Mitsubishi 3000 GT

- tanta roba. Ecco, giusto un po’ troppa... -

“Per prima cosa il Team prende come esempi stilistici un po’ le Corvette e un po’ le supercar Europee dell’epoca, tanto per non sbagliare. Poi rapiscono tutti i migliori ingegneri di auto, aerei, elettronica & gadget per la casa e li mettono al lavoro per dotare la creatura di qualunque optional venga loro in mente. Il risultato, svelato al mondo nel 1990, ha le dimensioni di una imbarcazione da diporto, un’estetica aggressiva e una dotazione tecnica talmente ampia che al posto del manuale di uso e manutenzione c’è la Enciclopedia Zanichelli: ecco a voi la Mitsubishi 3000 GTO”

La grossa Mitsu fa parte di quella generazione di automobili speciali che sembravano nascere come funghi in Giappone a inizio anni ‘90: potenti, esagerate e il sogno di ogni ragazzo che, joypad in mano, passavano le nottate su Gran Turismo 1 a modificarle. Auto nate, tutte, per un imbroglio tra case costruttrici: una strategia industriale che Napoleone levati veloce.

Impressionante? Sì.

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21 settembre 2021| scritto e pensato dalla mente malata di M.Carito | editato e corretto dal pensiero distorto di Gabry | Inquadrato, scattato, editato dalla mano mossa di Sebastian Iordache

Se leggete i nostri articoli da un po’, alcuni nomi inizieranno a suonare familiari. Graziano di StoreXtreme, ad esempio: uno dei primi a darci una mano con questo progetto “fatto in casa” chiamato Ruggine Magazine. Prima dando a noi in test la sua amatissima FIAT 127 simil-Gr.2 (qua trovi la nostra prova) e poi, pescando tra i suoi clienti, cercando auto interessanti per noi. Insomma, gli dobbiamo molto. La cosa divertente è che, magari a tarda notte o nelle prime ore del mattino (quelle in cui non riconoscerei mia madre…) ogni tanto propone vetture incredibili come se stesse chiedendo se voglio il caffè.

“Una Mitsu 3000 GT può interessarvi?”

Così. Se come me avete tra i 30 ed i 40 anni, non potete non essere affascinati dalla 3000GT, non foss’altro per le nottate passate a giocare a Gran Turismo 1. La grande Mitsu è figlia di quel periodo, a cavallo tra gli anni ‘90 e i primi anni 2000, in cui i giapponesi diedero il meglio a livello di semifollia/faccia da Oluc applicata. Immaginate la scena: siamo a fine anni ‘80 e attorno ad un tavolo ci sono tutti i capi delle grandi case automobilistiche del Sol Levante. Roba che solo per gli inchini di saluto sono tre ore abbondanti e sciatalgie a pioggia. Il punto è questo: le leggi sulla sicurezza stradale sono sempre più stringenti ed è inutile farsi la guerra a colpi di auto sempre più potenti, vero? Ci sono anche i nuovi limiti imposti dal governo, 180 km/h, quindi che senso ha fare auto più veloci? Sembra l’inizio di un film dell’orrore per gente come noi, non fosse che ai giappi manca un venerdì e parte del sabato, come si suol dire. Fanno un accordo: produrremo vetture con al massimo 286 cavalli, in nome della sicurezza e del risparmio di carburante. Mani che si stringono, ore di inchini e Muscoril spalmato col pennello Cinghiale. E qua c’è il colpo di genio comunitario, ognuno di questi capoccioni crede di aver fatto l’accordo perfetto: corrono in azienda e urlano “Stappa il Sakè, che ora li inchi@ppettiamo tutti, arigatoniiii”. L’idea è la seguente: dichiariamo 286 cavalli, ok, ma in realtà facciamo dei mostri da oltre 300cv: il pubblico si accorge che le nostre auto vanno più forte e facciamo ER BOTTO, come dicono quelli di Wall Street. Furbi (e infami, ma vabbè) come le volpi eh? Ma se tutti hanno avuto la stessa idea, cosa succede? Questo. Mazda tira fuori la RX-7, che di cavalli ne fa più o meno 300. Toyota presenta la Supra, con un 6 cilindri biturbo sotto il cofano e circa 330 cv. La Nissan fa ancora peggio, perchè la Skyline R32 oltre ad avere 340 cavalli ha il mitico motore RB26 è talmente spinto che appena viene “stappato” demolisce la concorrenza in ogni singolo Campionato Turismo in cui viene iscritta, tanto da venir dichiarata dopo soli due anni fuorilegge sulle piste di mezzo mondo e guadagnarsi il nome “Godzilla”. Insomma, un accordo meno credibile di Renzi che dice ai compagni di partito “di star tranquilli”. Honda è l’unica che si attiene alle regole, con la NSX equipaggiata con un motore aspirato...ma il telaio sviluppato con l’aiuto di un certo Ayrton. E Mitsubishi che fa? In realtà ha già in pancia la Lancer Evolution, che nelle idee della casa dovrebbe avere le carte in regola per diventare (come in effetti succede) una pietra miliare dell’automobilismo sportivo. C’è però frizzantezza nell’aria, un certo friccicorio, e così si iscrivono anche loro alla “Sagra del fidati che ha 286 Cavalli”. Per prima cosa il Team prende come esempi stilistici un po’ le Corvette e un po’ le supercar Europee dell’epoca, tanto per non sbagliare. Poi rapiscono tutti i migliori ingegneri di auto, aerei, elettronica & gadget per la casa e li mettono al lavoro per dotare la loro creatura di qualunque cosa venga in mente loro. Il risultato, svelato al mondo nel 1990, ha le dimensioni di una imbarcazione da diporto, un’estetica aggressiva e una dotazione tecnica talmente ampia che al posto del manuale di uso e manutenzione c’è la Enciclopedia Zanichelli: ecco a voi la Mitsubishi 3000 GTO. Ora, non sto sbagliando a scrivere il nome: in effetti la nuova nata si chiamerà 3000 GTO per il mercato interno e 3000 GT per il resto del mondo. L’arte di abbreviare eh? A dirla tutta uscirà anche sotto il marchio Dodge, con il nome Stealth e una carrozzeria disegnata dagli autori di KITT. Comunque, torniamo a noi.

Elenco veloce veloce delle prime chicche tecnologiche presenti sulla Mitsu che mi vengono in mente. Quattro ruote sterzanti, aerodinamica attiva, sospensioni regolabili elettronicamente, clima automatico, motore V6 di 3000 cc biturbo, trazione integrale permanente con differenziale viscoso a slittamento limitato e un po’ di altre chicche sparse qua e là. Un esempio? Mauro, il proprietario, ci mostra un sensore alla base del parabrezza. Serve a percepire la temperatura interna dell’abitacolo e, nel caso sia troppo alta, ad abbassare i finestrini di due dita e contemporaneamente accendere la ventilazione al minimo, così da non raggiungere temperature troppo alte. Alla mia ingenua domanda “ma quando piove non entra acqua?” la risposta è stata semplice: “Quando piove non fa abbastanza caldo, e comunque non sbaglia mai, si apre solo quando c’è bisogno. Non sbaglia mai”.

Oh, stiamo parlando del 1990, 31 anni fa. Immagino un ingegnere giapponese tutto sudato, magrissimo, seduto per mesi in un prototipo posto sotto il sole cocente solo per tarare alla perfezione il sensore...

Tornando al motore: secondo voi, un motore con le caratteristiche sopracitate può fare solo 286 cv? Ovviamente Mitsu dichiara 286 cavalli spaccati, non 285 o 287, e 426 nm di coppia massima. Con la seconda serie, presentata nel 1993 quando oramai l’accordo è palesemte saltato, la Mitsu dichiara 320 cavalli e la medesima coppia. Strano eh?

Impressioni a ruote ferme

Quando vedo arrivare Mauro non posso fare a meno di sorridere. Per quanto fossi preparato, la Mitsu mi appare grossa, bassa, spavalda e questo nonostante lo strepitoso blu che dona una certa eleganza alla carrozzeria disegnata all’insegna della “bullaggine”. Mauro è già alla seconda 3000 GT della sua vita ed è sicuro che la sua attuale vettura sia l’esemplare meglio tenuto in Italia. Dal primo sguardo non posso che credergli. Inizio a girare attorno all’auto, avvicinandomi ai dettagli che più richiamano la mia attenzione. Le prese d’aria laterali, ad esempio, non hanno senso apparente su una vettura a motore anteriore ma nascondono delle piccole aperture per il raffreddamento dei freni posteriori.

I fari anteriori, che in questa seconda serie sono già lenticolari (tanto per tornare al discorso di prima…) hanno una piccola carenatura in tinta con la carrozzeria che attira lo sguardo, anche se mitigano l’effetto anni ‘90 dei fari retrattili della primissima serie. Il cofano, grande come un biliardo, ha due gobbe che richiamano quelle della sorellina Eclipse e donano all’auto un bell’aspetto muscoloso. Lateralmente si può vedere quanta “roba” ci sia davanti e dietro al guidatore. Dico scherzando che deve essere una vettura sicurissima, vista la quantità di lamiera a protezione del conducente. Mauro mi guarda e annuendo conferma la mia impressione: la prima 3000 GT l’ha demolita in un grosso incidente autostradale e lui non si è fatto nulla.

La linea laterale dell’auto è molto filante, sfuggente, e regala una sensazione di leggerezza impressionante nonostante la mole. Il posteriore è più massiccio, con la spessa ala ed i 4 scarichi che escono da sotto il paraurti posteriore, in netta contrapposizione con l’affilato anteriore. E’ bella? De gustibus. Innegabilmente, però, è ancora oggi impressionante e le persone attorno a noi si girano e la indicano come fosse una supercar. Insomma, i designer ci hanno preso in pieno.

Nonostante la dimensione impressionante del cofano anteriore, quando viene aperto svela un vano motore che più pieno non si può. Il V6 è stranamente in posizione trasversale e spostato verso il lato guidatore, con una turbina per lato. In blocco con il motore c’è il cambio a 6 rapporti, spostato sul lato passeggero. Non posso fare a meno di pensare a quanto devono essere complicati i rinvii del cambio...E’ un motore grosso e al minimo suona con la classica nota da plurifrazionato di razza, un suono che se fossi un somelier definirei “fruttato con aromi classici”, un suono nobile. I cerchi in lega di questo esemplare sono da 18 pollici e sono perfettamente in grado di riempire i passaruota, regalando un aspetto muscoloso e atletico. Il design complessivo, comunque, è strano e bisogna allontanarsi di qualche passo per apprezzare la linearità complessiva e la morbidezza aggressiva tipica delle coupé giappe dell’epoca.

Afferro la maniglia e apro la lunghissima portiera. Gli interni sono rossi, un’idea di Mauro, ma sembrano così coerenti nel doppio rivestimento pelle/alcantara che se mi avesse detto che si trattava di interni originali ci avrei creduto senza problemi. Si sta seduti in basso, con il lungo cofano che scompare davanti e il grosso parabrezza che fa entrare la splendida luce rossastra di questa fine giornata sin nel più piccolo angolo dell’abitacolo. Il volante sembra preso da una berlina, tozzo ed a quattro razze, ma dietro di lui non posso far altro che notare il contagiri con la zona rossa a 9000, che è sempre una bella cosa. In verità anche la strumentazione è tipicamente jappa: semplice, senza troppi fronzoli e ricca di informazioni. Il pomello è a portata di mano, ma mi cade subito l’occhio sulla consolle centrale. In alto, girati verso di me e invisibili per il passeggero, ci sono alcune informazioni secondarie tra le quali la pressione delle turbine.

Sotto, il condizionatore ha una grafica che sembra del 2015, altro che del 1990: colori sgargianti, grafiche psichedeliche e schermo ad alta risoluzione. Assurdo. Appena dietro al volante, poi, ecco il tasto “ECS” per accedere alle due impostazioni delle sospensioni, “Tour” e “Sport”. Davanti al cambio ecco un altro tasto interessante, il comando per attivare l’aerodinamica “spinta”. Premetelo e l’ala posteriore si inclina di qualche grado, un lip di gomma esce da sotto il paraurti anteriore, creando così un effetto Venturi. Ah, se vi dimenticate non c’è problema: raggiunta una certa velocità la 3000 GT lo attiverà per voi. Nella stessa zona c’è anche un altro pomellino: serve a “stringere” il sedile attorno al guidatore, nel caso vi serva più contenimento… e anche qua, la 3000 GT si occuperà di attivare il comando appena alzerete il ritmo. Spingo in avanti il sedile, con un comando ovviamente elettrico, e sono pronto a vedere che effetto fa questa astronave sulle strade secondarie.

Su strada

Con le sospensioni su Tour la 3000 GT scivola sulla strada come una saponetta lanciata in una vasca da bagno umida. E’ una sensazione molto vivida e assieme al grosso volante, alla larghezza del cofano anteriore ed alla buona insonorizzazione, la 3000 GT sta facendo di tutto per farmi sentire a mio agio. Quasi troppo, in effetti: l’impressione è quella di essere alla guida di una grossa Mercedes “sportiveggiante”, una SL o qualcosa del genere. Il volante è demoltiplicato e attraverso il pomello posso intuire, in effetti, quanti collegamenti complessi vanno azionati per passare da un rapporto all’altro. Non che sia difettoso, solo si percepisce che non è un movimento semplice o diretto. Sono spiazzato: spesso le Giapponesi sportive sono sfacciate, dirette e timide quanto una attrice porno nel loro modo di esporre le proprie intenzioni, mentre la Mitsu è l’esatto contrario. Sembra calma, di classe e riflessiva.

Aumento un po’ il ritmo, cercando di non farmi intimidire dalle dimensioni di quest'auto e subito vengo accompagnato dal “clac” dell’ala che, in completa autonomia, sale e scende a seconda della velocità con cui affronto la strada. Il motore risponde con una calma perfettamente in stile con il resto, e nonostante i 400 cavalli di questo esemplare la spinta è lineare, con una ondata di coppia attorno ai 4000 giri minuto e una potenza che inizia a calare appena si superano i 6000. Mi sa che i “9000” oggi ce li sognamo, e la delusione è doppia: non so se è una questione psicologica, ma cambiare così distante dalla zona rossa lascia l’amaro in bocca. Comunque sia, la spinta è vigorosa e i quasi 2000 kg della 3000 GT vengono lanciati contro l’orizzonte con fermezza. Avete la bocca aperta, e lo capisco. Non sono impazzito, la 3000 GT pesa circa due tonnellate, come mi conferma Mauro. Nelle curve si sente distintamente la massa e la fatica che le sospensioni devono fare per gestire le masse e riuscire ad essere così qualitative a livello di smorzamento. E’ una sensazione che rafforza l’impressione di una grossa berlina di lusso travestita da guerriera della notte: tipo un banchiere col chiodo, per dire.

Allungo il dito verso il tasto “ECS” e porto le sospensioni su “Sport”. La 3000 GT immediatamente elimina il 50% della dolcezza, e anche se non lo fa sembra quasi accucciarsi sulle sospensioni. Non vorrei però essere frainteso: anche così è accondiscendente e non sembrano esserci molte buche in grado di scomporla, ma rispetto alla morbidezza in stile Poltrone&Sofà di prima il salto è avvertibile. La spinta in avanti è decisa ma non così travolgente da essere preoccupante, e complice anche la trazione integrale permanente si può spremere il pedale del gas senza remore, concentrandosi sulle traiettorie. Sul veloce la 3000 GT è quasi imperiosa: c’è un filo di rollio ma divora le veloci curve della statale con il V6 che romba vellutato. Lo sterzo è in linea con il resto della dinamica: non velocissimo ma accurato, riesce a impartire all’avantreno tutti gli input desiderati. Anche così, però, la 3000 non sembra mai una scatenata sportiva, ma una veloce GT, sensazione peraltro rafforzata dalla seduta bassa e slanciata. Quando cerco di trovare lo stesso feeling nelle curve più strette, beh, il discorso cambia. Lo sterzo sembra troppo demoltiplicato e il cambio un po’ macchinoso ma è la sensazione di base del telaio che si fa più problematica. Pur frenando in linea retta, al momento dell'inserimento in curva il peso sull’avantreno diventa immediatamente chiaro, come un avvertimento. Da qua in poi si deve sfruttare la trazione integrale per vincere il momento inerziale: giù il piede e il differenziale viscoso si mette al lavoro, chiudendo la traiettoria e sparando la grossa GT sul rettilineo successivo. La Mitsu riesce in molte situazioni a mascherare buona parte del proprio peso ma, se gli si chiede più aggressività, all’improvviso non ci si sente più a proprio agio. Il V6, poi, si arrampica attraverso i giri con una certa calma dovuta ai rapporti lunghi e questo rafforza l’impressione di essere a bordo di qualcosa di grosso, tipo un treno ad alta percorrenza. In fondo, beh, è normale. Nonostante questo resto impressionato da quanto (design degli interni a parte) la Mitsu sembri moderna e solida, con una coesione e una messa a punto invidiabile. E’ naturale guidare senza chiedere troppo all’avantreno per poi godersi la spinta spalancando il gas appena si può. Anche così, comunque, la GT continua a prendersi carico del grosso del lavoro, lasciandoci abbastanza sereni da chiacchierare tra noi mentre le cifre sul tachimetro passano da “sanzione amministrativa” a “ti sbatto dentro e butto le chiavi”. Quando ci fermiamo resto per un momento in silenzio ad ascoltare il metallo caldo che ticchetta raffreddandosi e il V6 che al minimo suona in lontananza. Che esperienza particolare.

Considerazioni finali

La 3000 GT è tutta sullo stesso piano, come se si fosse deciso un livello di interazione e poi si fosse lavorato su ogni singolo elemento per raggiungerlo. Per i miei gusti, però, è...troppa. Troppo pesante, troppo morbida, troppo complessa e in fin dei conti la guida non è mai memorabile, solo impressionante. Ora, non credo che questo sia sbagliato, ma una precisa scelta degli uomini dietro al progetto. Mauro la ama proprio per la propria capacità di nascondere prestazioni elevate dietro ad una comodità e una certa “docilità” di base, roba da poterci andare in ferie senza problemi.

Sempre che si sia pronti a darle da bere…

Un grazie speciale a Graziano di StoreXtreme di Drubiaglio e a Mauro, che ci ha permesso di mettere le mani su un’auto rara e ben tenuta come la 3000GT. Grazie mille!

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