peugeot 306 s16

- La media maxi -

...L’avantreno è stabile e sicuro, mentre il posteriore, all’aumentare di velocità e forze in gioco, sembra mettersi prima sull’attenti e poi sollevarsi un po’, letteralmente se si parla della ruota interna, donando agilità e aiutando ancora di più l’avantreno ad accorciare le traiettorie. In questi momenti la S16 è il triciclo più figo del mondo, ve lo assicuro. Non solo, questo numero funziona alla perfezione, perchè resto sempre colpito dalla coerenza nella risposta di questa vettura, che affronta con semplicità disarmante i cambi di traiettoria. Lunga curva sinistra in salita, apro il gas al punto di corda ma mi accorgo di essere troppo fiducioso quando il sottosterzo si presenta inaspettato, con tutta la S16 che ha caricato la ruota anteriore esterna. Via il gas, il ponte posteriore si sveglia di soprassalto…”

La Peugeot 306, sull’onda dell’incredibile Maxi, oltre che della terribile sorella 106, si è creata una solida reputazione di sportiva. Ok, la Rallye è forse più cool, ma il mito è nato partendo da lei: la S16, capostipite delle 306 sportive.

Potevamo rifiutare un giretto sulla Leonessa?

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15 febbraio 2022| scritto e pensato dalla mente malata di M.Carito | editato e corretto dal pensiero distorto di Gabry | Inquadrato, scattato, editato dalla mano mossa di Gabry

Se dico "Peugeot 306”, cosa vi viene in mente? Anche a voi appaiono celestiali immagini di bellissime auto bianche, blu e rosse allargate in modo pornografico, che suonando come grosse moto e snocciolano in sequenza tutti i rapporti del cambio sequenziale? No? Eh ma che brutta infanzia che avete avuto… Va bene, faccio un piccolo riassunto, ma per favore, voi miscredenti aprite Youtube e cercate “306 Maxi”, mi ringrazierete. La Maxi fu, probabilmente, la più famosa delle “Kit Car", in pratica delle Gruppo A da rally a cui tutto è concesso, tranne la trazione integrale. Nate nel 1995, furono pensate per invogliare i costruttori a partecipare alle corse su strada senza dover produrre i 2500 esemplari stradali necessari per partecipare al campionato Gruppo A. I burocrati avranno pensato: “Ma se noi le obblighiamo alla sola trazione anteriore, beh, le Kit Car non daranno fastidio alle WRC, vero?”. Sbagliato, perché queste vetture furono sviluppate all’estremo e, nella sottocategoria K11, erano dotate di motori 2.0 aspirati da 280 cv, cambi sequenziali a 7 rapporti (nel caso della 306), carrozzerie gonfie all’inverosimile, il tutto per 1000 kg scarsi. Ok, su fondi viscidi non c’era battaglia con le rivali integrali, ma sull’asciutto divennero fastidiose come una zanzara ninja in una sera d’estate. Le WRC furono messe dietro dalle sorelline Kit Car per ben due volte nel 1999 (Rally di Corsica e della Catalogna) dalla Citroen Xsara, mentre l’anno prima una 306 Maxi arrivò seconda di un soffio, sempre al Rally di Corsica. Per fortuna che dovevano limitarsi… Parlando di Peugeot, da quale modello fu sviluppata la Maxi? Le 306 “hot”, nei ricordi di tutti, sono la GTI e l’ancora più spartana Rallye, quindi sarà una di queste, giusto? Sbagliato di nuovo: fu la versione S16, cioè l’antenata di quelle sopra, ad aver dato il natale alla Maxi. Anzi, a voler essere precisi, portò trofei alla Casa del Leone ancor prima di questa evoluzione tutta muscoli, uno tra tutti il “Campionato Mondiale Rally Due Ruote Motrici” del 1995. Insomma, la S16 merita di essere ricordata, anche se il 2.0 L bialbero sviluppa “solo” 150 cv contro i 167 delle discendenti ed il cambio ha solo 5 rapporti invece che 6. Ok, ha anche freni più piccoli ed è meno raffinata, ma non facciamo i pignoli: lei è la capostipite e bisogna portare rispetto.

Impressioni a ruote ferme

Anni fa ho avuto una 306, per la precisione una bianchissima Rallye, per cui sono curiosissimo di fare un parallelo con la sua antenata, la S16 che avremo oggi. Con la mia “ex” ho vissuto infiniti momenti ludici ed un solo spavento, quindi due anni abbondanti con un ottimo rapporto qualità\mutande buttate. Esteticamente la 306 seguì l’evoluzione stilistica della sorellina 106 in tutto e per tutto, con una “Phase 1” dalla linea squadrata e una “Phase 2” (in pratica, il restyling di metà vita) più morbida e arrotondata. Pininfarina capì di aver fatto centro con la 106 e, quando i vertici Peugeot gli chiesero di disegnare una vettura di categoria superiore, non fece altro che annuire e, tornato a Torino, moltiplicare tutte le misure della 106 per 1,3. Svogliatezza? Forse, ma cosa gli vuoi dire quando il risultato è questo?

Ok, la S16 è decisamente meno “Gruppo N” della Rallye, ma la più anziana resta un’auto dall’estetica decisa. E’ un bell’insieme di superfici tese e di spigoli, tanto più nella S16, che esiste solo “Phase 1”, sostituita poi dalla GTI al momento del restyling. La mascherina a listelli orizzontali “allarga” otticamente il frontale, assieme ai passaruota tesi e alla presa d’aria a tutta larghezza sul paraurti anteriore. I fari anteriori sono meno “felini” di quelli della “Phase 2”, che per una casa con un Leone nel logo è un po’ un colmo, ma tant'è. Ha un bell’impatto visivo anche nella vista laterale, aiutata dalle minigonne squadrate e dagli sbalzi contenuti. C’è ovviamente molto della 106, ma anche della mitica 205, in particolare per il modo in cui la lamiera e la vetratura interagiscono nel montante C. Il richiamo diretto alla famosa progenitrice, a ben vedere, c’è e si vede: il tappo del serbatoio è praticamente identico per forma e posizionamento, oltre che nella “banda” in plastica nera a rilievo che lo attraversa. “Banda” che su questo esemplare non c’è, perchè il precedente proprietario ha verniciato tutto in tinta, ma concettualmente ci siamo.

I passaruota posteriori sono meno pronunciati, ma ci pensa il grosso lunotto inclinato e la linea pulita del portellone a dare un aspetto sportiveggiante anche alla vista posteriore. Questo esemplare ha uno spoiler aftermarket dell’epoca che, secondo me, non si sposa benissimo con gli spigoli della vettura originale, ma a quanto pare lo spoiler di serie è praticamente introvabile. Dalla bandella inferiore del paraurti, a sinistra, sbuca il terminale di scarico tondo aftermarket che è più anni ‘90 di un singolo degli 883. Ho sempre avuto un debole per i fanali leggermente fumè di quest’auto, sul serio. A guardarla bene, nel complesso, è proprio il rapporto tra larghezza e lunghezza, da ogni angolazione la si guardi, a donare una certa “presenza” alla 306.

La S16 sembra stabile già da ferma, piazzata, come quel cugino calabrese cresciuto a pane e cose fritte che è largo quanto è alto. Ha le ossa grosse, diciamo. I cerchi in lega da 15 pollici dal design semplice stanno molto bene con la linea della vettura, ma c’è il trucco, sotto forma di ammortizzatori ritarati ad hoc su molle Eibach, che ovviamente aiuta a riempire per bene il passaruota. Sinceramente? Preferisco la “Phase 2”, più morbidosa e sexy, ma anche la S16 si porta dietro quell’aura da “auto per intenditori” della sorella più moderna.

Apro la portiera, così leggera e sottile da farmi ricordare come un tempo sicurezza passiva fosse sinonimo di “sedere sul divano”, e guardo l’abitacolo. Qua dentro le distanze con la mia ex sono moltissime, perché lei aveva un passato da “muletto” ed era vuota e scarna, mentre nella S16 vengo accolto da sedili in pelle nera, tanti tasti e optional. I sedili si contraddistinguono per la forma molto squadrata della seduta, in contrapposizione netta con i fianchetti arrotondati. Nonostante la zona di appoggio chiappa sia decisamente sovradimensionata li trovo comodi e trattengono bene il corpo. Danno un’idea di lusso, più che di salti su una strada secondaria con uno più pazzo di te che ti grida le note nell’interfono, ma è normale che sia così: sono io che devo bloccare le mie aspettative formato Maxi.


Il volante a tre razze sembra il mio profilo dopo le vacanze natalizie, con il centro gonfio e tondeggiante, ma ha un diametro corretto ed è “bello” da impugnare. Peccato che resti un po’ troppo in basso anche tirando giù tutta la seduta. La strumentazione a fondo nero è semplice che più semplice non si può, con la zona rossa che parte da 7000 giri\minuto come raro tocco di colore. La consolle centrale “gira” attorno al guidatore, il pomello tondo e rivestito di un altro tocco di bovino è in cima ad una lunga asta. Tutto sembra molto serio e, devo dire, anche di una certa qualità. C’è poi, proprio davanti al cambio, la tastierina per inserire il codice di sblocco della pompa carburante, antifurto d’annata che ai francesi dev’essere sembrata un’ottima idea: peccato che, ogni volta si scenda dall’auto e si chiuda la portiera, vada inserito per accendere il motore, anche a distanza di pochi secondi dallo spegnimento. Immaginate le bestemmie (ma sempre con il mignolo alzato, ça va sans dire) che ha ricevuto questo marchingegno da chi usava una 306 (ma anche una Citroen coeva) per lavoro. Devo dire che nel 2022 tutto questo appare come un tocco di originalità transalpina.

Sbirciando sotto il piatto cofano anteriore, il 1998cc, in posizione leggermente “impennata” verso il retro dell’auto, fa bella mostra di sé, con i collettori di aspirazione in plastica specifici per questa versione in vista e quelli di scarico praticamente invisibili, coperti dal blocco motore. Per la verità sono più attratto dalla sua voce, visto che lo scarico libero montato su questo esemplare suona esattamente come dovrebbe fare una vettura di quegli anni: roco, deciso e dichiaratamente aspirato senza troppe limitazioni.

Su strada

Questo esemplare di S16 è particolarmente in forma. La testa lavorata, gli alberi a camme rivisti e lo scarico completamente “liberato” dovrebbero arrotondare la curva di potenza e coppia della 306 che, per quanto sembri incredibile, vista l’abitabilità a bordo, pesa circa 1200 kg. In assenza di dati certi, mettiamola così: sicuramente ha qualcosa più dei 150 cv e 183 Nm dichiarati da mamma Peugeot. Parlavo di abitabilità non a caso: a bordo lo spazio è tanto e, complice i rivestimenti ricercati e la scarsa caratterizzazione sportiva, beh, un po’ confonde il mio cervello che ricerca aria racing ovunque. Ci pensa la risonanza dello scarico ai regimi intermedi a farmi tornare il sorriso, anche se purtroppo la strada oggi non è ottimale per diversi motivi: il vento incredibile di questi giorni ha lasciato rami e altri detriti in carreggiata, in zona pare ci sia il raduno nazionale delle forze dell’ordine e, nonostante sia lunedì mattina presto, ci sono ciclisti in fila per quattro pronti ad insultarti ad ogni tuo passaggio. Insomma, sbuffo più io dello scarico. Appena mi dò da fare, però, ottengo immediatamente (e per l’ennesima volta) la risposta alla domanda “perchè le auto di una volta piacciono così tanto?”. Lo sterzo ha un’azione tattile e gustosa, diretta il giusto, ma non è tanto quello a colpirmi, quanto la sensazione di naturalezza con cui la S16 va in appoggio. E’ un mix fatto di leggerezza, carreggiata allargata e assetto azzeccato: ruota lo sterzo e lei cambierà direzione senza alcuno sforzo e senza fastidiosi ritardi nella risposta.

Il set-up dell’assetto rivisto, leggermente “impuntato” in avanti come da tradizione francese, sembra di qualità, quindi mi rilasso da subito, così inizio a sondare il 4 cilindri. Già da circa 4000 giri\minuto, quando la risonanza dello scarico regala sordità a palate, il motore spinge pieno e rotondo, ma appena ne ho la possibilità vado decisamente più su. A 6000 giri\minuto il suono si assottiglia, liberandosi delle risonanze eccessive, e finalmente la 306 sembra fare sul serio. Siamo distanti dalla “botta” che tirano le turbo moderne, ma l’auto non è per nulla lenta, a patto di tenere la lancetta vicino alla zona rossa, con il motore che da buon “quadro” (86 mm sia per l’alesaggio che per la corsa) varia regime alla minima pressione del gas. Gasato dalla risposta del 4 cilindri, pregusto una doppia sinistra, freno, scalo dalla 2° alla 3°… Cioè, ci provo: il cambio è gommoso e l’asta sembra “rimbalzare” prima di trovare la giusta via per innestare il rapporto. E’ un deja-vù: la mia ex, nonostante avesse il 6 rapporti che è globalmente considerato migliore, aveva un cambio per me insufficiente. Ok, venivo da una Honda Integra Type-R (qua trovi la nostra prova), ma non era all’altezza del resto.

Ci riprovo: le scalate migliorano sensibilmente se faccio punta tacco, anche se per farlo la pedaliera mi obbliga ad un certo contorsionismo della caviglia. Nonostante tutto questo, resta del disagio nelle cambiate veloci. Tengo per un paio di curve un ritmo accettabile e la S16 sembra contenta di assecondare le mie richieste passando da una traiettoria all’altra con vero entusiasmo. Rispetto alla 106 ha un’attitudine più calma e riflessiva, anche se si assomigliano: è come vedere la stessa azione fatta da due fratelli dal carattere diverso. A velocità allegre ma non troppo, la S16 viaggia sicura e spedita, tanto che si arriva velocemente al momento in cui, in uscita di curva, l’anteriore sbanda di qualche frazione quando si torna sul gas. Anche qua, però, le ruote motrici non si arrendono mai definitivamente e, nonostante gli pneumatici 195\55 di oggi siano invernali, non perdo mai il controllo della direzionalità. E’ più un disperdere un po’ di trazione qua e là, ma non è un problema, anzi, la chiarezza con cui questo viene percepito attraverso il volante, il fondo dei pantaloni e la sfumatura tra tenuta e scivolata così malleabile accresce la mia fiducia.

E’, di nuovo, un comportamento rassicurante e capace, ma non per questo la S16 sembra lenta o poco coinvolgente, almeno fino a quando si decide di attaccare sul serio. Già, perché galvanizzati da questo comportamento, quando inevitabilmente si cerca di impostare un bel ritmo, questo viene castrato dalla scarsa velocità del cambio. Come detto non si può mettere troppa fretta al pomello, perchè se vuoi mandare a segno la cambiata devi operare con una certa calma, pena impuntamenti che farebbero perdere ancora più tempo. Non solo: una volta innestata la marcia, si viene ulteriormente delusi dalla lunghezza dei rapporti, che sembra un po’ esagerata, quasi avessero montato il cambio sbagliato. Mettiamola così: persino in 2°, in ripresa dai medi usciti da una curva, ho il tempo di dare un’occhiata alla lancetta salire almeno un paio di volte, prima di arrivare in zona rossa. Peccato, perchè il 5 rapporti è l’unico elemento che si oppone alla sana attività ludica presente nella S16, che nelle restanti aree sembra all’altezza di una sporadica e soddisfacente guidata a vena semi-chiusa.

Non è affilatissima, eppure è congrua nei movimenti e pienamente convinta dei propri mezzi. Ok, i freni tendono ad allungare lo spazio di frenata dopo qualche pinzata, ma è solo il cambio a risucchiare tutte le energie positive, come direbbe il mio psicoterapeuta. Alla ricerca di una soluzione, sfruttando la coppia precoce (picco a 3500 giri\minuto), tengo un rapporto più lungo per non ricorrere troppo a quel noioso cambio. Così facendo, se da un lato perdo un po’ di ritmo e, diciamolo, di gusto, dall’altro guadagno scorrevolezza: ora mi posso godere un po’ di quella magia in percorrenza tipica delle auto francesi di quell’epoca. L’avantreno è stabile e sicuro, mentre il posteriore, all’aumentare di velocità e forze in gioco, sembra mettersi prima sull’attenti e poi sollevarsi un pochino, letteralmente se si parla della ruota interna, donando agilità e aiutando ancora di più l’avantreno ad accorciare le traiettorie. In questi momenti la S16 è il triciclo più figo del mondo, ve lo assicuro. Non solo, questo numero funziona alla perfezione, perchè resto sempre colpito dalla coerenza nella risposta di questa vettura, che affronta con semplicità disarmante le richieste di cambio traiettoria. Lunga curva sinistra in salita, apro il gas al punto di corda ma mi accorgo di essere troppo fiducioso quando il sottosterzo si presenta inaspettato, con tutta la S16 che carica la ruota anteriore esterna. Via il gas, il ponte posteriore si sveglia di soprassalto e ci regala una sfumatura di sovrasterzo da rilascio, una sorta di movimento alla 106\Saxò (qua trovi la nostra prova della Saxò VTS) ma decisamente più maturo e meno sovraeccitato, più misurato e professionale. Meno cucciolo iperattivo e più cane addestrato all’agility, per così dire. Anche perché le 306 hanno un altro asso nella manica rispetto alle sorelline 1,6 lt: la coppia. Ne hanno a disposizione molta di più sotto al piede destro, aspetto che rende più semplice “raddrizzarle” ridando gas, quando il sovrasterzo diventa eccessivo. Basta tornare ad accelerare e tutto il movimento di rotazione del posteriore diventa ripresa e spinta in avanti, in un crescendo di godimento vecchia scuola, quando le auto che si “muovevano” erano considerate agili e non difettose. Ricordavo questo trucco dai tempi della mia Rallye, capace di chiudere le curve con il gas ma al tempo stesso di mantenere una calma assoluta, beata lei. Rallento, giusto il tempo di ricordarmi che oggi non è giornata: un ciclista, sicuramente simpaticissimo, ci riprende con il telefonino mentre transitiamo a passo d’uomo scambiandoci le impressioni di guida. Ok, altre due curve e ci siamo, fine del test.

Considerazioni finali

Lo devo dire: la S16 mi ha colpito per quanto sia intrinsecamente moderna e capace su strada. Beh, cambio a parte, ma questo vale per diverse vetture francesi, chissà perchè. Forse amano a tal punto la baguette da usarla come riferimento per la leva del cambio? Mah. Tornando alla S16, è una vettura che si percepisce immediatamente agile, ma la cosa impressionante è che questa sua capacità di cambiare direzione non va a discapito della stabilità, comportamento notevole in particolare conoscendo le sorelline 106, che alle volte sono rapide a discapito del desiderio di tornare a casa per cena. La S16 va da un appoggio all’altro con decisione ma tutti i trasferimenti di carico e i movimenti sulle sospensioni avvengono quasi al rallentatore, telefonando le intenzioni a chi sta dietro al volante in modo che abbia tutto il tempo di capire e correggere. E’ una messa a punto notevole, sul serio. La S16 sa divertirsi senza chiedere molto indietro, se non di starla ad ascoltare. Un’auto che merita stima.

Più di certi ciclisti, mettiamola così.

Un enorme grazie va a Simone che, pur guardando la sua S16 con gli occhi dell’amore, oggi mi ha permesso di guidarla.

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