Roadrunner Racing SR2

- Stairway to heaven -

“Ciò che sta per succedere resterà impresso nella mia memoria per sempre, con un bel cuoricino accanto, come le dediche sulla Smemoranda delle superiori. La SR2 inizia a sovrasterzare con un movimento fluido, senza perdere assolutamente velocità e guadagnando ancora due tacche di agilità, che era già ad un livello mai provato fino ad ora. Avviene tutto molto rapidamente ma in punta di piedi e, nello stesso tempo, la SR2 sta sparando dritto nel mio cervello un'immagine rallentata ad alta risoluzione di ciò che sta avvenendo sotto il battistrada...”

“Ciò che non c’è non pesa e non si rompe”, diceva il buon Colin Chapman. Ciò che si è dimenticato di dire è che nel guidare un’auto costruita con questi principi si creano alcuni dei migliori ricordi che si possano avere dietro al volante di un’auto.

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08 giugno 2021| scritto e pensato dalla mente malata di M.Carito | editato e corretto dal pensiero distorto di Gabry | Inquadrato, scattato, editato dalla mano mossa di Gabry

L’esordio di Ruggine Magazine su uno “sfilatino” è stato più travagliato di un parto. Cioè, in verità è stato proprio come un parto: abbiamo rinviato il test 3 o 4 volte a causa della nascita (e di un paio di falsi allarmi) del primogenito di Gabri, uno degli Arruginiti. L’immagine è questa: Gabri mi parla del bimbo, io gli parlo delle rullate che il proprietario della Roadrunner mi invia per gasarmi. Lui smania nell’attesa del figlio e io sclero nell’attesa di mettere le mani sulla SR2 di Alberto. Sono sicuro che mi capirete. Ma partiamo dall’inizio: cos’è uno sfilatino? Si definiscono “sfilatini” le creature di quei costruttori che, partendo dal layout della Lotus Seven di fine anni ’50, hanno proposto la propria versione del dogma chapmaniano di “aggiungere leggerezza”. La cosa è diabolicamente semplice: Quattro ruote, un telaio tubolare e un motore più o meno potente, a seconda che vogliate un’andatura spedita, molto veloce o spianarvi le rughe meglio del botox ad ogni accelerata. Tutto ciò che non è strettamente utile per guidare è tagliato fuori da questa equazione. Per dire, le portiere? Di chi parli, di Buffon? Il tetto? No, se piove cerca un albero. Abs? Ti abbiamo lasciato le ruote anteriori a vista, quando vedi fumare gli pneumatici molla il freno, è meglio. In fondo basta guardare le foto del servizio per capire il livello di “strettamente necessario” di queste realizzazioni. Nel corso degli ultimi 60 anni i panettieri che si sono cimentati nell’impresa di costruire il proprio “sfilatino” sono stati innumerevoli, a cominciare da quelli che se lo sono fisicamente costruito nel cortile di casa con fil di ferro e pinze, fino ad arrivare a colossi come Caterham, che possiamo considerare “i più fighi del reame”. Ecco, lì da qualche parte tra “Peppino o’meccanico” e Caterham si pone la Roadrunner Racing.

Per farla breve, si tratta di un costruttore con sede in UK (ovviamente) che, meno di 15 anni fa, ha deciso di lanciarsi nel mondo dei prodotti da forno a motore con il proprio sfilatino. Martin Keenan, dopo aver fondato con il fratello un’altra panetteria di sfilatini, la MK Sportscars, si stacca e crea la sua versione di Lotus Seven. Se non è una fissa questa, poco ci manca. Comunque, il buon Martin approccia questa nuova avventura in modo trasversale. Ok, la sede è poco più di un garage privato, con tanto di foto sminnate alle pareti. Però, al contrario di tante concorrenti, la vettura è disegnata al CAD, non così ovvio parlando di piccoli costruttori artigianali. Per intenderci, parliamo di gente che prende ancora le misure a mano e usa la saldatrice per fermare i bottoni della camicia. Ovviamente, anche con il telaio più bello del mondo c’è bisogno di un’auto donatrice, perché alcune componenti non sono progettabili da una piccola realtà. Può andar bene una MX-5 prima serie? Ottima idea, anche perchè il buon Martin è l'ex proprietario un’altra azienda (la "Automotive Repair Company") che prepara e restaura proprio le Mazda MX-5, quindi l’esperienza non manca. Immagino il nostro eroe abbia giornate da 56 ore, altrimenti non mi spiego come faccia a fare tutto. Comunque. Il classico motore Mazda da 1800 cc e 130 cv trova posto sotto il “cofano” anteriore della SR2, collegato al fantastico cambio a 5 rapporti. Al posteriore c’è l’affidabile differenziale autobloccante lamellare Torsen. I freni sono anch’essi eredità della Mazda MX-5, ma appartenenti alla versione 1.6 l. Tutto il resto è più o meno costruito in casa: telaio tubolare, sospensioni a triangoli sovrapposti sia all’anteriore che al posteriore (le Caterham base dietro hanno il Ponte DeDion, come tiene a precisare Alberto, quindi 1 a 0 per noi), carrozzeria in pieno stile Lotus Seven, due gusci di vetroresina come sedili e un volantino. A tener tutto assieme e darle una parvenza di sicurezza c’è anche un robusto roll-bar. C’è poco, ma è tutto ciò che serve.

Come tutti voi, ho un angolo del cranio occupato da un database di articoli in cui il bastar…fortunato di turno racconta di aver vissuto, a bordo di uno sfilatino, uno dei momenti di guida più indimenticabili, intensi e rivelatori della propria vita. Quindi, ok le doglie, ma anche io ho sofferto abbastanza nell’attesa del mio momento, piegato in due sul divano. Per di più Alberto, il fortunato proprietario della SR2 del test, ha continuato per tutto il periodo a mandarmi i suoi video in pista e le rullate del motore preparato (175 cv, quasi 100 cv/litro). Grazie, sei un amico. Aspettative? Noooo, perché?

Impressioni a ruote ferme

La prima volta che mi trovo di fronte alla SR2 di Alberto, beh, sono felice come quando avevo dieci anni alla Vigilia di Natale. Non si può dire che gli sfilatini siano “belli” in senso stretto, questo è oggettivo, anche se la linea richiama immediatamente le auto da corsa dei tempi che furono. Insomma, c’è eroismo nell’aria. Però è un design che parla direttamente al tuo “Io” più intimo e puro, se sei un vero appassionato di guida. Quell’Io che ti fa svegliare la domenica mattina alle 6 solo per andare a fare un giro in santa pace, quell’Io che, mentre la tua compagna ti parla, ti fa osservare la curva che hai davanti e ti fa immaginare la migliore traiettoria d’attacco. Quell’Io che sfocia nella leggera sindrome ossessivo-compulsiva, per così dire. Ecco, davanti alla SR2 mi sento così, come davanti ad una moto: voglio sentire sul mio corpo quanto può essere impegnativa un'esperienza del genere. Il giallo ed il nero sono un’accoppiata fantastica per un prodotto come questo, perché fa assomigliare l’auto ad un grosso insetto. Uno di quelli che pungono&mordono. Sono davanti alla ruota posteriore destra e osservo, attraverso i tubi neri del roll bar, il piccolo volante appoggiato sul “cruscotto”, staccato dallo sgancio rapido.

Giro attorno all’auto. La vista dell’avantreno è piena di dettagli succosi su cui soffermarsi. I passaruota, in stile motociclistico, rivestono appena l’aggressivo gruppo ruota. Dietro i cerchi Team Dynamics neri, abbracciati da appiccicose Toyo R1R dall’aspetto puramente racing, i dischi e le pinze sembrano piccoli e delicati. I fari anteriori Lucas, che sembrano anch’essi presi pari pari da una Cafè Racer, rafforzano l’immagine di un grosso ragno, così come la grossa presa d’aria ovoidale sul muso. Le sospensioni a vista mi fanno venire voglia di abbracciare Alberto, ma mi fermo appena in tempo, perché ci conosciamo da circa 10 minuti e mi sembra brutto. Dal lato passeggero, che qua è a sinistra, sbuca il tubo di scarico, che termina appena prima del passaruota posteriore. Il silenziatore, o quello che dovrebbe essere, è grosso come un tubo di Pringles. Immagino gli applausi a scena aperta quando Alberto si presenta alla revisione, roba da lancio di reggiseni sul palco.

Una volta asportato il cofano anteriore ciò che ci troviamo di fronte è semplice e al tempo stesso perfetto. Il 4 cilindri Mazda, con la testa verniciata di giallo e la scritta “MAZDA” dal font deliziosamente anni ’90, è montato longitudinalmente, appena oltre il parafiamma, completamente dietro l’asse anteriore. Da un lato sbuca lo scarico, con tanto di bende anticalore annerite, e dall’altro, proprio di fronte al guidatore, fanno capolino 4 corpi farfallati coperti da un semplice filtro Pipercross. Radiatori, filtri, qua è tutto a vista, una specie di trattato di meccanica applicata. La porzione di telaio tubolare che si intravede, con le curate saldature a vista ed i fazzoletti di rinforzo, è fantastico nella sua brutale efficienza.

Oggi siamo fuori Torino e non ci troviamo in “zona Ruggine”, quindi Alberto si offre di portarci su un tratto di strada a lui conosciuto e io ne approfitto per fare un primo giro da passeggero. Non prima però di essermi fatto spiegare il modo migliore per entrare con dignità in questa RoadRunner. Se ve lo state chiedendo, ecco come si entra: appoggia un piede sul lato esterno del roll bar all’altezza della base della portiera, issati aggrappandoti alla sommità del roll bar con le mani, scavalca il roll bar con l’altra gamba tipo salita in moto, portala dentro l’abitacolo e appoggiati sulla battuta del telaio. Poi, appoggiando tutte e due le mani sulla sezione frontale della gabbia, porta dentro la gamba esterna e lasciati cadere nello strettissimo sedile. Dignità? Si, in effetti non male, almeno fino a quando non mi lascio cadere e sbatto con l’osso sacro sopra il blocco della cintura di sicurezza. Male, molto, ma ora ho capito perché l’hanno chiamato osso sacro: perché quando lo sbatti appaiono in visione mistica diversi santi, spesso dopo averli chiamati a raccolta in malo modo. Per altro Alberto deve aiutarmi a tirare fuori le cinture da sotto il sedere, quindi altro che abbracci, ora abbiamo una certa intimità.

Nel giro seguente la SR2 mi regala due input: follia e velocità. Segnatevi questo consiglio: andate nell’alto astigiano con la vostra auto preferita, perchè resto stupefatto dalla strada su cui ci troviamo. E’ un susseguirsi ritmico di saliscendi, quasi un anticipo di Langhe, che in effetti non sono lontanissime. Il percorso è stretto ma non troppo e c’è veramente tutto quello che un malato di guida possa desiderare: cambi di pendenza, veloci curve a vista, tornanti, curve cieche, discese e salite, il tutto raccordato senza soluzione di continuità da rettilinei per far sfogare il motore. Attorno a noi colline, vigneti e scorci meravigliosi. “Ok, vi porto in un piazzale qua in zona perfetto per foto e video, vuoi già guidare tu?” Salto fuori dall’abitacolo (vabbè, con calma, ho ancora male al coccige), e giro attorno alla Roadrunner. Alberto ha sganciato il volantino (ma che figo è sganciare il volante su un’auto stradale?) e, dopo aver ripetuto il balletto per entrare, mi ritrovo seduto dal lato guida, il destro. Aggancio il volante (“mi raccomando, doppio click, altrimenti sul più bello ti resta in mano!”), fisso le cinture a quattro punti e mi prendo un momento per guardarmi attorno. Una volta calato nel sedile non si può parlare di semplice “posizione di guida”. Sarebbe riduttivo ed il perché è semplice: sei bloccato, inchiodato al centro dell’abitacolo, con alla tua sinistra il tunnel della trasmissione in carbonio e a destra la carrozzeria. I fianchetti del sedile, con la trama della vetroresina a vista, mordono i fianchi, cedendo un po’ sotto il tuo peso, e così facendo mi calzano addosso perfettamente. Danno una leggera pressione sui muscoli della schiena, quasi a volerti trattenere al tuo posto. La pedaliera, in fondo al tunnel in cui ho infilato le gambe, è piccola ma esattamente dove dovrebbe essere, incernierata al pavimento. Tutti i movimenti superflui (prendere qualcosa in tasca, allungarsi verso il lato passeggero, togliersi qualcosa da sotto, girarsi a salutare…) mi sono impossibili: quel che ti è concesso sono le azioni strettamente necessarie.

La visuale che ho è una versione grandangolare di ciò che di solito si vede alla guida di un’auto. Sono seduto rasoterra ma il parabrezza piatto e la mancanza di portiere mi regalano una visione a 180°, interrotta solo dalle sottili cornici del vetro ed i tubi della gabbia. Sulla mia destra vedo il passaruota anteriore e la sospensione. Che roba. Già da fermo e a motore spento mi sento parte integrante di un meccanismo, come una specie di ingranaggio peloso. Il volante, piccolo come quello di un go-kart e rivestito di alcantara grigia, è perfettamente verticale e sbuca da un semplicissimo pannello in carbonio che funge da cruscotto e che contiene vari switch: frecce, fari, hazard e clacson. Dietro al volantino, spento, un piccolo monitor spigoloso.

Alberto si siede al mio fianco e mi spiega come accendere il tutto. Semplice, si gira la chiave e si da un colpetto di gas. Il 4 cilindri si accende con un suono che definirei tra l’incazzato e l’intimidatorio e si assesta su un minimo di circa 1100 giri/minuto. Fa il rumore di un piccolo formula, quel tipico suono sbraitante che hanno i 4 cilindri aspirati spinti. Lo dico chiaro e tondo: per me è sempre stato uno dei suoni più evocativi, pura istigazione a delinquere per le orecchie. Il display si accende con una grafica digitale nera su sfondo grigio topo, in stile Game Boy: al centro l’indicazione della velocità, sopra una piccola barra mostra i giri\minuto, sotto un numerino più piccolo con la temperatura dell’acqua. Metto la prima attraverso la cortissima leva del cambio, sovrastata da un sottile pomello di plastica nera, e ci muoviamo.

Su strada

Il tratto di strada che ci aspetta per questo piccolo assaggio è breve ma molto impegnativo. Tenere l’auto nella propria corsia, guidando a destra, è sempre poco naturale all’inizio, così come cambiare con la mano “sbagliata”. Quest’ultimo aspetto però lo risolve quasi interamente il fantastico cambio Mazda: tutti i rapporti sono esattamente dove te li aspetti. Anzi, la leva sembra quasi “risucchiata” in posizione dagli ingranaggi stessi, con una corsa minima e deliziosamente meccanica. A voi, cari ingegneri del cambio, che proponete comandi schifosi e gommosi: compratevi una Mazda MX-5, chiudetevi a studiare e non uscite finché non siete capaci di fare altrettanto. Non accelero a fondo, eppure già così i 175 cv dimostrano di non avere problemi a gestire i circa 550 kg della SR2, con l’aggiunta del ruggito che fuoriesce dall’aspirazione e che mi imbarzottisce le orecchie. Le vibrazioni che risalgono e la posizione di guida sono elementi fantastici e unici, eppure, beh, non riesco a godermi il tutto. C’è qualcosa che stona tra la mia aspettativa e quello che sto provando. Lo sterzo, ad esempio, pensavo che fosse deliziosamente tattile e immediato. Invece mi ritrovo un comando che è decisamente pesante e questo mi porta ad un’azione di forza a discapito della precisione assoluta che mi aspettavo. C’è da dire, però, che è diretto in modo assurdo: affronto i tornanti senza quasi dover spostare le mani dalla classica presa 9 e 15. Mentre cerco di venire a capo dello sterzo porto il motore a circa 7000 giri\minuto, in 3° marcia. Non ho abbastanza neuroni liberi per guardare la velocità, ma mi sembra di andare forte, con le sospensioni davanti a me che vanno su e giù e il fondo scocca che miracolosamente non striscia a terra. Punta tacco, il cambio è fonte di fortissima goduria, 2° marcia, freno. Sotto al mio piede destro il pedale sembra fatto della stessa pasta del comando dello sterzo. Ok, qua non esiste servofreno, ma la spinta che devo imprimere con la gamba destra è così inaspettatamente consistente che non riesco a regolare la frenata come vorrei, finendo per “squadrare” la curva malamente. Nei successivi tentativi arrivo sempre troppo corto o troppo lungo e sento la Roadrunner goffa ed infastidita sotto di me. Sono confuso: non dovrei “sentire” l’auto come parte delle mie terminazioni nervose? Non dovrebbe essere una delle esperienze più tattili mai provata? O sono solo io che mi sono creato un’aspettativa esagerata? Poco prima di arrivare al piazzale “squadro” un altro paio di curve (che fastidio) e accelero a fondo. Per quel che riguarda la risposta del motore e la sua voce, beh, sono già innamorato perso, ma non riesco a pensare a molto in questo momento. Scendo e farfuglio un paio dubbi sulla veloce esperienza appena fatta ad Alberto ed agli altri. Metto in stand-by il giudizio in attesa del test vero e proprio, ma sono davvero confuso.

Smaltite foto e parte dei video, torno sulla Roadrunner e sono deciso a farlo nel modo migliore possibile. Via le protezioni laterali, disegnate dal responsabile del settore “tende da giardino” di Leroy Merlin, non voglio filtri tra me e l’esperienza Roadrunner. Prendo il casco che ho portato su “consiglio spassionato” di Alberto e lo indosso. Entro nell’auto e blocco il volantino. Se sporgo il braccio fuori posso accarezzare l’erba e, mentre mi avvio giù per la strada, sento il profumo dell’aria entrare nel casco, come in moto. Il tratto di strada che abbiamo scelto per il test di oggi è eccezionale: in discesa, si arriva da un lungo rettilineo, tornante aperto a destra, breve rettilineo, curva a sinistra a 90°, rettilineo, curva a 90° gradi che apre in uscita a sinistra, lungo rettilineo sul crinale della collina, destra veloce in sinistra stretta e destra stretta in contropendenza, e di nuovo rettilineo. Poi inversione e si torna su. Non so se per la concentrazione ulteriore che regala indossare il casco o per il semplice fatto di aver metabolizzato l’esperienza precedente, ma la SR2 mi sembra da subito più viva ed io sono più rilassato. Ok, ora c’è un asfalto decisamente più caldo e consono alle Toyo R1R da 195, ma tutta l’auto sembra più vibrante. Aumento il passo un poco alla volta, vivendo già così, grazie alla spinta crescente del motore, al cambio ed all’esposizione agli agenti atmosferici, alcuni momenti di pura gioia. Ma è mentre risalgo su per il percorso per la 2° o 3° volta che la SR2 decide di farmi entrare nel suo mondo. E’ come se il mio sistema nervoso avesse capito all’improvviso come interagire con la vettura. Dopo il lungo rettilineo sul crinale, in 4° piena, freno a fondo e con il sempre soddisfacente punta tacco scalo in 3° e poi in 2°, pronto per l’impegnativa entrata nella 90° a destra. Questa volta riesco a regolare la frenata come voglio, fin dentro la curva, e finalmente vedo con i miei occhi la gomma interna pizzicare il punto di corda, esattamente come desideravo. Non torno sul gas con aggressività, ma già così la SR2 mi ha premiato con una grazia e un'efficacia decisamente superiore.

Cerco di analizzare cosa ho fatto di diverso e capisco. La primissima corsa del pedale del freno, diciamo un paio di centimetri, in realtà non provoca alcun rallentamento nella vettura. E’ una corsa “a vuoto” che mi provocava una certa ansia, in particolare perché la resistenza del pedale è notevole anche in quei primi centimetri di corsa. Però, con un po’ di pratica (e spaventi) in più, il mio sistema nervoso si è adattato: quei primi centimetri mettono il quadricipite in tensione al punto giusto, come per svegliarlo e tenerlo pronto, in vista della frenata effettiva. Dopo quei pochi centimetri “di riscaldamento” arriva la forza frenante vera e propria e con il muscolo della gamba già pronto si può regolare perfettamente la quantità di forza frenante con una lievissima pressione. E’ come se, all’improvviso, i dubbi attorno al pedale del freno si fossero dissolti, perchè adesso mi sembra di regolare la pressione delle pastiglie sul disco come se lo facessi, tipo nacchere, con la mia mano destra. Assurdo. La SR2 si scrolla di dosso la mia incapacità e inizia a fiondarsi al punto di corda in modo incredibilmente accurato e regolabile. La forza frenante, aiutata dal peso piuma, è notevole e sempre all’altezza della situazione. Percorro il tratto di strada con un entusiasmo tutto nuovo ed in qualche punto inizio ad amare anche lo sterzo. La pesantezza resta, anzi se possibile con le gomme calde peggiora ancora un po’, ma, attraverso la corona del volante, inizio a sentire l’enorme flusso di informazioni che la vettura mi sta trasmettendo. Mi trovo in un perfetto limbo fatto di forza e rilassatezza: forza muscolare per i cambi di direzione, anche se spesso basta un piccolo movimento del volante per affrontare le curve, e una certa morbidezza sulla presa, così da essere veloci nelle correzioni e lasciare aperto e limpido il canale di comunicazione SR2-Marco. Sto ridendo, urlando e dico cose insensate al microfono, tagliando a metà i concetti che cerco di esprimere ogni volta che l’auto fa qualcosa che mi stupisce sotto il mio sedere. Ora ci sono, sono dentro uno sfilatino e le mie sinapsi stappano bottiglie di spumante tipo vittoria di un GP. Potrei scendere e sarei già felice così, ma per fortuna ho ancora del tempo e la generosa SR2 ha un altro regalo in serbo per me. Con l’aumentare dell’aderenza dovuta alle gomme in temperatura, la conoscenza del percorso e l’incredibile fiducia che sto provando, il ritmo che sto tenendo è spettacolare. Non c’è più traccia di goffaggine, la SR2 vola sui cambi di pendenza, sento i G laterali schiacciarmi le costole, freno a fondo e spremo il motore sui rettilinei. Arrivo al tornante destro aperto, in discesa, a passo di carica. Freno forte, scalo due rapporti e i 4 corpi farfallati davanti alle mie orecchie mi regalano un suono rabbioso, tecnico e perfetto. Porto la frenata sino al punto di corda e appena lascio il pedale centrale torno sul gas con decisione, il più velocemente possibile. Ciò che sta per succedere resterà impresso nella mia memoria per sempre, con tanto di cuoricino accanto, come le dediche sulle Smemoranda delle superiori. La SR2 inizia a sovrasterzare con un movimento fluido, senza perdere assolutamente velocità, anzi guadagnando ancora una o due tacche di agilità, che già era ad un livello mai provato. Avviene tutto molto rapidamente ma in punta di piedi e, nello stesso tempo, la SR2 sta sparando dritto nel mio cervello un'immagine rallentata ad alta risoluzione di ciò che sta avvenendo sotto il battistrada. In qualche modo so che posso tenere il gas a fondo corsa, so quanta correzione dare col volante per recuperare la piccola sbandata e mai, e dico mai, sono intimorito dal processo. L’inerzia non è mai un problema, non c’è. La Roadrunner ha letteralmente polverizzato il tornante e ora sta sbraitando in 3° lungo il rettilineo successivo. Passo i successivi 10 minuti a guidare ad un livello mai provato, e ve lo dico con sincerità assoluta, una volta entrato nel mondo della SR2 mi godo ogni singolo istante. Il mio corpo, il mio cervello, i miei sensi, sono tutti tesi nell’affrontare questa strada e nell’essere all’altezza delle capacità della SR2. Freno, la vettura si appiccica al punto di corda, accelero, la SR2 chiude la traiettoria, prendo il limitatore in 3°. Perfetto. Quando arriva il momento di fermarmi accosto vicino agli altri e sfilo il casco al volo, senza nemmeno scendere dall’auto. Ho bisogno di condividere la mia incredibile felicità e la leggerezza dell’essere (appassionato) che provo in questo momento. Rido, farfuglio, cerco aggettivi che non esistono. A forza di sorridere compresso nel casco ho male alla mascella, sono sudato e ho i palmi delle mani arrossati. E’ tutto bellissimo.

Considerazioni finali

Da piccolo il mio più grande desiderio era fare il pilota di auto. Un po’ più che desiderio, in effetti, perchè alcune volte questo è sfociato in vero dolore psico-fisico, in particolare quando sono arrivato (presto) alla conclusione che non avrei mai realizzato questo sogno. Roba da andare a vedere il WTCC a Monza e, nel sentire il suono delle auto, riuscire per un pelo a non piangere di frustrazione. A 20 anni. Quando parlavo di sindrome ossessiva-compulsiva no, non stavo esagerando. Come molti altri ragazzi non avrei mai potuto affrontare le spese delle corse in pista, a meno di vendere tutti e due i reni, le cornee e alcune frattaglie, cosa che poi mi avrebbe comunque impedito di guidare. E’ la vita, c’è sicuramente chi sta peggio, ma nel mio piccolo è stata dura. Quando affronti queste cose una parte di te si spezza e comincia ad odiare la parte di te che ama le auto. Probabilmente è autodifesa. Sono diventato intransigente, un cazzo di talebano della guida, e spesso penso che la gente creda io sia mezzo invasato. Eppure oggi, quando mi sono sfilato il casco alla fine del test della SR2, le due parti di me si abbracciavano e piangevano insieme. Me ne rendo conto solo adesso che butto giù l’articolo, nel mio silenzio, davanti al PC. La SR2 è fisicamente e mentalmente quanto di più vicino all’essere un pilota d’auto mi sia mai capitato. Non è solo questione di prestazioni, ma di impegno ripagato, di purezza dei gesti e di capacità d’imparare. Di momenti velocissimi eppure incredibilmente vividi. Soddisfazioni a palate.

Ora lo posso dire: sono anche io uno di quei bastardi che, dopo aver avuto la la fortuna di guidare uno sfilatino, ne è sceso pieno di profonda soddisfazione.

La migliore auto mai guidata nella mia vita? Una delle migliori, in assoluto.

Grazie mille ad Alberto e alla sua Roadrunner, a cui devo questa esperienza ai limiti della psicoanalisi.

E’ stato fantastico.

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