esperienza di indimenticabile.
Nonostante il V4 della HF cerchi di distrarmi con il proprio suono, molto aggressivo, mi concentro sulla “mia” Montecarlo. Una volta aumentato il ritmo, con le braccia così distese si sterza utilizzando i muscoli delle spalle e degli avambracci, ma è l’unica azione di forza necessaria. Il gruppo frizione/cambio è perfetto e, dopo qualche cambiata, non penso più al movimento o al rapporto inserito, lascio fare all’istinto. Con la 2° marcia sbatto spesso le nocche contro la consolle, fino a quando non impugno il tondo pomello con i soli pollice e indice. Le sospensioni anteriori e posteriori non potrebbero essere più diverse, eppure in qualche modo la Montecarlo è perfetta così. Il posteriore si sente alto e leggero, in punta di piedi, mentre l’anteriore è piantato a terra, impegnato a trasformare con precisione la rotazione dello sterzo in azione. Sono colpito da come la Montecarlo stia assecondando la mia guida arrembante, come se provasse gusto a fare un po’ di sport. Il V4 ha una erogazione piuttosto piatta, ti dà tutto a qualsiasi regime, anche se per rispetto verso il Sig.Luca, non la spingo mai contro il limitatore. In ogni caso, raramente 90 cv mi sono sembrati così consistenti. Ovviamente siamo figli di un’epoca che ci ha abituati a ben altre potenze, quindi già al quarto o quinto rettilineo ci si abitua alla spinta. Del suono, invece, non ci si annoia mai. E’ una specie di borbottio scoppiettante che si arricchisce di note più alte man mano che i giri salgono. Sono a mio agio, il ritmo è cresciuto e siamo su un tratto in discesa. In una lunga curva a destra, in appoggio, l’anteriore mi sembra quasi troppo pesante, mi appende al volante per mantenere la traiettoria, come se dovessi lottare con la massa del motore posta a sbalzo davanti all’asse anteriore. Proprio quando credo di aver trovato un lato poco giocoso nella Montecarlo, l’HF davanti a me frena e mi costringe a dare un colpo di freno deciso con l’auto in appoggio. La Montecarlo solleva il posteriore di una frazione e chiude la traiettoria così tanto da obbligarmi a togliere un po’ di sterzo, rivelando un altro lato, più sfumato, della sua dinamica. Ho capito, nelle curve più aperte ora entro un po’ più forte, freno con decisione, alleggerisco il posteriore e la Montecarlo guadagna in agilità, con l’anteriore che si incolla alla traiettoria ed il posteriore che si muove sulla spalla generosa delle gomme. Nei tornanti invece, freno a ruote dritte, inserisco e dò più gas possibile il prima possibile, sicuro che l’avantreno scaricherà senza problemi i 90 cv sviluppati dal motore. In uscita dai tornanti devo aiutare le ruote anteriori a riallineare, accompagnando il volante in posizione centrale, cosa che, per qualche motivo, è piuttosto gratificante. Il tempo vola e quando arriviamo in cima il mio rispetto per la Montecarlo è cresciuto a dismisura. Ora capisco perchè Cesare Fiorio desiderasse un motore più grosso, è chiaro che la Fulvia possa gestire una cavalleria ben più generosa di quella data dal 1300 cc. Sto per scoprilo, ora è il turno di saltare sulla vettura che ho guardato danzare davanti a me negli ultimi chilometri, la 1,6 HF.
Dentro sembra molto simile alla Montecarlo, a parte alcuni dettagli. Il pomello è ancora più sferico, il volante è diverso e sulla plancia, al posto dell’orologio, ora c’è l'indicatore della temperatura dell’olio. I sedili sembrano identici, ma appena mi siedo sprofondo dell’imbottitura di qualche centimetro in più e mi sento subito più piantato nell’auto. Per qualche motivo riesco a piegare di più le braccia, anche se non di molto. Con un volante a calice la posizione sarebbe decisamente migliore, ma anche così l’HF sta correggendo un paio di difetti della Montecarlo che fino ad un secondo fa non pensavo avessero importanza. E’ un po’ una delusione che sulla HF lo specchietto “racing” sia sostituito da uno convenzionale cromato. Tuttavia, è curiosamente montato troppo indietro sulla portiera da costringermi a girare la testa per guardarlo. Vabbè, nessuno è perfetto.
Partiamo, il motore è stato rifatto 3500 km fa e per ora lo solletico soltanto, giusto per farlo ruggire in modo diverso dal fratellino montato sulla Montecarlo. La frizione stacca molto più in alto, ha un effetto più on/off, ma i rapporti entrano con la stessa semplicità della Montecarlo. Detto questo, l’HF si sente completamente diversa, come se fosse stata creata usando metalli e materiali più duri. Il posteriore è più piantato a terra e saltella su asperità che la Montecarlo nemmeno sentiva, trasmettendo una tensione tutta diversa al guidatore. Dopo il relax a bordo della Montecarlo, son bastati 20 metri all’HF per mettermi sull’attenti. L’anteriore, con la sua campanatura più aperta, è più tosto e va mandato in traiettoria con un’azione più decisa. Wow, è davvero un’altra cosa! Percorro un tratto di strada ad “S” avanti ed indietro per permettere a Baffo di fare qualche ripresa e ne approfitto per portare più velocità ad ogni passaggio. Con la Montecarlo usavo i muscoli delle braccia, ora uso anche quelli della schiena, forzando l’anteriore ad inserirsi in curva e ad appoggiare. L’HF va presa per la collottola e così si inserisce con molta convinzione e con meno rollio della Montecarlo. Non c’è bisogno, almeno a queste andature, di alleggerire troppo il posteriore: semplicemente l’anteriore riesce a gestire l’angolo di sterzo impartito, come se le gomme avessero molta più impronta a terra. Lo sterzo dell’HF sembra meno preciso ai piccoli angoli, quantomeno rispetto alla trasparenza assoluta della Montecarlo e chiedo al Sig. Luca se è solo una mia sensazione. Mi risponde che la scatola sterzo va revisionata, ho “sentito” giusto. Credo però che gli angoli di convergenza della HF e la forza necessaria per farla curvare tolgano comunque un po’ di leggerezza rispetto alla Montecarlo, ma è il prezzo da pagare se si vuol vincere un mondiale Rally.
Un ottimo affare, tutto sommato, o no? Immagino che se proprio volessi guidarla “alla Munari” (impossibile, ovviamente) probabilmente sarebbe necessario far curvare l’auto con l’aiuto del posteriore e questa manovra sarebbe decisamente più brutale che con la Montecarlo, ma non ne sento il bisogno. L’HF è già tesa e focalizzata così, tanto da obbligare chi la guida ad un livello di concentrazione decisamente più alto, anche solo per gestire i rimbalzi maggiori dell’assetto e per scegliere traiettorie che richiedano meno sterzo possibile. Anche qua i freni sono perfettamente in grado di fare il loro lavoro e, dopo una frenata decisa, imposto per l’ennesima volta la chicane, chiamando a raccolta i muscoli prima di curvare. L’HF va dritta al punto di corda a sinistra, salta leggermente sugli ammortizzatori ma non perde mai la linea. Quando lancio l’HF a destra per chiudere la “S” resto sbalordito da come l’anteriore tracci una linea perfettamente smussata da un punto di corda all’altro. Esco dalla “S” in 2° e spingo sull’acceleratore. Fino a 4000 giri il motore sembra identico al fratellino, solo un po’ più pieno. Dopo questo regime si sente chiaramente che i carburatori iniziano a fare sul serio, con la curva di potenza che si affila ed imprime alla HF un’accelerazione decisa e convinta, accompagnati da un ululato rauco da auto da corsa. Che esperienza! Chissà cosa non dovevano essere le HF da corsa, capaci di 160 cv e con soli 750 kg da portarsi dietro. Mentre questi pensieri si affollano nella mia mente, il Sig. Luca mi dice che di solito non usa le sue auto così, ha fatto qualche gara di regolarità ma nulla di estremo. Capisco l’antifona, sto vivendo già un sogno grazie alla sua generosità e va benissimo così. Riporto l’HF nel piazzale, accosto di fianco della Montecarlo, la spengo e rimango in silenzio a riordinare le idee. Stacco le mani dal volante, mi lascio andare sul sedile e mi rendo conto che ho la schiena sudata. Non so bene quando ma, mentre guidavo, mi sono tolto il cappello ed ho alzato le maniche della felpa fino a sopra il gomito.
Ecco, questa è l’HF. Una Fulvia su cui Cesare Fiorio e i suoi ragazzi si sono rimboccati le maniche per tirane fuori il meglio e, giustamente, l’auto richiede lo stesso impegno fisico e mentale al pilota. Penso a Munari & soci mentre guidano auto come questa per centinaia di km, su per le curve del Montecarlo e la mia stima per questi eroi cresce a dismisura. Pat Moss non si faceva aprire i barattoli dal marito né spostare i mobili, questo è certo. Giro la testa. Attraverso il vetro laterale della HF intravedo la Montecarlo, con il grosso stemma HF sul fianchetto anteriore. Ha inevitabilmente attratto l’attenzione un paio di persone che non han potuto fare a meno di fermarsi e scambiare due chiacchiere con il Sig. Luca, felice e sorridente nel rispondere alle loro curiosità. Tamburello sul volante, metto la 1° in basso, sospiro e scendo dall’HF. Che esperienza.
Considerazioni finali
Prima di questa prova non sapevo cosa aspettarmi dalla Fulvia. Ok, ha una storia incredibilmente importante per il mondo del motorsport e questo di solito è sufficiente a creare una grande esperienza di guida, ma l’ho sempre considerata un’auto che non faceva per me. Delicata, raffinata, quasi troppo addomesticata. Invece mi sbagliavo, di gran lunga. Il modo in cui la Montecarlo affronta la strada è semplicemente brillante. Ogni comando ha un peso ed una taratura meccanica perfetta, goduriosa da usare, oltre che efficace. Ha anche un look da star del Rally, aspetto che non può non piacere. E’ impressionante, in particolare pensando che la Montecarlo è solo una versione “agghindata” della 1,3 Rallye “base”. Fa capire quanto sia eccezionale il progetto Fulvia, quanto sia incredibilmente a fuoco. Ne vorrei una? Si, anzi, SI! L’HF è un animale diverso, fatto di un’altra tempra, priva di compromessi. Pretende di più da chi guida e ripaga generosamente l’impegno con un’andatura tesa e professionistica, una guida che echeggia di eroismo, se così si può dire. Si pensa subito a Munari, al Montecarlo, al concetto di impegnarsi per ottenere qualcosa in cambio. Sulla propria strada preferita ci si può sentire un po’ piloti, pur guidando con un ritmo che Munari userebbe per andare a fare la spesa. La Montecarlo non vi deluderà mai, è un’auto perfettamente in grado di farvi divertire anche a bassa velocità, ma io, beh, amo rimboccarmi le maniche. Mentre rifletto su questi concetti il Sig. Luca Lauro mi sorride, ha capito che sì, la magia della Fulvia ha definitivamente colpito.
A fine giornata il Sig.Luca ci stringe la mano e ci saluta con il saluto utilizzato negli anni d’oro dai lancisti DOC, ora che anche noi un po’ lo siamo.
“Arrivederci. Viva Lancia!”
Persone come il Sig.Luca Lauro dovrebbero essere clonate. Competente, preciso, simpatico e disponibile, ama le proprie auto e ha piacere di far capire il perchè siano così speciali. E’ un divulgatore di amore per le Fulvia e per le Lancia, marchio che dovrebbe ringraziarlo personalmente per il suo lavoro fatto di passione e conservazione. Lo facciamo noi: grazie di cuore.
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