opel speedster 2.2
- l’arte del travestimento -
“So dalla prima curva che non avrò alcun problema di trazione, solo spinta fluida e lineare. Il 2.2 spinge con una sorta di forza “calma”, 6000 giri/minuto, “clack” terza, potevo essere più veloce, 6500 giri/minuto, “clack” 4°, questo passaggio riesco a farlo come una fucilata, il pomello si muove alla velocità del pensiero, bang, frizione su/giù/su, roba da peli ritti sulla nuca. Questo piccolo oggetto verde sembra fatto apposta per scrollarsi di dosso il mondo con le sue noiose sovrastrutture e le sue inutili azioni. La strada di fronte a me curva verso sinistra e sparisce dietro gli alberi. Freno forte, la scocca ondeggia su un avvallamento, mano sul cambio, clack-clack…”
A più di vent'anni dalla presentazione, la Opel Speedster sembra, se possibile, un'auto ancora più speciale. Leggera, pura e con un unico intento: dare al fortunato pilota tutti gli elementi strettamente necessari per divertirsi al volante. Tutti o quasi... Ma davvero nel 2021 non c’è più spazio per auto come questa?
Stacco la mano destra dal piccolo volante e la appoggio sul pomello del cambio, una sorta di tronco di cono in alluminio che sbuca da una torretta alla mia destra. La curva davanti a noi arriva velocemente, molto velocemente. Freno, metto la 3°, ogni passaggio di rapporto viene sottolineato da un “clack” meccanico dal cambio, piccola correzione di sterzo, quasi telepatica, con la mano sinistra. “Clack”, 2°, l’asta del cambio striscia sulla mia coscia, quasi fossi su una piccola Gruppo C e la strada una tappa di una gara del passato, quelle fatte di eroi e leggende. Riporto la mano destra sul volante e inizio a ruotarlo di qualche grado per aiutare il telaio, che sembra impostato per un leggero sottosterzo iniziale. Alleggerisco la pressione sul pedale centrare, modulo la frenata, le pastiglie sembrano vibrare proprio sotto la suola della mia scarpa destra. Quando il muso è dove voglio alzo il piede, lo sposto di pochissimi centimetri a destra sull’acceleratore. Nello stesso momento punto la corda con decisione. Lievissima incertezza dalle gomme anteriori, una sfumatura, poi tutta l’auto cambia direzione, rollio e inerzia sono concetti marginali di cui non mi devo preoccupare. I miei reni e le mie spalle scaricano la forza G sul sedile fisso, che è una propagazione del telaio stesso. Ecco il punto di corda, giù il gas con forza, il volante perde un po’ di peso man mano che l’auto si acquatta sul posteriore, elimino angolo di sterzo. Pupille leggermente dilatate, la traiettoria è esattamente come l’ho immaginata, anzi meglio, e quella curva che sembrava difficile è già finita. Sotto di me, lanciati per aria da questo momento di pura gioia motoristica, i sassolini rimbalzano sulla scocca, aumentando la mia sensazione di star seduto per terra. Le sottili ruote anteriori mordono e scavano l’asfalto ed il volante me le fa “sentire” direttamente nel cervello. Ho il piede destro a fondo corsa e in un attimo ho le ruote dritte, sto già volando sul rettilineo successivo, il motore che spinge lineare la poca massa di questa strana Opel. So già dalla prima curva che non avrò alcun problema di trazione, solo spinta fluida e lineare. Il 2.2 spinge con una sorta di forza “calma”, 6000 giri/minuto, “clack” terza, potevo essere più veloce, 6500 giri/minuto, “clack” 4°, questo passaggio riesco a farlo come una fucilata, il pomello si muove alla velocità del pensiero, bang, frizione su/giù/su, roba da peli ritti sulla nuca. Questo piccolo oggetto verde sembra fatto apposta per scrollarsi di dosso il mondo, con tutte le sue noiose sovrastrutture e le sue inutili azioni. La strada di fronte a me curva verso sinistra e sparisce dietro gli alberi. Freno forte, la scocca ondeggia su un avvallamento, mano sul cambio, clack-clack…
Impressioni a ruote ferme
Mi scuserete se sono partito già dal succo del discorso, ma lo tenevo dentro da un po’. Partiamo dal fondo: la Opel Speedster è un’auto fantastica, sempre che quello che state cercando è un’immersione totale nella guida, si intende. D’altronde, non è un segreto che sotto la spigolosa carrozzeria, che riprende nel frontale lo stile delle Astra, Corsa & Zafira del periodo, si cela gran parte dell’hardware della mitica Lotus Elise. Che, se mi permettete, è l’esempio pratico del “fare tantissimo con poco”, a patto di avere un filo di genialità e tanto coraggio. E’ molto bello poter testare un'auto con un simile DNA proprio adesso che si è appena consumata l’uscita di scena della piccola inglese che, ricordiamo, è stato la vera ancora di salvezza del celebre marchio fondato da Colin Chapman.
Ok, ma oggi non si parlava di Opel? Come siamo arrivati ad un DNA “Made in Hethel”? Per farla breve: siamo alla fine degli anni ‘90 ed in quegli anni la Lotus, casa che nella storia ha avuto più proprietari che modelli, entra a far parte del gruppo GM, del quale fa parte anche Opel. L’idea brillante del gruppo fu più o meno questa: perchè non prendiamo telaio e sospensioni della Lotus Elise, così pura e semplice, ci montiamo un motore Opel ed una carrozzeria coerente col “Family Feeling” del marchio tedesco? Magari dà una rinfrescata all’immagine del brand che in quel momento, in quanto a carisma, non è esattamente il sogno proibito di ogni addetto Marketing. Idea meravigliosa, perchè le auto come la Elise e la Speedster sono più uniche di un “hai ragione” durante una disputa con la tua dolce metà. Quindi, partendo dalla vasca in alluminio e dal telaio della Elise, con l’aiuto di tecnici inglesi, in un paio d’anni anche la Opel ha a listino la sua sportiva dura e pura. Ok, da qualche parte nel canale della Manica si è perso lo sbraitante motore Toyota in favore di un 2,2 Ecotec da 147 cv, decisamente meno aggressivo. E a ben vedere c’è anche qualche kg in più da portarsi appresso, ma con una massa di 870 kg non mi sento di chiamare la Speedster “cicciona”.
Nel 2001, quando la Speedster è ormai pronta per l’uscita sul mercato, i tecnici Opel sostengono che sono state apportate così tante modifiche che di Lotus non è rimasto più molto. Si dai, ci crediamo, come no. Quest’auto è veramente una sportiva nel senso più puro del termine: motore, telaio, sospensioni e penso di non dimenticare nulla, non c’è altro. Clima? Apri il finestrino, o rimuovi il tetto, sudare fa bene alla pelle. Chiusura centralizzata? Se qualcuno vuole ancora salire in auto con voi probabilmente dovete impegnarvi di più nella guida, mammolette. Posto per tenere il portafoglio? Buh, attaccalo a terra col biadesivo. Insomma, avete capito il concetto. Vi vedo, con quella faccia un po’ così, dopo che vi ho detto che sotto sotto c’è il motore della Zafira. Ma sapete quanto fa 147 cv X 870 kg? Fa uno 0-100 km/h in 5,5 secondi, 225 km/h di velocità massima e se rompete il motore potete rubarlo alla monovolume del vicino con 4 figli. Non male, no? Ok, va bene, c’è anche la versione con il 2.0 turbo della Opel Astra, che grazie ai suoi 200 cv promette prestazioni decisamente più degne di nota. Che noia che siete...
Con in testa tutte queste nozioni e con un’aspettativa personale alta come un cestista, eccoci qua ad ammirare l’auto di Paolo, che da quando ci ha detto “se volete ho una Speedstar da farvi provare” guardo con un misto di affetto e occhi a cuoricino. Verde con interni beige (non Paolo, l’auto), roba che se dentro l’abitacolo c’è anche odore di pesce fritto, abbiamo chiuso la top tre delle caratteristiche più british in un’autovettura. A ben guardare il verde non è proprio “Racing Green”, è un pastello molto simile a quello che si dà sulle ringhiere. Mi piace? Si, anche se un’auto così la immagino più di un giallo o un altro colore così brillante da doverla guardare con l’occhiale scuro. Comunque, valutazioni cromatiche a parte, chiunque in GM si sia messo a “opelizzare” l’Elise ha fatto un gran lavoro. E’ indiscutibilmente una Opel della sua era: linee tese, punte di qua, punte di là, squadrati fari monolitici e cerchi a 5 razze in stile minimal. Eppure è anche palesemente “Lotus”: non ha perso quell’aspetto da mini-prototipo che tanto mi fa impazzire nella Elise. Anzi, se possibile sembra ancora più piatta e larga. Vi ricordate i due terminali di scarico che escono dal centro del paraurti posteriore sovrapposti uno sopra l’altro? Io no, ed è stata una dimenticanza grave perchè sono strepitosi.
Piccolo trasferimento (in cui cerco con fatica di seguire la Speedster con una Panda 100hp, ma questa è un’altra storia…) ed eccoci finalmente arrivati sul percorso del test. E’ una strada che sembra disegnata apposta per una piccola “special” come questa. Stretta, tecnica, con sezioni veloci, tornanti e dislivelli importanti, roba da biglietto delle giostre. Finalmente tocca a me calarmi dentro l’abitacolo, non sto più nei pantaloncini. Apri la piccola portiera, metti la gamba destra dentro, siediti sul brancardo, bel respiro, lasciati scivolare dentro al sedile e per ultimo tira dentro la gamba rimasta fuori, cercando di non emettere vocalizzi sconvenienti tipo “oplà” / “oh issa” che potrebbero dire tanto sulla tua mancanza mobilità. Ok, sono dentro, a pochi centimetri dalla strada e ne vale assolutamente la pena.
Il volantino davanti a me ha un diametro così ridotto che sembra un giocattolo, tipo quelli venduti in kit col force feedback per giocare a Gran Turismo sulla Playstation. Nella parte centrale c’è il marchio Opel ma, a parte questo dettaglio, è Lotus fino al midollo. Tachimetro e contagiri marchiati Stack, a fondo bianco, senza fronzoli e facilissimi da leggere, come quelli che si vedono su alcune vetture da corsa. Il cruscotto è semplicissimo e sembra fatto in garage da un bravo artigiano con lamiera e colla vinilica, tipo Art Attack. Fatto?
Se però volete restare a bocca aperta dovete abbassare lo sguardo. La vasca che fa da corpo centrale della vettura è tutta a vista e dal centro si alza una specie di “pinna” metallica di rinforzo che termina nella torretta del cambio, la cui posizione è davvero pura istigazione a delinquere. E’ tutto molto molto molto Lotus, ma non ditelo ai tecnici Opel. I sedili, che sembrano avvitati direttamente sul fondo piatto dell’auto, non hanno altre regolazioni se non lo scorrimento avanti e indietro. Lo schienale ti obbliga a stare dritto, qua il braccio fuori dal finestrino non è previsto e nonostante i fianchetti siano minimal riescono lo stesso ad essere molto “affettuosi” con il mio corpo. Il colore beige dei rivestimenti cerca di dare un po’ di “raffinatezza” alla brutale essenzialità del tutto. Posso dirlo? Non ci riescono molto, è come mettere lo smalto sulle unghie a due ragazze che si gonfiano la faccia nell’ottagono dell’UFC. Ho le gambe distese davanti a me ed i piedi comodamente appoggiati alla bellissima pedaliera in alluminio, la schiena dritta ed il volantino in posizione perfetta. Già così sono pronto per la guerra, ma poi alzo lo sguardo e vedo che, dal grande parabrezza, la visuale è eccezionale: sono in basso, bassissimo, ma grazie agli stretti montanti la strada appare come un 16:9 ultra-wide. Persino gli alberi sembrano più verdi e se mi impegno riesco a vedere ogni sassolino a bordo strada. C’è dell’LSD, qua dentro?
“Per accenderla c’è il tasto, lassù in mezzo al cruscotto. A caldo si accende con difficoltà, alle volte, prova…”
Mezzo giro di chiave, dito sul tasto e provo. Un filo di incertezza e poi il 2198 cc dietro di me prende vita con un suono tranquillo e pacioso, un po’ in contrasto con l’aspetto senza fronzoli della Speedster, ma perfettamente in linea con la classe dei rivestimenti in pelle. Ok, è ora di mettere un’altro “fatto” accanto ad una esperienza che volevo fare da tanto: si parte.
Su strada
Mi rendo subito conto che c’è da fare un primo, difficile ed importantissimo lavoro se voglio dire qualcosa di sensato in questo test: cercare di passare oltre la sensazione di “speciale” che quest’auto mi lancia addosso come coriandoli a Carnevale. Già, perché attorno a me tutto, ma proprio tutto, mi sta gridando “Uè Ciccio, va come sono speciale, hai mai visto qualcosa del genere?” Il cambio, ad esempio, con la propria posizione rialzata riporta alla mia mente le immagini delle Gruppo C degli anni ’80. So che il paragone è un po’ forzato, ma c’è un qualcosa che le accomuna ed il mio cervello l’ha colto con forza. La posizione di guida imposta dal sedile permette una presa salda sul volante e questo enfatizza la velocità con cui questo trasmette i comandi alle stranissime (in quanto a misure) 175\55\17 anteriori. Sto andando piano, cerco lentamente di metabolizzare queste prime sensazioni, quando arriviamo ad una lunga “U” a destra, in discesa. Non rallento nemmeno, inserisco e basta. Alla minima rotazione del volante tutta l’auto volta, in appoggio sulle quattro ruote, piatta e tranquilla. Ora, prima del test, proprio quelle gomme anteriori mi sono state più volte attenzionate. Il problema è che non si trovano più pneumatici “freschi” di quella stranissima misura e, nell’attesa del nulla-osta per montare le più reperibili 185\50, su questo esemplare ci sono delle Bridgestone vecchie e dure come il pane di una settimana. Per il momento, però, questo non sembra assolutamente un problema. Quindi, caro Marco, smettila di crogiolarti nei dettagli e dagli del gas, daje.
Accelero con forza in 2°. Il motore risponde con una spinta corposa ai medi ma stempera l’impegno quando ci avviciniamo ai 6000 giri\minuto, dove teoricamente c’è la massima potenza. Intendiamoci, la Speedster guadagna velocità con convinzione, ma nemmeno al primo assaggio la spinta del motore mette paura o desta particolare preoccupazione. Si tratta di un motore a corsa lunga e non particolarmente vivace nel prendere giri, nonostante debba spostare una massa ridottissima. Il passaggio 2°- 3° marcia è un po’ contrastato e non riesco ad essere veloce come vorrei, ma fine delle critiche: tramite il volante, persino in un lungo semi-rettilineo in discesa che curva dolcemente a destra e a sinistra, l’auto ha acceso un canale di comunicazione diretto da e verso di me che manco Canale 5 in HD. Ogni singolo cambio di pendenza della strada, ogni compressione, ogni increspatura nell’asfalto viene descritta nitidamente al pilota. In automatico, quasi senza pensarci, faccio piccole correzioni con il volante, assecondo la strada. Terza marcia, 6000 giri\minuto, poi 4°. Questo passaggio, invece, crea una scarica di serotonina dritta dalla mia ipofisi, che sta facendo la “ola” tipo stadio. Il pomello, che è già strepitoso da impugnare, in questa cambiata sembra spostarsi di pochissimi centimetri, quasi fosse un cambio a “denti dritti” da rally. Adesso la velocità è sufficientemente alta da generare grossi movimenti verticali della scocca, con le sospensioni che lavorano duramente per mantenere il contatto con questa strada di campagna, ma non c’è alcuna preoccupazione. L’inerzia, o meglio la mancanza di essa, permettono alle efficaci sospensioni di tenere tutto sotto controllo e anzi sembrano quasi divertite nel loro lavoro. Colpetto di freni, pochissimi gradi di sterzo e la veloce destra davanti a noi è solo un ricordo.
Aumento l’impegno, freno a fondo, il feeling sotto il pedale è ottimo (pinze Alcon, ma non come quelle montate sulle Lotus, giurano in Opel) l’auto resta sempre sotto controllo, media sinistra racchiusa tra due stretti guardrail. Mi sono lasciato andare, la mia fiducia è assoluta, ma con più velocità e aggressività in ingresso la Speedster inizia a manifestare un po’ di indecisione in inserimento. E’ un filo di sottosterzo, una frazione di ritardo nella svolta che prima non c’era e che ora, a metà curva, obbliga a lavorare un po’ con il volante. E’ solo una “sfumatura”: una volta che le gomme anteriori si inchiodano alla traiettoria la Speedster appare sicura e perfetta come qualche minuto fa, tanto da permettermi di aprire tutto il gas il 2°. La trazione su quest’auto non è mai un fattore di cui preoccuparsi e nemmeno un briciolo di potenza viene sprecata dal retrotreno, che ci spinge fuori dalla curva con un movimento pulito. Faccio inversione per tornare indietro, prendo fiato un momento, apro il finestrino per smaltire un po’ del calore che si sta accumulando nell’abitacolo e accellero di nuovo. Grazie alla fiducia assoluta che la Speedstar mi ha trasmesso dal primo metro ora cerco di limare tempo e spazio in staccata e aggredisco le traiettorie in modo meno conservativo. La Speedster ha il grosso pregio di essere veramente compatta e anche una strada come questa non sembra mai troppo stretta per divertirsi a scegliere gli angoli di attacco. A questa velocità la vettura ha un costante e minima inerzia nei cambi di direzione. Proprio per questa nuova percezione, è ancora più eccezionale la sensazione di “quadrato” che quest’auto trasmette, con il telaio che distribuisce il lavoro su tutti e quattro gli pneumatici ed il rollio quasi impercettibile. Il cambio è ottimo per feeling e velocità in tutti i passaggi, tranne curiosamente nel 2° - 3°. In scalata, anche grazie alla pedaliera perfetta, il punta tacco diventa quasi obbligatorio. Il leggero sottosterzo ora è una costante, quantomeno sul misto-lento, ma non peggiora né degenera in qualcosa di preoccupante, è solo un’altra informazione da gestire se si vuole spremere a fondo la Speedster. Sto vivendo momenti di vera guida: il mio cervello sta escludendo le cose che non sono strettamente necessarie per andare forte, frena/accelera/curva, sono attive solo con le funzioni che servono per godermi l’esperienza e taglio fuori ciò che potrebbe distrarmi.
A circa metà percorso mi trovo di fronte un tornante a sinistra degno di una prova speciale. Stretto, con visibilità ridotta ed un forte dislivello, insomma un piccolo bastardo. Arriviamo, in salita il 2,2 fa sentire ancora di più la sua pigrizia di fondo, “plafonandosi” nella spinta agli alti giri. Scalo in 2° e appena l’avantreno della Speedster inizia a curvare torno sul gas con l’ignoranza di un terra piattista. Sono pronto ad una scodata, dai e dai succederà, invece succede l’esatto contrario. Le gomme anteriori mollano la presa e, sotto la spinta della inscalfibile trazione dell’assale posteriore, l’avantreno viene spinto con forza verso l’esterno. Sono impreparato ad una resa così “decisa” dell’assale anteriore, ma anche in questa condizione la Speedster resta atletica e leggera: lascio il gas ed in una frazione di secondo l’auto torna a curvare. Considerata la problematica relativa alle gomme anteriori, non mi sento di dire che sia un comportamente “normale”. Anzi, proprio considerando la problematica, sono stupito di quanto impegno ci voglia per far perdere la linea a questa piccola vettura e quanto sia “recuperabile” con il minimo sforzo.
Stiamo per concludere il test, rallento un attimo e cerco di tirare le somme. Lasciando da parte l’ultimo episodio di deciso sottosterzo, quella lieve imprecisione a livello di inserimento quando si va a tutto gas penso possa essere una precisa scelta, da parte dei tecnici Opel\Lotus, per permettere a tutti di godersi una vettura così speciale. Al posteriore, invece, nessuna incertezza o sbavatura. Per quanto lo si maltratti in entrata lui resta positivo, agile ed al tempo stesso piantato a terra. In uscita, poi, non ci sono cavalli a sufficienza per metterlo in crisi: l’auto si acquatta e le gomme da 225 scaricano a terra tutta la potenza a disposizione senza alcuna protesta. Il motore, invece, è un po’ frustrante. Diciamo che si fa valere perchè la massa da spostare è poca, ma nell’utilizzo c’è come un’indolenza, una mancanza di impegno, che alla lunga potrebbe infastidire. Non c’è ruvidità, non c’è un momento in cui lo si sente felice di “fare il c@zzone” con te. Mancano i fuochi d’artificio, la memorabilità ed anche il suono un po’ banale sottolinea la sua pigrizia. Il cambio non è perfetto al 100% ma ha lasciato nel mio cervello almeno tre caratteristiche che ricorderò per sempre: la posizione, l’asta che scorre lungo la mia coscia ed il passaggio 3° - 4° marcia, una specie di schiocco con le dita, qualcosa su cui allenarsi come gesto tecnico e che quando riesce ti fa sentire pilota. Manca solo un paio di curve prima di scendere dall’auto. Posso lasciare che il mio ultimo ricordo di questa guidata, per molti versi eccezionale, sia un sottosterzo? Eh no, cara Speedster, “nun ce lassamo accusì malamente”. Tra noi ed il punto di ritrovo ci sono cambi di direzione in sequenza, con almeno cinque o sei curve destra-sinistra. Accelero, leggera frenata ed inserisco la prima destra all’apice di un dosso, nel frattempo torno sul gas. Basta una piccolissima rotazione del volante e ci siamo, lo riporto in posizione neutra, freno, lo ruoto a sinistra e quando sento il telaio in appoggio torno sul gas. Subito trovo un certo ritmo, è come ballare (cosa in cui faccio schifo). Ora non freno nemmeno più, semplicemente alleggerisco il gas in contemporanea con la rotazione del volante, quasi fossero collegati tra loro da un cavo, l’avantreno cambia direzione immediatamente e torno sull’acceleratore appena posso. E’ bellissimo, mi sento uno sciatore in un Super G, una connessione organica tra me, il telaio e lo sterzo. Le masse centrali annullano i momenti d’inerzia e tutto è facile, naturale. Esco dall’ultima esse, accelero a fondo, 3°- 4°, veloce sinistra in pieno tagliando la traiettoria il più possibile, le gomme fanno volare fili d’erba e fiorellini sull’asfalto, di nuovo full gas, 6500 giri\minuto. Sono così preso da mancare il punto di ritrovo, vedo con la coda nell’occhio Paolo e Gabri che mi guardano sfrecciare sul rettilineo. In verità l’ho fatto apposta: qualche secondo in più rubato con la Speedster.
Considerazioni finali
La Speedster è una vettura capace di entrarti nel cervello in molti modi. Per prima cosa è una gioia per gli occhi, unica e particolare com’è. Una volta dentro c’è poi la posizione di guida: raccolta, dritta e decisamente speciale. Ha il potere di tenerti sull’attenti, come a farti intendere che no, sul serio qua non c’è spazio per altro che la guida. In un mondo in cui si definisce “sportiva” una compatta da 1400 kg con il cambio automatico ed il cruscotto che cambia colore, per me è una boccata di purezza assoluta. Una volta in moto lo sterzo cristallino, il cambio deliziosamente meccanico e la generale impressione da mini “sport prototipo” fanno di tutto per farti sentire in un posto speciale...e ci riescono. Però, mentre tutto ciò che è Lotus continua a brillare sempre di più man mano che ci si lascia andare, il motore Opel tende a rimanere sempre più indietro. Non voglio ripetermi, ma è un motore a cui manca eccitazione e coinvolgimento. E’ come trovarsi ad una festa in cui tutti si divertono tranne il proprietario di casa: per quanto tu possa ignorarlo, continui a notarlo mentre ripete a tutti di abbassare i toni e non saltare che la vicina di sotto dorme.
Detto questo, vorrei una Speedster? Certo che si. E’ un fortissimo antidoto contro tutte le inutilità presenti nelle auto “sportive” di oggi, dove gran parte del feeling e della purezza è stato barattato con la comodità (e la mancanza di impegno) in esatta antitesi con il concetto stesso di guida. E’ come se Marcel Jacobs e gli altri centometristi decidessero che per questioni di marketing e comodità si debba correre con i mocassini, perchè le scarpe da gara sono dure, scomode e fanno venire le bolle.
Avrebbe senso?
Un enorme ringraziamento a Paolo che, oltre ad essere un appassionato di auto a 360°, è abbastanza generoso da condividere la propria auto con noi. Se ci aggiungi che è anche simpatico, cosa potevamo desiderare di più?
Ti è piaciuto l'articolo?
Supportaci cliccando sul pulsante qua sotto!
Ruggine Magazine è gratis. Se ti piace quello che facciamo e vuoi aiutarci a migliorare, puoi farlo cliccando sul pulsante.