lotus elise 111 r

- genio inglese e ferocia giapponese -

“...la piccola Lotus sembra concedere, in tutte le direzioni, un certo grado di rollio, che usa sia per aumentare il grado di agilità grazie al trasferimento di carico che, una volta in traiettoria, per inchiodare le ruote in posizione. E’ una sensazione pazzesca, una lezione in 8K sulle dinamiche e le inerzie applicate al veicolo, sparata direttamente alle sinapsi. Posso sentire l’auto posizionarsi sotto di me, attraverso il sedile, scivolando leggermente con l’anteriore o con il posteriore a seconda della somma delle mie istruzioni e della strada. Le correzioni avvengono in modo automatico, tanto che spesso, dopo ad esempio all’uscita di un chicane da terza marcia, mi rendo conto di aver corretto un sovrasterzo qualche attimo dopo essere intervenuto…”

La Lotus Elise. Bastano queste due corte parole per capire esattamente di cosa si parla, vero? Con l’arrivo della seconda serie la piccola vettura inglese guadagna anche un motore unico e, finalmente, un livello prestazionale che mette d’accordo tutti. Ecco a voi l’Elise 111R.

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17 gennaio 2023|   scritto e pensato dalla mente malata di M.Carito   |   editato e caricato dal pensiero distorto di Gabry   |   Inquadrato, scattato, editato dalla mano mossa di Sebastian Iordache

Recupero da un leggero traverso di potenza con un gesto istintivo e poi appoggio la mano sinistra sul pomello del cambio. Prima di inserire la terza faccio riecheggiare ancora un po’ il perfetto grido liberatorio del 1,8 lt Toyota alle mie spalle, che attorno alla tacca dell’”8” del contagiri è capace di aprire uno squarcio nei miei ricordi, fissandosi indelebile negli anni a venire. Terza, mi concedo ancora qualche attimo di amplesso endotermico e poi rilascio il gas, inserendo nel contempo il rapporto successivo e ruotando la testa verso destra, verso la vallata ricoperta da una leggera foschia aperta qua e là da fasci di luce così netti da sembrare liquidi. Come è stato possibile? Intendo dire, come può non essere più commercialmente vantaggioso produrre un’auto come la Elise, così pura, leggera, senza spreco di materiale e così resistente alle mode e al tempo che passa? E, al contempo, ritenere una buona idea tirare fuori l’ennesimo Suv, per di più elettrico e con 900cv, una sorta di paradosso tra necessità “green” e celodurismo da stadio? Il test di oggi è un inno all’eliminazione delle sovrastrutture.

L’Elise 111R di seconda generazione è una gemma senza spigoli: pesa qualcosa più della sua antenata (qua trovi la nostra prova), ne mantiene tutti i leggendari punti di forza ma regala un enorme upgrade negli unici punti deboli presenti nella prima serie del best seller Lotus, ovvero il problematico Rover Serie K e il cambio a esso collegato. Già, perchè nel retro del sinuoso corpo della Elise Mk2 c’è un portentoso motore 1,8 lt Toyota 2ZZ, ovviamente aspirato, che grazie alla fasatura variabile VVTL-i è capace di 192 cv a 7800 giri\minuto e 185 Nm di coppia a 6800. E’ la stessa unità che troviamo nella Celica e nella Corolla TS di metà anni 2000, ma qua è stato liberato da almeno 200 kg di massa. Possiamo definirlo, senza troppi giri di parole, nella lista dei migliori aspirati “medio\piccoli” mai costruiti.

Con 850 kg di peso da spingere le prestazioni sono strabilianti: con 241 km\h di velocità massima e circa 5 sec per il classico “0-100”, possiamo dire che l’Elise 111R è abbastanza rapida per dire la sua su qualunque tracciato, Monza a parte. Ma siamo su strada, quindi cosa si può fare per aprire le porte della comprensione del telaio e delle sospensioni Lotus? Semplice, abbassare il grado di grip. Già, perché per quanto ami le auto aderenti, capaci e velocissime, spesso queste sono semplicemente “troppo” per le strade di tutti i giorni. Se le si vuole sentire lavorare, muoversi, se si vuole giocare con l’equilibrio e sentirsi parte del meccanismo, con certe auto bisogna prendere rischi sinceramente eccessivi. La soluzione è abbassare il grado di grip, accettare la rinuncia in termini di capacità e abbracciare il viaggio, più che la meta. Più o meno quello che ha fatto Toyota stessa con la prima GT86, se ci pensate, montando gomme a bassissimo grip come primo equipaggiamento. Per fortuna Nik, il proprietario della Elise di oggi, è uno che abbraccia alla grande il viaggio. Ricordate la Porsche Cayenne S che abbiamo portato in cava (qua trovi la nostra prova)? E’ sempre sua.

Ecco perché non mi stupisce vedere due rampe di plastica legate al tettino rimovibile della 111R: usa la sua Lotus sulla neve, oltre che per qualche viaggio in giro per l’Europa e qualche sterrato in Corsica, e alle volte per tirarla fuori dalle situazioni più spinose può essere utile una mano. Ed ecco perchè, quando afferma che con le gomme 4 stagioni trova la 111R ancora più divertente, non stento a credergli.

Lotus 111R su gomme quattro stagioni. Oggi sarà divertente.

Impressioni a ruote ferme

L’Elise originale è una sorta di barchetta anni ‘60: sinuosa, piena di curve, morbida. Ti aspetti, da una vettura con quella atmosfera attorno, un motore roco, rozzo, poco affinato. Il Rover è perfetto per lei, a livello concettuale. La Mk2, invece, anche nelle linee sembra forgiata per rispecchiare un motore evoluto, tecnologico, oltre che leggermente schizofrenico. “E’ come se la linea fosse stata disegnata pensando al cuore giapponese…”. Continuo a pensare a questo mentre faccio scorrere lo sguardo sugli spigoli vivi della 111R, vestita di un arancione così intenso che persino Bruce Mclaren approverebbe. E’ tutta un rincorrersi di superfici tese e parti più morbide, la versione cyborg della Elise originale, di cui comunque riprende tutti gli stilemi più iconici.

I fari anteriori sembrano gli occhi di una grossa mantide, ma all’interno della presa d’aria ovoidale ci sono dei faretti rotondi in tutti e per tutto identici a quelli della MK1. I passaruota sono sormontati da uno spigolo completamente assente nella prima versione, ma il cofano riprende la stessa iconica presa d’aria per il radiatore frontale. Lo spazio per l’abitacolo è praticamente lo stesso, eppure il locaro decisamente più basso e piatto aiuta a salire a bordo e la portiera è un po’ più ampia, anche se resta incredibilmente piccola. La presa d’aria sulla fiancata è sottolineata da una grossa griglia in plastica nera e accompagna al solito passaruota posteriore gonfio e al clamorosamente bello spoiler integrato con la carrozzeria, una specie di coda Kamm di metà anni 2000. Al posteriore i quattro fanali tondi sono quanto di più classico ci possa essere, con un non so che di Ferrari FF,  con l’ampio paraurti che termina in uno scivolo Venturi molto marcato e i due terminali di scarico che, curiosamente, sono timidamente piegati verso il basso, proprio loro che a livello vocale non sono timidi per nulla.

E’ un giocattolo per adulti da usare con i vestiti addosso, e se ancora avete qualche dubbio aprite la portiera e sedetevi dentro. Questa vettura ha la guida a destra, inglese fino al midollo. Per entrare serve un po’ di agilità ma, rispetto l'antenata, c’è un po’ più di spazio e con un po’ di allenamento si riesce a fare tutto il movimento con un certo stile. Dicevamo, l’abitacolo: il medesimo sfoggio orgoglioso della vasca in alluminio della Mk1, la stessa posizione rasoterra, la stessa sensazione di essere dentro la meccanica ma un po’ più di luce e ariosità. Si sta bene, sul serio, non c’è alcuna claustrofobia.

Il volante a tre razze, dalla corona sagomata, è piccolo e perfettamente verticale. Il contagiri e il tachimetro, rotondi e facilissimi da consultare, sono impreziositi dalle lancette arancioni, pronte a schizzare verso il fondo scala. Nik è un designer ma ha anche un animo “verace”, funzionale, bada al sodo dell’esperienza. L’avrete forse intuito dalla storia delle rampe, ma se non bastasse basta osservare la leva del cambio. La copertura estetica è stata eliminata e così, oltre che della lunga leva sormontata dal pomello tondo recante l’iconico logo della Casa di Hethel, posso godere anche dell’affascinante meccanismo di movimento e selezione dei rapporti. In stile Pagani, se solo le Pagani fossero costruite in un piccolo garage di ingegneri folli. I sedili, dicevamo, sono minuscoli e minimalisti, eppure riescono a trattenere senza stringere da nessuna parte, una sorta di guanto morbido e teso. Mi ricordano i guanti in pelle nera che i killer nei film anni ‘70 e ‘80, chissà perché, fanno sempre scricchiolare stringendo il pugno prima di entrare in azione.

I miei piedi si appoggiano su una bellissima pedaliera, lucida e armonica come una scultura moderna, e tutte le strutture di sostegno del cruscotto sono a vista: si può percepire quanto tutto sia strettamente funzionale. Persino la cerniera della piccola portiera è una staffa spessa in modo impressionante: si occupa chiaramente anche di mantenere una certa rigidità, oltre che di far ruotare la leggerissima portiera sui propri cardini. Rispetto alla Mk1 la posizione di guida è persino migliorata: così a sensazione il volante è leggermente più alto, oppure il sedile è leggermente più in basso, non saprei dirlo con precisione. Ciò che so è che mi basta spostare il sedile una tacca più avanti e sono perfettamente a mio agio, con la pedaliera centrata, le braccia piegate in modo naturale, con abbastanza spazio laterale per eventuali correzioni, e una fenomenale vista frontale in 16:9. Dagli specchietti posso vedere la linea del tetto che chiude improvvisamente verso il posteriore e i muscoli del passaruota che si fondono con lo spoiler inclinato in stile ducktail: meraviglioso. Sono più che pronto, direi: mezzo giro di chiave, il piccolo display sotto gli strumenti principali si accende, e poi premo il pulsante alla destra del piantone. Il motore si accende all’istante, come sembrano fare tutti i motori aspirati giapponesi di quegli anni, e anche io mi accendo alla stessa velocità. Ci sono.

Su strada

Per Ruggine Magazine la strada di oggi è un inedito. Nel cuore della meravigliosa Val Susa, c'è una striscia di asfalto liscio che si arrampica sempre più su, oltre la nebbia fin dentro la luce mattutina gialla e arancione, come la Lotus che sto guidando. C’è una intera sezione fatta di tornanti, intervallata da allunghi a vista e qualche chicane tra gli alberi. E’ molto bello, ma salendo verso il “campo base” non posso fare a meno che notare che tra me e un volo giù per la vallata non c’è nulla, nel caso sbagliassi qualche misura. E, vi assicuro, anche a causa della guida a destra, che pone la mia spalla destra a un paio di spanne dal bordo strada, il tutto è abbastanza impressionante.

Nonostante la mancanza di protezioni laterali, la guida a destra e la strada sconosciuta, l’Elise spazza via tutti i timori. Basta l’immediata sensazione di mancanza di inerzia, di controllo del telaio e di risposta  cristallina ai comandi per riportare il livello di fiducia in pari, anzi ben oltre. Anche grazie agli pneumatici, che offrono molto meno grip di quanto il telaio potrebbe gestirne, mi immergo subito nel flusso azione-reazione. Lo sterzo è diretto e veloce, ma mai isterico, pesante il giusto e perfettamente in grado di essere manovrato solo usando l’istinto. Per la verità nei tornanti più stretti è persino un filo troppo demoltiplicato, ma penso sia una sensazione amplificata dalla reattività del resto dell’auto. Scopro successivamente che Lotus prevedeva anche, come optional, una scatola dello sterzo meno demoltiplicata. Ad ogni millimetro di pressione sul pedale dell’acceleratore corrisponde un aumento della spinta immediato, sottolineato anche nelle accelerazioni più vigorose da un minimo di beccheggio della cassa. L’assetto della 111R non è una tavola, ma d’altronde Lotus ha sempre avuto la capacità di sviluppare al massimo il reparto sospensioni, cosa che ha fatto nel corso degli anni anche per altre Case in qualità di supervisore (ricordate, tra le altre, la mitica Opel Omega Lotus?). La piccola Lotus sembra concedere, in tutte le direzioni, un certo grado di rollio, che usa sia per aumentare il grado di agilità grazie al trasferimento di carico che, una volta in traiettoria, per inchiodare le ruote in posizione. E’ una sensazione pazzesca, una lezione in 8K sulle dinamiche e le inerzie applicate al veicolo, sparata direttamente alle sinapsi. Posso sentire l’auto posizionarsi sotto di me, attraverso il sedile, scivolando leggermente con l’anteriore o con il posteriore a seconda della somma delle mie istruzioni e della strada.

Le correzioni avvengono in modo automatico, tanto che spesso, dopo ad esempio all’uscita di un chicane da terza marcia, mi rendo conto di aver corretto un sovrasterzo solo dopo essere intervenuto. Ci si sente, però, ovviamente trasportati in un pianeta per persone che apprezzano la guida più hardcore. Non perché la 111R sia difficile, ma perchè ogni cosa si dice alla Lotus lei la esegue, quindi va bene la mancanza di inerzia, la capacità delle sospensioni e tutto il resto, ma se sbagli a comunicare potresti trovarti in guai seri. E, secondo, il 1,8 lt. Toyota è perfettamente in grado di brutalizzare le ruote posteriori anche ai medi regimi. Se credete che avere a che fare con un motore da 8000 giri\minuto vi salvi dal dover gestire la potenza a, che so, 4500\giri\minuto, vi sbagliate. Ora, 185 Nm di coppia al giorno d’oggi fanno sorridere, ma evidentemente nessuno lo ha spiegato al 4 cilindri giapponese che sbraita alle mie spalle, perchè in uscita dai tornanti è sufficiente premere al 50/60% l’acceleratore per provocare un deciso sovrasterzo di potenza. Indubbiamente parte di questo è da imputare alle gomme, ma c’è una insospettabile reattività sotto al piede destro. Per la verità la 111R sembra persino avere una sorta di “rete di salvataggio” per piloti meno esperti o distratti, perché in inserimento, se si eccede con la velocità, carica le ruote esterne e poi scivola leggermente infastidita sulle quattro gomme, così da restare sotto controllo.

Attenzione però, se in questo momento ritornerete sul gas con convinzione l’Elise si accuccerà sugli pneumatici posteriori e quasi all’istante partirà in sovrasterzo, accelerando al contempo con decisione. E’ come quando giocate con il vostro cane: finché avete la pallina in mano lui è teso ma fermo e sotto controllo, basso sugli appoggi, ma se lancerete capirà che è arrivato il momento di giocare e partirà alla carica, senza indugi. Ecco, è esattamente quello che fa la 111R, quindi se decidete di giocare fate in modo di essere pronti e di conoscere quantomeno le regole base della guida. La mancanza di differenziale autobloccante in queste circostanze aiuta a gestire il posteriore, e penso che con un po’ di mestiere si arriverebbe al momento in cui si desidera un po’ più di trazione, perché senza l’aiuto di un lsd il sovrasterzo tende a rallentare l’uscita, ma non per me, non oggi. Sarebbe già così una guida memorabile, ma so di essermi lasciato per ultimo un ulteriore livello di goduria, quello che realmente rende la 111R una esperienza più sfaccettata e profonda rispetto alla precedente versione: gli ultimi 2000 giri\minuto di puro delirio motoristico. Esco leggermente di traverso da un tornante destro e di fronte a me la strada serpeggia, a vista, per diverse centinaia di metri, prima di essere brutalmente interrotta da un altro tornante, questa volta a sinistra.

Controllo la sbandata di potenza e poi, in 2°, affondo il pedale dell’acceleratore fino in fondo. La spinta è costante e decisa ma non c’è nulla che può prepararti, attorno ai 6000 giri\minuto, al cambio di carattere del motore. E’ come accendere un interruttore: all’improvviso si sente chiaramente la mano di Yamaha, che aiutò Toyota nello sviluppare il sistema di fasatura variabile. La prima cosa che si avverte è l’aumento dei decibel improvviso e il cambio completo del suono, che passa da “auto sportiva” a “moto di grossa cilindrata a pieno carico ai medi regimi”. Vengo colpito alla schiena da un'ondata di energia e la lancetta parte alla carica, accelera nel vero senso della parola, verso il fondo scala. A questo punto accadono due cose: primo, mi viene la pelle d’oca e, al contempo, mi sembra che il tempo rallenti. Non so bene il perchè. Riflettendoci credo che sia solo la reazione del mio corpo e del mio cervello da malato di motori che cercano, focalizzandosi e concentrandosi ad un livello superiore, di ricordare e vivere al massimo questo momento. Riesco a percepire chiaramente le vibrazioni del motore attraverso la scocca, il volante farsi di una frazione più leggero quando il posteriore si accuccia sotto i colpi della potenza, ma, per dire, prendo nota che la terra a bordo strada sembra molto umida e che sul muro di pietra alla mia sinistra c’è scritto “Ciau”... La 111R intanto continua ad accelerare e ad aumentare la forza del proprio grido, stemperando la propria voce sempre di più verso un isterico urlo, in pieno stile motociclistico. Quando la lancetta supera quota “8” appoggio la mano sul pomello, giù la frizione, porto la leva in posizione centrale e dopo un attimo la spingo in avanti, 3° dentro e gas di nuovo a fondo.

Il cambio è rapido ma non velocissimo, necessita una frazione di pausa al centro prima di “risucchiare” il rapporto successivo. I rapporti sono perfetti e studiati proprio per questo momento: la caduta dei giri permette di rientrare in zona “camma da guerra” e così la ferocia nella spinta non viene assolutamente interrotta. La velocità adesso è su quel limite stretto che tutti gli appassionati conoscono, quello dove il tuo buon senso, sebbene allenato da anni di guidate “col coltello tra i denti” inizia a bussare su una spalla per chiederti di farla finita, mentre sull’altra spalla, in pieno stile Tom & Jerry, il tuo “IO” più scatenato ti ORDINA di tenere ancora per un po’ giù il piede. Metto dentro la 4°, aspetto di arrivare attorno ai 7000 giri\minuto e poi mi attacco ai freni, scalando nel contempo fino alla 2° con dei punta\tacco inevitabili. Se proprio devo alzare una critica, lo sterzo non è così diretto come potrebbe e i freni sono forse il comando che mi convince di meno: il pedale ha una corsa troppo lunga e la forza frenante non è quella che mi aspetto da una vettura con una massa così ridotta, ma scopro successivamente che l’impianto avrebbe bisogno di manutenzione, quindi sospendo il mio giudizio.

Il muso da insettone della MK2 picchia verso terra, sento il posteriore ondeggiare leggermente, inserisco nel tornante con tre quarti di giro di volante e poi torno sul gas, il leggero sottosterzo diventa sovrasterzo deciso e in un attimo la curva viene polverizzata, il motore comincia a spingere e appena raddrizzo le ruote ecco il VVTL-i tornare prepotentemente alla carica, corto rettilineo, leggera frenata per una chicane a vista, torno sul gas, scivolata del posteriore, i giri aumentano al pattinare delle ruote, controsterzo tenendo il piede giù, sembra di sciare tra un appoggio e l’altro, di nuovo tutta la 3°, dentro la 4°, cazzo che voce, che pelle d’oca, che purezza… ok, basta, sollevo il piede destro.

Lo scarico caldo scoppietta vigorosamente, posso percepire il metallo dilatato dal calore cercare di ritrovare la propria forma, mentre i sassolini sbattono sui passaruota anteriori e sul fondo della Elise, a pochi centimetri sotto di me. Mi rendo conto solo ora di aver tirato giù tutto il finestrino, forse per godermi al massimo il suono del Toyota, ma non ricordo quando. Che auto, che strada, che motore. Che leggenda.

Considerazioni finali

Se parliamo di vetture sportive pure, quelle che riducono l'esperienza uomo\macchina a ciò che davvero conta, quindi senza la necessità di 815 modalità di guida o dell’ultimo ritrovato della tecnica per farti credere di essere in grado di driftare, credo sinceramente che la 111R sia un’auto praticamente priva di difetti. È sempre veloce, comunicativa, giocosa. Sa insegnare a chi guida ad essere più rapido, più preciso, più determinato, senza però punire duramente in caso di piccoli errori. E, al tempo stesso, sa essere feroce, brutale, teletrasportandoti nel motorsport più puro, quello dove le correzioni avvengono a livello di subconscio e a 8000 giri\minuti il mondo appare un posto più bello e luminoso.

L’eliminazione di una bella fetta di grip dovuta alle gomme invernali, esattamente come la guida sul bagnato, avrebbe potuto fare emergere molto velocemente eventuali criticità nella messa a punto. E, invece, la 111R fluisce sulla strada, restando sempre leggera, pronta al cambio di direzione e al contempo aderente, positiva e sicura di sé. Come se non bastasse trasmette la sensazione, netta, di poter accedere ad un motore speciale, ad un pezzo d’arte ingegneristica che purtroppo oggi non ha eredi. Dai, ammettiamolo: se ami la guida, le auto, la meccanica e l’eroismo di fondo del motorsport, cosa si può desiderare di più di così? Più potenza? Più coppia? Forse sì, l’Elise può sicuramente gestirle, ma non ce n’è bisogno.

Quello che dovete fare, signori di Lotus, e sedervi e pensare a come portare avanti il concetto Elise. Perché, cari ragazzi, era geniale venticinque anni fa, e lo è tutt’ora. Creare un’auto così capace, divertente e memorabile è puro talento, puro amore, pura passione per la guida.

Creare un SUV elettrico da 1000 cv, invece, è solo vuoto marketing, e non credo che tra venticinque anni qualcuno vi ricorderà per questo. O meglio, forse lo faranno, ma ci sarà sempre un “peccato…” in fondo alla frase.

Ne sono sicuro.

I test come questo sono esattamente il carburante che ci permette di portare avanti il progetto Ruggine nonostante tutto. E’ stato tutto eccezionale. Nik, grazie di nuovo.

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