Nissan silvia s12

- Viaggio in Giappone a metà anni ‘80 -

“...mi spiacerebbe sprecare tutto l’impegno profuso dal 4 cilindri per raggiungere una velocità decente, quindi faccio finta di non vederla e mi preparo per una stretta a destra. Stando così le cose freno il meno possibile, nulla va sprecato, quindi inserisco, a sorpresa, con poco sterzo. Il mio giroscopio interno registra un rollio deciso, ma quando inizio a preoccuparmi, in qualche modo, gli ammortizzatori oppongono resistenza e stabilizzano la Silvia. Dai, non male! Ripeto l’operazione e, di nuovo, la S12 rolla prima di appoggiarsi sulle ruote esterne e trovare una insospettabile capacità di stringere la traiettoria. Dalla posizione accentrata in cui sono seduto posso chiaramente sentire l’alta spalla degli pneumatici che si comprime, facendo ondeggiare un po’ la scocca prima di spalmarsi sull’asfalto e trovare la giusta aderenza. Ora, è un comportamento non proprio “affilato”, ma ricorda quello di tante sportive anni ‘60 e ‘70…”

La Nissan Silvia la conosciamo tutti (forse): abbiamo in mente, ovviamente con il Keiichi Tsuchiya dietro il volante, queste coupè elaborate che vanno di traverso come pazze. Quello che forse non sapete è che, tra le Silvia precedenti, c’è una versione che ha contribuito a dare il via al mito dei touge e del drift sulle strade secondarie giapponesi. Ecco a voi la Nissan Silvia 1,8 lt Turbo S12.

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28 giugno 2022| scritto e pensato dalla mente malata di M.Carito | editato e corretto dal pensiero distorto di Gabry | Inquadrato, scattato, editato dalla mano mossa di Sebastian Iordache

Se siete già stati in Svizzera, avrete notato che il loro mercato automobilistico è simile al nostro (beh, potere economico a parte…) ma presenta anche delle curiose “chicche” che da noi non si vedono. I marchi giapponesi ed americani, nel ridente paese dell’Emmental, importano da sempre modelli che da noi non vengono commercializzati. Quindi capita, in mezzo a BMW e Mercedes d'ordinanza, di incontrare pezzi davvero unici. Ad esempio, avete mai sentito parlare della Honda Civic Ek4 Rally Edition? Ve l’ho detto. Quindi, per quanto possa sembrare strano quanto trovare un vegano in Abruzzo, nella nostra ricerca di auto giapponesi “particolari” siamo finiti proprio dai nostri vicini ricchi. Perchè se la Nissan Silvia S14 (ma anche S13 e S15, se siete infognati di Jdm) la conosciamo tutti, la progenitrice S12 è tutt’altra cosa. E non è solo “una cosa strana”: ha moltissimo in comune con la mitica Toyota Trueno\AE86, auto su cui si è basato il mito dei “touge”, cioè il modo giapponese di definire il giretto notturno a cannone sulle strade secondarie. Insomma, oggi sulle pagine di Ruggine Magazine c’è tutto: mistero, cultura, storia e inclusione. Già, perchè la proprietaria di quest’auto particolare, nonché fondatrice del club Slowhunters, è una ragazza di nome Morgane ed è venuta dritta dritta dal Canton Ticino per farci provare la sua amata. Nel dettaglio si tratta di una S12 turbo mossa da un 4 cilindri 1809 cc sovralimentato che nel 1986 sviluppa(va) 143 cv e 201 Nm di coppia. Non sono malaccio come numeri, vero? Con 1180 kg di massa, la trazione posteriore e la linea da coupé disegnata da un dipendente della Lego posso immaginare benissimo giovani giapponesi sfidarsi a colpi di drift. Proprio per questo mi è simpatica, nel senso migliore del termine. Fa sorridere: è semplice, immediata e sbruffoncella. A guardarla bene sembra anche un po’ l’Alfa Romeo Arna, che in effetti ha proprio un DNA Nissan a livello estetico. Il mio cervello inizia subito a pensare ad un Gaetano Takumi che fa le “sgommate” giù per le strade dell’Etna, con la pubblicità di una qualche arancineria sulle fiancate, ma poi vengo strappato alla mia fantasia…

Impressioni a ruote ferme

Con quella striscia tricolore sulla fiancata, l’assetto alto e i fari “pop-up light” aperti, mi sento davvero catapultato in un’altra epoca: ditemi cosa c’è più anni ‘80 di lei. Mi viene da urlare “Libidine!”, alla Gerry Calabria, viste le mie origini. Nell’insieme sembra il prodotto della relazione incestuosa Toyota, nella fattispecie la Supra MK3 e la AE86. La nostra Silvia, con quest’ultima, in virtù delle politiche di condivisione dei modelli (no, la pratica non è stata inventata da VW…) ha più di un particolare in comune, tanto che alcune parti di carrozzeria e di meccanica sono perfettamente intercambiabili tra i due modelli. Il gruppo motore/cambio invece è Nissan a tutti gli effetti e il 1,8 turbo è solo una delle alternative proposte all’epoca. L'offerta, infatti, comprendeva ben due propulsori a 4 cilindri 2000cc aspirati con diversi tagli di potenza e addirittura un V6 per il mercato americano e australiano. E’ una specie di macchina del tempo, che mi permette di sbirciare ciò che doveva essere il mercato automobilistico giappo in quegli anni. Ogni dettaglio è… diverso.

Lo spoiler posteriore gira attorno all’enorme portellone ed è morbido. E non parlo di linea, è proprio morbido al tatto: è di una gomma spugnosa. Tentativo di ala mobile della Meliconi? I fari posteriori piatti sono così grandi da riempire tutta la vista posteriore, mentre il paraurti è stranamente semplice e sottile. La fiancata è piatta ed è a forma di cuneo, così come la generosa vetratura leggermente oscurata. Alcuni dettagli, per una vettura di quel periodo, sono ovvi: il tettuccio apribile, secondo voi, poteva mancare? I fari con apertura pop-up? No, ovviamente. Il cofano anteriore aftermarket è preso da una AE86 (che vi avevo detto?) e anche frontalmente il paraurti, che ingloba le frecce, è sottile e lascia un ampio spazio da terra libero. Sembra sui trampoli, trampoli a forma di cerchi da 15 pollici “BBS style” rivestiti da cicciotti pneumatici 195\60. Non ha le proporzioni di un’Alfa Romeo GT del ‘68, va bene, ma mette di buon umore.

Quando impugno la maniglia (con logo “Silvia” termo inciso, così non si sbaglia auto al supermercato) e apro la portiera mi trovo, se possibile, ancor più negli anni ‘80. Gli interni sono rivestiti di un morbido vellutino viola a coste, tipo panno con finitura canottiera 1983, che ricorda i divani di mia zia. I sedili non hanno fianchetti pronunciati, ma quando mi ci siedo sopra mi rendo conto che la funzione contenitiva è stata delegata alla morbidezza stessa della seduta: sprofondo dentro il tessuto viola in una specie di abbraccio di ciniglia. Se avete un’auto moderna e state ridacchiando di questa ultratrentenne dovreste smetterla: il sedile è montato praticamente sul pianale e molto arretrato nell’abitacolo e, anche grazie al volante a calice montato da Morgane (la proprietaria), la posizione di guida può insegnare qualcosa a più di qualche spocchiosa vettura “sportiva” contemporanea. Ora sì che sorrido sul serio. La strumentazione è inequivocabilmente giapponese: razionale, completa e chiarissima da interpretare, include anche la pressione del turbo. Il pomello del cambio aftermarket in carbonio forse è un po’ troppo moderno per il resto dell’abitacolo, ma così vicino al volante è perfetto. Devo spostare l’auto per esigenze fotografiche. Giro la chiave, il motore si mette in moto con un suono pieno e roco, inserisco la prima e resto stupito: il pomello conclude la sua corsa quasi contro l’autoradio, tanto è lunga l'asta. Sarà divertente oggi.

Su strada

Morgane, al mio fianco, sembra tesa. “E’ il primo giretto serio che fa, ho dovuto sistemare diverse cose perchè ogni volta che la prendo si rompe qualcosa…”. La S12 ha la bellezza di 276.000 km, quindi ha quasi finito il rodaggio e, considerato che la strada di oggi è molto impegnativa e presenta molte insidie, queste parole non sono esattamente un buon inizio. Non importa, non è la vettura giusta per cercare chissà cosa: come detto, oggi sarà una sorta di viaggio nel tempo alle radici del motorismo giapponese moderno. Quindi, anche solo per mettere a suo agio la giovane proprietaria, adotto uno stile di guida morbido e più fluido possibile. La S12, stupendomi anche un po’, si muove con una certa grazia vintage, che non è il nome di una rivista per signorine ricche. Prima cosa, la posizione di guida bassa e arretrata nell’abitacolo aiuta con immediatezza a percepire la Silvia curvare, appoggiarsi e ondeggiare sui cambi di pendenza. Secondo, i comandi sono piacevolmente diretti, senza filtri, “gustosi” da azionare. Lo sterzo, ad esempio, vibra e cambia carico in continuazione e mi racconta il manto stradale dettagliatamente. Il cambio, nonostante la corsa lunga della leva, è divertente da manovrare e, una volta messa da parte la fretta tipica dei giorni d’oggi, manda a segno le cambiate con precisione. E poi c’è quella strumentazione piacevolmente vintage e questo splendido odore di idrocarburo mal combusto…

Insomma, mette il sorriso, anche se non so se rido per colpa delle esalazioni che invadono l’abitacolo, ma non importa. Mentre Morgane torna a respirare, io inizio ad esplorare ciò che il 1,8 turbo è in grado di fare. La risposta è… sorridere, anche lui. Ad ascoltarlo, con la sua voce roca ed il soffio della turbina, sembra sul punto di lanciarci giù dalla montagna, in verità si percepisce una spinta frizzantina o poco più. La turbina inizia a darsi da fare già ai regimi intermedi ma non aggiunge molto alle prestazioni, anche se apprezzo che, da buon motore giapponese, ha una certa propensione a girare alto. Mettiamola così: forse non ha i cavalli che dovrebbe avere, ma ce la sta mettendo tutta. Morgane ha ricominciato a trattenere il respiro, ma ormai siamo lanciati e mi spiacerebbe sprecare tutto l’impegno che il 4 cilindri ha profuso per raggiungere una velocità decente, quindi faccio finta di non vederla e mi preparo per una curva. Freno il meno possibile, nulla va sprecato, quindi inserisco, a sorpresa, una lunga curva a destra in discesa con poco sterzo. Il mio giroscopio interno registra un rollio deciso, ma quando inizio a preoccuparmi, in qualche modo, gli ammortizzatori oppongono resistenza e stabilizzano la Silvia. Dai, non male! Ripeto l’operazione e, di nuovo, la S12 rolla prima di appoggiarsi sulle ruote esterne e trovare un'insospettabile capacità di stringere la traiettoria, con gli pneumatici che nel frattempo stridono per protesta. Posso chiaramente sentire l’alta spalla degli pneumatici comprimersi, facendo ondeggiare un po’ la scocca prima di spalmarsi sull’asfalto e trovare la giusta aderenza. Ora, nel 2022 non è un comportamento propriamente “affilato”, ma ricorda quello di tante sportive anni ‘60 e ‘70. Proprio come per quelle vetture, anche sulla S12 è l’auto a decidere il ritmo che puoi tenere, perché i cambi di direzione avvengono in fasi ben distinte e non puoi accelerarne il processo. Morgane oramai è cianotica, quindi tanto vale continuare a spingere.

Lo dico? Mi sto divertendo, non per la velocità raggiunta o per chissà quali qualità di guida, semplicemente perché il comportamento della S12 è onesto e regolabile. Sono immerso nel tentativo di far funzionare al meglio un’auto dai limiti ben determinati e la sfida è sempre parte integrante di una guidata memorabile, vero? Ok, il motore è un po’ asmatico e, anche per rispetto della semisvenuta Morgane, cerco di risparmiarlo un po’, quindi mi godo ciò che funziona bene: i comandi sono adorabilmente (si dice?) meccanici, “sani” nella taratura e perfettamente in linea con l’esperienza. Aspetto ancor più godibile, a livello complessivo, la Silvia sembra sfidarmi a provarci, più che sembrare infastidita o fuori dal proprio campo d’azione. E’ chiarissimo perché abbia “svezzato” orde di ragazzi giapponesi. E’ immediata, semplice e pronta ad accompagnarti nelle prime esperienze, quelle dove di solito si fanno un mucchio di cavolate e le mutande fresche di lavatrice durano pochissimo. Molto meno chiaro, invece, è come si possa far derapare di potenza questa S12. Il motore sarà anche stanco, ma con così tanto rollio ed una gommatura non proprio striminzita (195 R15), sull’asciutto non c’è verso di far perdere aderenza alle ruote motrici. Ci provo, giuro: curva sinistra a vista, colpo di sterzo e gas tutto giù in 2°: la S12 si comprime sulle ruote esterne, tipo inseguimento nei telefilm americani anni ‘70, ma poco altro. Provarci è noioso, quindi torno a guidare senza sprechi inutili in stile Mazda Mx-5, ed ecco che la Silvietta ricomincia a macinare strada nel suo tipico procedere morbido ma convinto. Ora, diciamocelo: il ritmo naturale di cui è capace la S12 è molto, molto lontano da quello che potreste tenere con una compatta da famiglia moderna, ma questo si sarebbe anche potuto immaginare, vero? Ciò che mi fa felice, in un momento in cui abbasso il ritmo per far rifiatare la vettura (e Morgane, ovviamente) è percepire quanto la S12 sia l'anello di congiunzione tra le vetture sportive anni ‘70 e le Youngtimer giappe che tanto amiamo. L’assetto morbido, la spalla degli pneumatici generosa e la morbidezza del telaio ricordano le auto dei nostri padri, ma più sto dentro alla Silvia e più intravedo in alcuni comandi la precisione dei prodotti made in sol levante successivi. Il cambio ad esempio, nonostante la corsa lunga, è un bel pezzo di meccanica che rimanda ad esperienze ben più moderne. Idem per lo sterzo: diretto, immediato da usare, progressivo e perfettamente a tempo con tutto ciò che si vuole fare, dalla piccola correzione in velocità al tornante, dalla traiettoria dolce alla “spigolatura”. Resta il dubbio sul 1,8 lt. Turbo, anzi due, uno di natura tecnica e uno relativo a questo esemplare. La prima: avrei preferito di gran lunga il 2.0 aspirato: quanto sarebbe stato bello accompagnare questa esperienza "vintage" con il suono ruvido di un 4 cilindri che sbraita vicino al limitatore? Più… Ae86, ve lo concedo, ma forse più in stile con il resto dell’esperienza. Il secondo dubbio riguarda lo stato di forma di questo motore in particolare: la turbina entra a circa 4000 giri\minuto ma è un impulso, più che una vera spinta, e credo sia giusto non valutare troppo duramente il motore perché è chiaro che non è in forma smagliante. Il test è quasi finito e percorro l’ultimo chilometro a bassa velocità, mentre ringrazio mentalmente la S12 per avermi sopportato e ad alta voce Morgane…per lo stesso motivo. Quest’ultima ha ripreso colorito, ride, scherza e accarezza la sua Silvia, che in effetti oggi ha superato bene il test, in particolare per essere una ragazza di 36 anni non propriamente in forma. Quando scendiamo dall’auto notiamo che dal passaruota posteriore e da quello anteriore cola del liquido: Morgane perde tutto il colorito appena recuperato, apre il cofano e infila la testa nel motore, alla ricerca di tubi rotti o radiatori esplosi. Mi sento in colpa, ma per fortuna dura poco. Siamo passati sopra una pozzanghera e, semplicemente, quella che vediamo gocciolare è acqua appena raccolta…

Considerazioni finali

Quella di oggi è stata una piacevole esperienza al limite tra il test e la lezione di storia. Come sempre quando si guida un’auto di un’altra era, si viene catapultati in un mondo decisamente più impegnativo: ogni cosa va capita, imparata ed applicata. Nella S12, però, il periodo di apprendimento è brevissimo, perché è una vettura “sana” in tutte le aree di contatto uomo\macchina. Sono bravo o no? Spiego subito. I comandi sono piacevoli da usare ed immediatamente “naturali”, mentre, una volta capito che l’assetto è sì morbido ma non scadente, si può persino osare, sfruttando magari la sua morbidezza per non curarsi troppo dei tagli o delle ondulazioni della strada, in modo tale da tenere il piede destro a fondo corsa. Ecco, magari a livello motoristico oggi c’è poco da dire, ma d’altronde la S12 ha i suoi anni. Se lo posso dire, anche se c’entra poco con il car testing, l’esperienza di oggi è stata piacevole anche per un altro motivo. Morgane, nonostante ci abbia scherzato su per tutto il giorno, è una ragazza giovane con un'enorme e purissima passione per il mondo JDM. Una boccata d’aria fresca in un mondo sempre più governato da lucine, controlli di ogni genere e inutile marketing da schermo piatto imperante.

E, ora che sappiamo quali sono i piani futuri di Morgane per la sua vettura, potrebbe non essere l’ultima volta che proveremo l’S12…

Morgane, grazie mille di tutto, hai fatto molti km per portarci la tua auto e spero ne sia valsa la pena. Per noi di sicuro! Grazie anche a Sam ed alla sua Evo8 per averci fatto compagnia tra un bang e l’altro… A presto e, spero, con tutti gli altri ragazzi di Slowhunters!

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