Shelby (AC) Cobra 427

- sua tonante maestà, la shelby cobra 427 -

“Sotto al tondino che funge da acceleratore, attraverso il piede e su fino al cervello, si sente chiaramente la resistenza del cavo che apre e chiude il carburatore. Per dare gas, quindi, c’è bisogno di vincere una resistenza meccanica ben definita. Una volta fatto, il V8 risponde con un immediatezza ed una forza che semplicemente, oggi, non può avere pari. Non è una questione di pura prestazione, perchè penso che alcune vetture moderne siano più capaci di generare l’effetto “fionda”, ma è l’assoluta immediatezza con cui risponde al gas. Non ci sono filtri, centraline, controlli della trazione. Sei tu che apri e chiudi il carburatore di un gigantesco V8, stop”.

Ci sono esperienze automobilistiche che lasciano un segno indelebile negli appassionati. Shelby AC Cobra 427: mi sarei accontentato di salirci da passeggero, almeno una volta nella vita, ma guidarla e sentirla muoversi sotto di me, beh, è qualcosa che va oltre. Spero di essere riuscito a condividere con voi parte della fortunatissima esperienza vissuta in questo test e se sono stato un po’ troppo descrittivo, beh, abbiate pazienza. Avete mai provato per un’auto un sentimento simile?

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18 maggio 2021| scritto e pensato dalla mente malata di M.Carito | editato e corretto dal pensiero distorto di Gabry | Inquadrato, scattato, editato dalla mano mossa di Gabry

Dopo essermi girato nel letto per la 325° volta nell’ultima ora, guardo il telefono. 5:15 minuti, due ore in anticipo sulla sveglia. Sono completamente sveglio e nel buio della camera da letto non riesco a smettere di pensare che, quando finalmente il sole deciderà di spuntare, sarà il giorno in cui guiderò una Shelby (AC) Cobra. Non sto a raccontarvi tutta la storia della Cobra, l’abbiamo già fatto qui. Oggi non è un giorno per parlare del passato, anzi, è un giorno da vivere in pieno, qui ed ora. La Shelby più famosa di tutte è un’auto con un’aura mitica, una perla assoluta, un oggetto attorno al quale leggenda e realtà si mischiano. Primo, è figlia di un’epoca in cui “andare forte in auto” era un concetto pieno di eroismo, follia e incredibile disprezzo del pericolo. Erano anni in cui essere “pilota di auto da corsa” era spesso sinonimo di “ho accettato l’idea di non vivere la mia vecchiaia e di non veder crescere i miei figli”. Secondo, è un’auto dalle forme inconfondibili e meravigliose, un oggetto che supera di gran lunga la funzione per il quale è stato creato. Terzo, sotto al cofano anteriore c’è la massima espressione di motorsport a stelle & strisce: un enorme e tonante V8 ad aste e bilancieri, ignorante come un’incudine ma altrettanto efficace. Insomma, a gente come noi e come voi, che in testa abbiamo una sola cosa (vabbè, due), la prospettiva di mettere le mani su una 427 non ci lascia dormire sereni. Quindi, appena la sveglia si decide a suonare, mi alzo in una sola mossa tipo Van Damme (con la sciatica), colazione veloce e via, si va ad incontrare Paolo e la sua bestia.

Impressioni a ruote ferme

Paolo sa come creare aspettativa per l’incontro con la Cobra. La tiene gelosamente custodita nel suo garage, uno spazio sistemato ad hoc in tinta Cobra: pareti bianche con strisce blu, pavimento a scacchi blu e grigio portano, girato l’angolo, di fronte alla Cobra. Nella penombra del seminterrato c’è lei, coperta da un telo blu racing. Nonostante sia ancora sotto il suo lenzuolo (capisco di parlare come un maniaco con l’impermeabile al parco), non riesco a staccare gli occhi dalla linea dei fianchi. E’ una delle cose più sexy che abbia mai visto e la porzione dei cerchi in lega che spunta dal telo mi accelera il battito. “La scopro?” Vorrei urlare “SI”, ma probabilmente non darei un’impressione “sana” di me. Ci limitiamo, con un falsissimo aplomb, a dire “perchè no?”. Quando finalmente è davanti ai nostri occhi, curiosamente, il mio battito cardiaco rallenta. E’ come se il mio corpo fosse in trance, lasciando tutte le risorse disponibili agli occhi, per riempirsi di AC, ed alle gambe, per poterle girare attorno. Qualunque cosa io metta a fuoco è meravigliosamente e oggettivamente bello, perfetto ed assoluto. C’è di più, perchè la 427 è incredibilmente morbida, sensuale, eppure brutale al tempo stesso. Il blu racing con le strisce bianche è una sorta di bandiera americana, in fatto di auto. I fari anteriori tondi, tipici degli anni ‘60, sono l’apice di una lunga e femminile curva che parte appena prima dei passaruota posteriori e arrivano sino al muso. Tra i due fari, abbassando lo sguardo, si apre una grossa presa d’aria ovoidale, perfetta a livello di proporzioni, con la sezione centrale della presa che riprende la doppia striscia della carrozzeria, enfatizzando ancor di più la larghezza.

I passaruota anteriori, che nella parte superiore sono incredibilmente eleganti, si allargano in modo vistoso in corrispondenza delle ruote, mostrando in modo evidente lo sforzo compiuto da Shelby per contenere i cerchi da 17 pollici e le grosse gomme dalla spalla generosa. I cerchi, con il gallone centrale bloccato da un fil di ferro, sono semplicemente bellissimi.

Spostandomi verso il retro della Cobra, sbalordito dall’altezza minima di questa opera d’arte, resto impietrito di fronte all’imponenza degli scarichi: 4 tubi che fuoriescono dalla fiancata per poi confluire, poco prima della portiera, in quello che sembra in tutto e per tutto un tubo del diametro di una grondaia. Il fatto che lo scarico sia nero, e non cromato, le dà quel tocco in più, aggiungendo alla bellezza del dettaglio una brutalità da arma che mi fa uggiolare di piacere, tipo quando al cane fai vedere il Dentastix. Giurerei, anzi, di scodinzolare un po’ in questo momento. All’altezza del tappo della benzina, sul passaruota posteriore destro, mi inginocchio. Alla mia destra, tagliato a fetta di salame, c’è la fine dello scarico, rivolto verso l’esterno, leggermente inclinato verso il basso. La fiancata, appena oltre la portiera, si allarga di una spanna, si gonfiando verso l’esterno per poi rastremarsi verso il posteriore dell’auto, con una sezione tipo goccia d'acqua. Quella curva, ragazzi, è qualcosa di organico.

Al centro di queste linee degne della Sindrome di Stendhal c’è il gruppo cerchio/pneumatico più impressionante su cui io abbia mai messo gli occhi. La gomma, una 295, riempie l’enorme bombatura sino all’ultimo millimetro, con addirittura qualche centimetro di gomma coperto dalla parte superiore del passaruota. Il canale gigantesco di questi cerchi in lega è una monumentale dichiarazione d’intenti, come il cannone sul muso di un A10. Il bocchettone per il rifornimento stesso, lucido ma non cromato, è un’opera d’arte che terrei volentieri sulla mia scrivania. Non posso farne a meno: allungo la mano destra, la appoggio sul passaruota posteriore e la tengo lì, ferma, come a sentir battere qualcosa. Sento, facendo pressione sul palmo della mano, il mio cuore che pulsa lento e profondo. Alzo lo sguardo e mi rendo conto che non sono solo io a sentirsi vagamente stordito dalla visione della AC Cobra. Chi con una mano, chi con un solo dito, tutti i presenti non possono fare a meno di accarezzare la carrozzeria.

Paolo ci guarda, stiamo palesemente molestando la sua macchina, ma ci sorride. Beppe esprime il pensiero di tutti: “Anche voi non riuscite a fare a meno di accarezzarla?” Si, Beppe, ma finchè tieni i pantaloni su va bene... Quando Paolo ci apre il cofano anteriore (attraverso due fermi a levetta, anch’essi bellissimi) ciò che si presenta davanti ai nostri occhi è molto diverso da quello che ci si aspetterebbe da un 7.0 V8. Nella mia testa il grosso Ford è enorme e quasi contenuto a stento dal telaio, ma mi sbaglio di grosso. Il poderoso V8, nato inizialmente per le gare Nascar, è incredibilmente compatto in rapporto alla cilindrata. Sta tutto dietro all’asse anteriore. Si può dire che la Cobra è a tutti gli effetti una vettura a motore centrale anteriore e, scusate l’ignoranza, non lo sapevo. Il V8 “Side Oiler” è sì compatto, ma pesa quasi 500 kg, in pratica ricavato dal pieno da un unico blocco di ghisa. Sembra un macchinario industriale in stile steampunk, con i tubi di scarico giganti che si intrecciano ed il grosso filtro dell’aria circolare sopra il carburatore.

Mentre sono inginocchiato, questa volta sul lato sinistro, il nostro video maker preferito, Josh, chiede di accendere la bestia e si inginocchia anche lui per l’inquadratura migliore. “E’ ferma da un po’, magari non parte subito…” Forse per la premessa piuttosto rassicurante, nè io nè Josh ci tappiamo le orecchie anche se ci troviamo esattamente in corrispondenza dello scarico. Dopo un attimo di iniziale silenzio, il V8 si sveglia con un boato talmente forte che entrambi saltiamo all’indietro. Ci osserviamo a vicenda, mezzi sordi, ed il 7 litri si assesta al minimo, facendo tremare tutta la casa con un suono pari ad un classico raduno Harley-Davidson. Più che un suono è una vibrazione, è qualcosa di solido che ti colpisce le cellule. Giurerei di sentirlo attraverso gli organi interni e con le ossa, con le orecchie completamente sopraffatte dal pulsare del motore. Quando Paolo accenna un paio di sgasate, nel rimbombo del garage, ho la sensazione che qua si stia giocando con un gigante. Sarà per il suono, sarà per i gas di scarico che invadono l’autorimessa, ma tutti qua ridiamo istericamente. Stiamo per per portare fuori un grosso, scorbutico e potente dinosauro. Divertente, ok, ma a “Jurassic Park” non è finito benissimo, o ricordo male?

Su strada

Superato lo shock di veder girare una Cobra per le strade cittadine, con Paolo al volante, ora è il mio turno. La procedura per sedersi sul sedile della Cobra è precisa, tanto che Paolo, dopo avermi visto entrare ed uscire una paio di volte più sgraziato di una donna in un parto trigemellare, decide di aiutarmi. Anche perché, nel punto esatto in cui istintivamente appoggio la ciccetta morbida del polpaccio, passa lo scarico incandescente, quindi è meglio conoscere la tecnica giusta. Dunque, per entrare al posto di guida il metodo è semplice: mano destra sul fianchetto destro del sedile di guida, poi si appoggia il piede destro nello spazio tra volante e sedile, si sposta il peso sul lato destro del corpo, si appoggia la mano sinistra sull’altro fianchetto del sedile, si tira dentro la gamba sinistra e si scivola dentro l’abitacolo, distendendo contemporaneamente le gambe. La prima volta che ci provo, la sensazione è quella di un pilota di caccia della Seconda Guerra Mondiale. Il sedile, a causa dell’imponente tunnel che copre la trasmissione, è disassato verso l’esterno della vettura, a sinistra.

Nonostante il sedile sia fisso per il metro e novanta di Paolo, il mio piede sinistro trova con facilità la frizione ed il freno, formati da due pedali “tradizionali” con impresso il logo “AC”. Sotto il piede destro, invece, trovo un’altra caratteristica aliena della Cobra: il pedale, per come lo intendiamo noi, semplicemente non c’è. Al suo posto c’è una sorta di tondino di metallo, spesso 2 o 3 centimetri, che funge da comando dell’acceleratore.

Pazzesco, eppure dentro la Cobra mi sembra quasi normale trovare cose straordinarie. Il comando degli abbaglianti? E’ un grosso pulsante alla sinistra della frizione. Si aziona con il piede sinistro, ovviamente, perchè con il braccio non ci arriverete mai. Normale no? Come vi ho detto prima, il V8 è montato molto arretrato nel telaio della vettura: di conseguenza, l’enorme trasmissione è praticamente “dentro” l’abitacolo, a pochi centimetri dal mio braccio destro, e la leva del cambio sbuca all’altezza dell’anca del pilota. Per fare in modo che il grosso pomello nero sia raggiungibile dal pilota, l’asta è completamente piegata in avanti. In pratica il pomello entra nella vostra visuale da dietro la vettura e non davanti come in qualsiasi altra auto.

Meraviglioso. Impugno il pomello, nero e grosso come una palla da baseball e prendo la mano con la posizione dei rapporti dello schema ad H, tutto sommato canonica. E’ ora.

Mano sulla sottile chiave che sbuca dalla plancia portastrumenti a sinistra del piantone dello sterzo, un quarto di giro a destra, premo il tasto nero a fianco.... il V8 parte con un boato e inizia a vibrare al minimo tutto attorno a me. Frizione giù, pesante ma non così tanto come si potrebbe pensare, impugno il grosso pomello e lo spingo in giù e verso di me. Con un “clong” ben avvertibile sul ginocchio destro, la trasmissione mi dice che la 1° è dentro. Si va, sono dentro una Cobra e si sta muovendo al minimo, suonando come un motoscafo da competizione. Come da prassi, durante i test, la prima cosa che facciamo una volta saliti in auto è fare le foto “in movimento”. E’ una fase molto difficile per me. Andare avanti e indietro a 40-50 km/h con un’auto nuova e spesso veloce sotto le chiappe è un esercizio di autocontrollo tipo tortura cinese. Oggi, però, sono felice di poter approcciare la Cobra in modo soft, quindi sono stranamente accondiscendente con le richieste di Gabri e Josh.

Lo stacco della frizione è semplicissimo, perché il V8 ha così tanta coppia da muovere l’auto senza alcun problema, a prescindere dal regime del motore. Aumento un po' il ritmo, frizione giù e porto il cambio in 2°. Nonostante l’inclinazione dell’asta del cambio, per inserire la 2° bisogna ruotare un po’ il corpo verso l’interno dell’abitacolo, piegare il gomito in basso e portare il pugno all’altezza della spalla. Sarà per la posizione dell’asta, per la dimensione del pomello o per il V8 che al minimo sembra un aereo al decollo, ma mi sento come se avessi appena compiuto un’azione incredibilmente complessa, qualcosa per cui è necessaria un’esperienza decennale o una patente aeronautica. Che so, aprire il carrello, attivare i flap o cose così. E invece ho solo messo la 2°, pazzesco. Ogni azione, anche solo al minimo, è pura fisica, e quando la cambiata va a segno mi sento vagamente eroico. Stupido? Forse, ma vi assicuro che è così.

Quando finalmente portiamo la Cobra su una strada più congrua, per farla sfogare, mi sento abbastanza preparato. Fatta la tara con tutte le sue particolarità, la Cobra si dimostra semplice, quantomeno da portare a spasso. I rapporti entrano tutti e 5 senza problemi, anche se ovviamente è un’azione più di forza e precisione che di velocità, ma non potrebbe essere più soddisfacente di così. Sotto al tondino che funge da acceleratore, attraverso il piede e su fino al cervello, si sente chiaramente la resistenza del cavo che apre e chiude il carburatore. Per dare gas, quindi, c’è bisogno di vincere una resistenza meccanica ben definita. Una volta fatto, il V8 risponde con una immediatezza ed una forza che semplicemente, oggi, non può avere pari. Non è una questione di prestazione pura, perchè le vetture moderne sono più capaci di generare l’effetto “fionda”, ma è l’assoluta immediatezza con cui l’auto risponde al gas. Non ci sono filtri, centraline, controlli della trazione. Ci sei solo tu che apri e chiudi il carburatore di un gigantesco V8, stop. La posizione di guida mi sembra buona e, anche se sono completamente esposto all’aria, mi sento protetto nella pancia del bestione. Anche a livello di dinamica mi sento stranamente a mio agio. Ad andatura tranquilla la Cobra è amichevole. A basse velocità, però, mi rendo conto che i problemi potrebbero arrivare non dal retrotreno, ma dall’avantreno. Mi spiego. Per scavalcare il grosso V8, il comando dello sterzo fa un giro pazzesco di barre e snodi nel cofano motore. Così facendo lo sterzo è molto demoltiplicato, oltre che molto pesante da usare essendo totalmente privo di servoassistenza. Vi assicuro che l’ultima cosa che vorreste fare sulla Cobra è una correzione veloce con il volante, semplicemente perchè non c’è modo di farla. A questo aggiungete che dal primo inserimento in curva si percepisce chiaramente che, per quanto sia arretrata, la massa del motore è davvero imponente. Aumento il ritmo un po’ alla volta, nel pieno rispetto della fama di “creatrice di vedove” che la Cobra si porta dietro. L’assetto, rasoterra, è rigido ma flessibile, con una morbidezza intrinseca dovuta più alla spalla generosa delle gomme che dal lavoro delle sospensioni che hanno una corsa minima. Ci sto prendendo la mano: freno a ruote dritte, chiamo a raccolta i muscoli delle spalle e della schiena, batto l’inerzia iniziale ed inserisco l’avantreno in curva e, quando il telaio della AC è bello comodo, dò gas in appoggio sui poderosi pneumatici. Per fortuna la corsa dell'acceleratore è decisamente lunga, così si può dosare l’esatta quantità di potenza che si desidera.

Il V8 gira basso, non può andare oltre i 4800 giri/minuto, ma ha una reattività pazzesca e tira quasi fin dal minimo. Paolo, al mio fianco, mi sembra rilassato, così sblocco un altro livello di fiducia. Accelero a fondo in 2° e 3° e un pizzico di 4°, con il V8 che ora tuona con una violenza deliziosa. Vorrei lo sentiste anche voi, quindi facciamo un gioco. Chiudete gli occhi e immaginate una grandinata con chicchi da mezzo kg su un tetto in lamiera. Ci siete? Al minimo il V8 suona come l’inizio della grandinata, con colpi singoli, forti, ritmati e ben definiti tra loro. Quando spingo il V8 su di giri, invece, è come se vi trovaste nel pieno della grandinata, con i colpi che si fondono tra loro senza soluzione di continuità e con urgenza crescente, da catastrofe naturale. E’ talmente spettacolare che non posso fare a meno di dare colpetti di gas in scala, solo per sentire il V8 ruggire rabbioso. Davanti a me c’è una leggera curva a sinistra, in forte pendenza, che porta ad una destra abbastanza veloce, con ingresso stretto che poi via via si allarga. La Cobra, urlando in 4°, si avvicina al punto di frenata caricando a testa bassa. Leggera frenata, tanto per mettere l’anteriore già in rotazione, infilo la 3°, poi freno a fondo prima di affrontare la curva a destra.

Il movimento con lo sterzo è in due tempi: la prima azione serve per battere le inerzie e, appena la Cobra inizia a curvare, aumento l’angolo di sterzo attraverso il volante. L’AC va in appoggio e, appena in equilibrio, premo a fondo l’acceleratore, teso come un violino e prontissimo a togliere gas se dovessi sentire le gomme posteriori accennare ad un scivolamento. Con mia grande sorpresa, la Cobra esce dalla curva con il posteriore schiacciato a terra, il V8 che ruggisce ed i miei occhi dilatati dalla sorpresa. Wow, è come accarezzare un enorme cane e scoprire che non vuole mangiarti la mano. La Cobra non solo mette giù i cavalli a disposizione, ma viene fuori dalle curve in un modo che, non saprei come altro definirlo, è quasi epico. Lo sterzo va ovviamente accompagnato in fase di ritorno, ma è un’azione naturale, anche se impegnativa.

Trascorro la restante mezz’ora a Guidare (maiuscolo) questo gioiello, cercando di fare tutte le cose per bene e, quando ci riesco, godo a sentir lavorare sotto di me una Cobra. Ora sono rilassato e nonostante sia davvero concentrato, le mie azioni si fanno più morbide, meno tese. Ma sono impegnato al massimo, sia muscolarmente che mentalmente, impostando e ragionando su ogni singola azione. Ad un certo punto esagero di una frazione la velocità d’entrata in una doppia sinistra: un filo di fiducia di troppo. L’auto passa da neutra ad un sottosterzo ben avvertibile, sento distintamente la massa del motore che rapidamente prende il sopravvento sul resto della Cobra. Resisto alla tentazione di affondare il gas per bilanciare, sarebbe stupido aumentare l’impegno sulle gomme, e alleggerisco solamente. La Cobra, appoggiata pesantemente sullo pneumatico esterno anteriore, ritrova direzionalità con preoccupante calma, esattamente quando il mio cuore torna a battere. E’ stata una sfumatura, nulla di clamoroso, ma avvertibile nella mia testa come una sirena da cantiere. Ho capito: oltre questo c’è il “punto di non ritorno”. Se si lascia vincere l’inerzia dell’anteriore, la Cobra va dritta e non c’è nulla che si possa fare per impedirglielo. Lezione imparata, e grazie per essere stata così paziente con me. Eppure, anche con questo chiaro avvertimento, mentre esco per l’ennesima volta dalla curva a destra di prima con il posteriore accucciato, con il 7.0 che urla come un orco ed i capelli che mi sbattono in faccia, non vorrei essere da nessun’altra parte al mondo.

Considerazioni finali

E’ tutto perfetto così, un inno al fatto che impegnarsi in qualcosa è la via per la gratificazione. Mi fermo. Giro la chiave a sinistra, il V8 si zittisce e resto seduto per un attimo, a capo chino, in silenzio tra i miei pensieri. Sospiro, apro la portiera, appoggio le mani sul sedile e mi tiro su. Nonostante la nomea da auto pericolosa e l’assoluta concentrazione di cui ha bisogno, non cambierei nulla di questa Cobra, a parte il nome sul certificato di proprietà. Ve lo dico chiaro e tondo, dritto per dritto: non c’è auto moderna che tenga, questa esperienza è assolutamente UNICA. Anche io, come voi, amo le vetture moderne, non fraintendetemi, ma la Shelby Cobra 427 vi porta ad un livello di coinvolgimento che appartiene ad un’epoca che non tornerà mai più. La Cobra non è solo una sportiva anni ‘60, ma è un’auto da corsa anni ‘60, un’auto che se la vedeva con le Ferrari 250 GTO, per darvi un’idea. Puro ed eroico Motorsport dei tempi che furono. Guidare una Cobra non è solo un’esperienza automobilistica, è un’esperienza al pari di una nuotata tra gli squali o un lancio con la tuta alare. E’ qualcosa che ti racconta una parte di te e ti cambia un po’ dopo averla provata. Se state pensando di togliervi uno sfizio automobilistico, il mio consiglio è di chiamare Paolo. Affitta la sua Cobra a chiunque voglia immergersi in questa esperienza e lo fa con una calma ed una competenza eccezionale. Appena vi sarete ripresi, sono certo mi ringrazierete.

Arrivo a casa. Mi tolgo la maglietta sudata, apro il rubinetto della doccia (caldaia vecchia, tempi di riscaldamento tipo FIAT Uno TD) e mi guardo allo specchio. Ho la fronte arrossata dal sole, così come il naso, che sembra retroilluminato a LED, come quello de “L’Allegro Chirurgo”. Non me sono reso conto, eppure sono al limite della scottatura. A discapito delle mie origini calabro-sicule, il primo sole dell’anno ha lasciato il segno. Quando appoggio le mani sul lavandino sento bruciare il polso destro. Guardo, c’è un’abrasione sul lato interno, perfettamente dritta. Dopo un attimo capisco: è dovuta alla conformazione della leva del cambio, mentre guidavo non me ne sono accorto. Torno a scrutare il riflesso nello specchio. Ho uno sguardo stravolto, i capelli appiccicati alla fronte e le spalle curve. Non è tutto, perché la lentezza dei miei pensieri, mentre il bagno si riempie di vapore, mi fa capire che anche a livello mentale l’impegno è stato grande. Sono sfinito, sul serio, ma felice di portare addosso i segni di questa esperienza. E’ giusto così.

La Shelby AC Cobra 427.

Un enorme ringraziamento, grosso almeno quanto un 7.0 V8, va a Paolo. Ha un’auto incredibilmente rara che ha riportato su strada in un decennio abbondante di duro lavoro, impegno, passione e dedizione, eppure oggi ci ha dato al possibilità di guidarla e di metterci alla prova con lei. “Grazie” è poco, ma non ci sono altre parole. L’AC Cobra 427 di Paolo è disponibile per feste, videoclip, matrimoni o anche solo per un giro per le Langhe. Quanto descritto nell’articolo è solo una parte dell’esperienza che si prova a bordo della AC Cobra 427, quindi fidatevi: sentite Paolo.

Questi sono i suoi contatti:

Sito Web | Tel. 328 2798130| Mail: info@shelbycobra.it

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