Un giorno al museo

27 luglio 2020| scritto e pensato dalla mente malata di Gabry | editato e corretto dal pensiero distorto di Gabry

"Cazzo ho dimenticato la mascherina!"

Piove su Torino come cantavano i Subsonica. Il nostro debutto è di quelli bagnati, ma se è vero il proverbio “Debutto bagnato, debutto fortunato” avvisatemi subito che fisso appuntamento in concessionaria.

Il Museo Nazionale dell’automobile di Torino è uno di quei luoghi in cui torni sempre con piacere. Se abiti in città lo conosci, l’hai visitato un sacco di volte fin da bambino, ma ad ogni visita c’è sempre qualcosa che ti eri perso e che ti strappa un sorriso. Se poi aggiungi che è uno dei musei dell’auto più antichi del mondo e che meno di 10 anni fa gli hanno rifatto il look che manco la Abarth 350GP di Giannini, il gioco è fatto.

Il primo euro e mezzo se ne va nella vending machine in ingresso per una orribile mascherina usa e getta. Non la sopporto già più... Siamo dentro, nell’atrio regna maestoso un simulatore ultra realistico Wave Italy da F1. E’ stupendo e non resisto. “Si può provare?” chiedo timido al ragazzo alla porta. Il prezzo per una test da 7 minuti costa come una cena per 2 da Cannavacciuolo. Desisto.

Facciamo i biglietti e rompiamo il ghiaccio con due battute da curva nord sulle tette della bigliettaia che ci becca come la prof del liceo, ci guarda malissimo e ci invita velocemente ad entrare. Saliamo le scale mobili tra i soliti clichè su “mamma FIAT” e siamo già al piano 2, là dove tutto inizia.

Ci soffermiamo incuriositi davanti alle prime carrozze motorizzate, colpiti dalle date stampate sui pannelli a terra che ci portano indietro di 130 anni. CENTOTRENTA! Sala dopo sala, i cavalli da traino scompaiono e lasciano spazio a carrozzerie incredibili e soluzioni sempre più avanzate. Il portapacchi di una FIAT 18/24 HP del 1908 ci fa volare con la fantasia. Ma è quella specie di interfono primordiale montato sul telaio della carrozza che ci manda sulla Luna. Permetteva la comunicazione tra l’autista, rigorosamente esposto alle intemperie protetto solo da un “parabrezza” e la cabina retrostante, completamente chiusa tra vetri e velluto. Avete presente il telefono senza fili che si faceva a scuola con i bicchieri di plastica e lo spago? Più o meno uguale. Con tutta probabilità, a veicolo in movimento, era utile come un benzinaio ad una gara di Formula E. Se Ambrogio fosse vissuto nel 1908, la famosa “voglia di qualcosa di buono” della maliziosa Signora seduta dietro la Rolls non l’avrebbe mai sentita. Addio piramide di Rocher…

Indietreggio per scattare una foto all'auto e per poco non caracollo sul parafango di una Isotta Fraschini AN 20/30 HP del 1909. Si esatto, l'auto di una delle prime donne patentate della storia. Quattromilaenove di cilindrata per 30 cavalli di potenza. Un porno per Trattoristi insomma.

Il vigile del museo, in ronda perpetua, mi passa di fianco e mi redarguisce "la mascherina, grazie!" che mi era scivolata sotto il naso. Sta cazzo di mascherina...

Lo ringrazio, mi volto e mi fermo in contemplazione estatica. Davanti a me, sapientemente illuminata, una Cisitalia 202 Berlinetta, rossa fiammante, carrozzata Pininfarina. Classe 1947, "Una scultura in movimento" recita la descrizione. Non mi sento di contraddirla. Elegante, tremendamente sexy, non a caso fu esposta al MoMa di New York. Da feticista apro Google e digito "Cisitalia 202 Berlinetta quotazioni". Ci vogliono 200.000 euro per l'esemplare in mostra. Li vale tutti e, non lo dico per vantarmi, a me ne mancano solo 198.000. Yes! Sogno possibile.

Una musica francese mi attira poco più in là e come per incanto siamo al salone dell'auto di Parigi del 1957. Regina assoluta, la Citroen DS, "lo squalo" per chi ne capisce. Un design audace e avveniristico, linee tirate e sinuose, capaci di far girare la testa ancora oggi. Per la DS (Acronimo di Division Special) gli ingegneri Citroen progettarono quanto di più evoluto si potesse adottare su un'auto. Era talmente avanti per l'epoca, che a confronto oggi la Tesla Model X è una chiave esagonale del 12. Fiore all'occhiello del progetto DS, le mitiche sospensioni idropneumatiche, o autolivellanti. Rivoluzione pura. Il progetto fu utilizzato su licenza anche da Rolls Royce (per citarne una a caso) e permetteva all'auto di marciare anche senza una delle 4 ruote. Follia pura. Per info Chiedere al Generale De Gaulle…

Occhio alla 600 Multipla! Tiro Carito per un braccio mentre scivola sulla sabbia finta dell’ambientazione estiva dedicata alla monovolume FIAT più amata dalle suore. Per poco non facciamo danno, ma nella foga Carito strappa l'elastico della mascherina. L’infanzia regalata alle serie TV su Italia1 finalmente torna utile: sì improvvisa MacGyver e con la chiave della cantina fa un foro nel tessuto cui lega l'elastico della mascherina. Mi guarda “Come sto?”. Eleganza voto 3 meno meno, Efficacia 9 e mezzo.

Dieci passi più in là e ci troviamo proiettati negli anni '60. Le linee di carrozzeria si ammorbidiscono, l'auto diventa giocattolo con la BMW Isetta, le Fiat 500 e 600 riempiono le città italiane, ma è la Jaguar E-Type che fa sognare gli inglesi (e non solo), protagonista nelle avventure di Diabolik. Il suo cofano infinito, i fari inconfondibili, i tre tergicristalli anteriori…..aspetta, COSA?! Tre tergi anteriori?! Questa me l'ero persa…

Naaa, vieni a vedere questa!” mi chiama Carito da lontano. Mi avvicino incuriosito e un po’ ansioso come un bimbo pronto a scartare il suo regalo di Natale. Davanti a me, in tutta la sua lunghezza, una NSU RO 80 del 1966 rossa. Esteticamente la RO 80 è un mix tra una Fiat 128 e una NSU Prinz. Roba sconsigliata ai deboli di stomaco insomma. Per farvi capire cosa ho provato, immaginate di chiedere a Babbo Natale la macchinina radiocomandata e nel pacco scartate un Puzzle a tema "Fiordi Irlandesi" della Ravensburger. Montava però uno dei primi motori Wankel, birotore, 995 cm3 di cilindrata complessiva per 107cv, incredibilmente silenzioso e molto performante. I consumi erano quelli di un Jet in decollo. Fu prodotta per 10 anni e nel ‘68 fu addirittura eletta Auto dell’anno. I numerosi problemi meccanici del modello, però, fecero calare sensibilmente le vendite. Di fatto, la RO 80, fu l’ultimo modello ad uscire col marchio NSU. Gli enormi costi per lo sviluppo del Wankel e le vendite in calo decretarono la morte del marchio che fu presto acquisito dal gruppo VW.

“La mascherina, grazie!”, chiedo di nuovo scusa al vigile che a questo punto siamo sicuri ci abbia puntato fin dall’inizio. Dai lineamenti sembra il papà della bigliettaia...

Ridiamo maleducati sul telaio esposto di una CHIRIBIRI del ‘22 mentre giriamo un po’ stanchi nella sala dei motori. Nel padiglione adiacente, però, ci attende LEI: una Temperino 8/10HP del 1920. Cosa ridete? L’avete mai vista? Questa spettacolare biposto in configurazione sportiva sprizza millenovecentoventi da tutti i rivetti. Rossissima, ruote scoperte a raggi, completamente aperta, culo a punta come la prua del Titanic, sospensioni a balestra squisitamente a vista, monta un bicilindrico a V da 1000 cc raffreddato ad aria con doppio scarico esterno che parte dal cofano motore e corre uno per lato. Un tubo nero e dritto lungo tutta la vettura. E’ minuscola, pesa come una bici da Milano-Sanremo e va forte. Molto, molto forte per l’epoca. Fanaleria non contemplata, ha 20 cavalli incazzatissimi e consuma appena 6 litri di carburante ogni 100 km. Vinse la Sassi-Superga nel 19 e l’anno successivo il giro del Sestriere. L’auto perfetta esisteva già 100 anni fa. Come i figli di un certo Battista Farina (ma voi chiamatelo Pinin), me ne innamoro all’istante. Torno su Google ingrifatissimo ma freno subito gli entusiasmi: zero esemplari in vendita e quotazioni non disponibili. Resterà per sempre il mio sogno.

Mi avvio sconsolato verso il padiglione successivo, accompagnato da una fantozziana Autobianchi Bianchina ed i trofei storici di Formula 1 in cristallo di Bohemia. Tra urla di motori da gara e proiezioni luminose, ci ritroviamo nella sala più preziosa e adrenalinica del Museo: la sala dedicata alle competizioni. Una pedana inclinata ospita a mò di griglia di partenza 16 modelli che hanno fatto la storia delle corse. Rigorosamente esposti in ordine cronologico destra-sinistra, vengo magneticamente attratto da una Monaco Nardi Chichibio del 1932. Il nome Chichibio è quello del cane del costruttore Augusto Monaco che, insieme ad Enrico Nardi e Massimo Lancia costruirono questa incredibile vettura da corsa. Con i suoi 300 kg di peso, il motore a V bicilindrico trasversale 1.0 cc raffreddato ad aria erogava 65cv e lanciava la Chichibio a più di 180 km/h. Sportelli totalmente assenti, schienale verticale incollato al serbatoio, la seduta era a 25 cm dal suolo. La configurazione perfetta per scambiare due chiacchiere con la morte, fedele compagna di viaggio di tutti i piloti dell'epoca.

Maserati, Alfa Romeo e Ferrari completano la griglia ed in poco più di 30 passi, puoi osservare l'evoluzione tecnologica e stilistica delle F1 dagli anni 20 ad oggi. Un viaggio nella storia dei motori roboanti che non ha eguali. Spiace solo non poterle accendere….

Inciampo in qualcosa, tiro un porco nella mascherina e mi aspetto solo l'uscita da questo viaggio nel tempo. Ma proprio quando pensi che tutto sia finito, ecco dietro l'angolo spuntare il muso bassissimo di un'Alfa 155 V6 TI del campionato DTM. È quella bianca e rossa numero 5 di Nicola Larini. La memoria torna ai pomeriggi su TMC2 o Telemontecarlo che, a metà degli anni novanta, trasmetteva in diretta il campionato DTM. Spettacolare, selvaggio e adrenalinico, io lo ricordo così. Il DTM 1993/1996 fu, con tutta probabilità, l'espressione più alta mai raggiunta da un torneo di derivate stradali. All'epoca il gruppo Fiat arrivò ad investire in Alfa Corse quasi quanto per Ferrari in F1. I risultati furono sbalorditivi, il 2.5 litri V6 da 420 cv (poi portato a 490) era velocissimo e molto affidabile. Quasi impossibile per le Mercedes 190 battere il Team di Giorgio Pianta che, nel '93, si portò a casa il mondiale con 11 vittorie su 20 gare disputate. Fatta eccezione per l'anno 1996, la 155 V6 TI fu l'auto più vincente del campionato con grande imbarazzo in casa Mercedes, che nel ‘92 accolse la proposta di Alfa di partecipare al campionato, con lo stesso spirito con cui il Barcellona accetta una sfida contro la Nazionale Cantanti. Poi però, prende 6 pere in casa schierando tutti i titolari. "Gli spaghettari" all'esordio fecero letteralmente il "culo a strisce" ai padroni di casa. Il seguito da parte del pubblico era incredibile e mise quasi in ombra il mondiale di F1.

Se volete approfondire, cercate su YouTube il documentario di Davide Gironi. Garantiti 50 minuti di divertimento e addominali segnati.

“Basta! me la tolgo, mi son stufato non respiro più!” Carito mi guarda perplesso mentre, davanti ad una delle Lancia Aurelia, mi tolgo platealmente la mascherina ormai esausto. Dietro di me sento i passi del vigile del museo farsi sempre più vicini come Capitan Uncino col coccodrillo Tic-Tac. Fanculo, ho già capito. Tiro una supercazzola al vigile mentre la rimetto “mi scusi, stavo cosando il saffani”. Non ha capito una cippa e allontanadosi mi fa pollice su come gesto d’intesa. Carito strozza una risata sotto la maschera e mi sussurra “che coglione sei?

Il 2020 è il settantesimo anniversario della Lancia Aurelia ed il museo dedica lo spazio riservato all’esposizione temporanea tutto a lei. Una carrellata magnifica di esemplari in ogni versione prodotta, celebrati attraverso le sue storiche apparizioni. Ci toglie il fiato per l’ultima volta.

Questa volta siamo veramente alla fine del tour. Anche questa volta il Museo ci ha regalato un’esperienza incredibile sull’evoluzione di quello che per noi non è soltanto un mezzo di trasporto a motore, ma uno strumento magnifico in grado di trasmettere emozioni, da amare e venerare.

Esco dalle porte a vetro come un podista attraversa il traguardo, mi volto verso l’ingresso e, un po’ cinicamente, mi tolgo finalmente sta cazzo di mascherina. LIBERTA’!

Da dentro, il vigile mi osserva con le mani dietro la schiena in segno di sfida, poi abbassa la sua maschera e ci saluta “Arrivederci, grazie e occhio ai fassaddori salotti ora che rientrate

Eh?

Mi sorride, rialza la maschera e torna dentro.

Al vigile del Museo non la si fa...

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