“...La Puma risucchia l’aria a 40 gradi, cercando ossigeno da sacrificare nei pistoni, 4° piena, freno. Il frontale si abbassa, terza, inserisco. Inutile cercare numeri da circo o chissà cosa; la Puma è una semplice auto e fa cose semplici, ma non per questo meno apprezzabili. Paolo aveva ragione…”
Alle volte è meglio tornare alle basi, alle cose semplici, per ritrovare il giusto slancio.
Una Ford Puma? Perchè no…
Gioco a calcio da una vita, tanto da sapere che ci sono partite in cui, semplicemente, non riesce nulla. Passaggi di tre metri sbagliati di due, tiri che arrivano direttamente nel parcheggio, gambe pesanti e così via. Per esperienza, l’unica cosa che può riportarti ad un livello accettabile è ripartire dalle basi. Passaggi di pochi metri, due tocchi e via, per ritrovare il giusto feeling con gesti compiuti migliaia di volte che per qualche motivo non riescono più. Giocare semplice, per ritrovare se stessi sul campo. Può essere anche una bella metafora di vita, se ci pensate.
Una bella metafora anche per Ruggine Magazine. Sono in un momento in cui non mi riesce molto: il foglio sembra più bianco del solito, le auto nuove non mi ispirano e, dopo 150 test, molte delle “vecchie” abbordabili le ho già recensite. Se poi ci mettiamo genocidi, mondo sull’orlo della terza guerra mondiale e il mio primo figlio in arrivo, ecco che le energie mentali per andare avanti sono sempre meno.
Lo so. Questo contenitore di passione a quattro ruote è nostro quanto vostro, che ci avete creduto dall’inizio, quindi quando Paolo mi ha costretto a provare la sua Ford Puma 1.7 lt. non ho potuto dire di no. Quando ti parcheggiano l’auto al lavoro, ti consegnano le chiavi e ti dicono: “tienila quanto vuoi, è assicurata. Fai tu. Ora ciao, ci sentiamo…” non puoi proprio rifiutare.
Forse giocare semplice mi aiuterà anche questa volta: la Puma ha poca potenza, trazione anteriore, nessun mito o leggenda o fanbase da prendere con le pinze. Giusto per essere chiari, parlo dell’unica e la sola Puma di cui valga la pena di parlare, quindi zero SUV fighetti. Per la verità la lista delle modifiche a cui è stato sottoposto questo esemplare è lunga, molto più lunga di quella che mi sarei aspettato quando Paolo mi ha detto di avere una Puma “semplice, da divertimento”.
Quando semplice? Così: alberi a camme Newman, pistoni stampati CPS, duomi davanti e dietro, assetto Koni regolabile, scarico in acciaio con collettori 4-2-1, centralina Microsquirt, farfalla aspirazione da 70mm, aspirazione BMC, testa lavorata, cambio dai rapporti accorciati di derivazione Fiesta con frizione rinforzata e altre cosine di contorno. Insomma, le preparazioni “semplici” sono un’altra cosa…
Lo ammetto, ai tempi guardavo a queste piccole coupé con un po’ di indifferenza. La Ford Puma e la cugina Opel Tigra erano innocue, un po’ femminili, prive di quel brivido da platano preso in pieno che accompagnava le coeve Clio RS, tanto per citarne una. Eppure, a vederla oggi, la Puma è una vera e propria bandiera di tutto ciò che ci siamo persi negli ultimi anni, in cui oggettivamente ci troviamo circondati da nugoli di vetture nate sempre dalla stessa ricetta di plastica ripetuta in diverse forme, tutte inevitabilmente insulse. Questo in nome del profitto, ma pensate un po’, il mondo dell’auto non è mai stato così in crisi. Che forti quelli dell’ufficio Marketing.
La Puma è l’esatto opposto, ed infatti all’epoca fu un buon successo commerciale. Una piccola coupé semplice e affidabile, senza noie particolari, con costi di gestione bassi e un prezzo abbordabilissimo. Talmente buona, come idea, che a livello di numeri la Opel Tigra fece ancora meglio.
La Puma è davvero minuscola: 3984 mm di lunghezza per 1674 mm di larghezza, in pratica se volessi potrei fisicamente abbracciarne il musetto arrotondato. Il frontale è la parte più riuscita: il design Ford dell’epoca (ricordate la Ka?) è morbidissimo, sembra quasi un telo teso su una intelaiatura, tanto è priva di spigoli e angoli. I passaruota sono ben definiti e muscolari, i paraurti… beh qua troviamo appendici tuning che andavano di moda nei primi anni 2000, ma nella configurazione originale è comunque grintoso il giusto. Ok, lo so, il tre quarti posteriore tradisce un po’ il telaio su cui è stato sviluppato il progetto Puma, ovvero quello della Fiesta. Un designer Alfa Romeo (che mi prestò una Renault Fuego, ecco la prova!) una volta mi disse: “è facile disegnare una bella coupé di quattro metri e mezzo, molto ma molto meno creare proporzioni giuste con un telaio corto e tozzo…”
Ed infatti la zona posteriore e l’attacco del grande lunotto appare un po’, come dire, compresso e non riuscito. Le linee inciampano, salvo poi riprendersi arrivati allo specchio di coda sormontato da un piccolo accenno di spoiler integrato nella linea del portellone. Quello che disturba è il cerchio da 15 pollici, un OZ Racing dal disegno più anni 2000 di delle scarpe da calcetto usate per uscire, ma troppo piccolo per riempire i generosi passaruota.
Per la verità negli UK, tra la fine del 1999 e l’inizio del 2000 e sull’onda della partecipazione di Ford al Campionato Super 1600 proprio con la Puma, fu disponibile per 500 fortunati la Puma come tutti l’avremmo desiderata, ovvero “Racing”, di nome e di fatto.
Il motore 1,7 litri Zetec fu rivisto pesantemente e portato a 155cv, furono aggiunti passaruota in alluminio ad abbracciare carreggiate allargate di 35 mm all’anteriore e ben 50 mm al posteriore, la ciclistica adeguata con tanto di differenziale autobloccante e furono scelti gustosissimi cerchi da 17 pollici. Ah, il colore, parafrasando Henry Ford, poteva essere scelto a gusto personale, bastava fosse azzurro Racing. In Italia, invece, il top di gamma è rappresentato dalla vettura che ho qua davanti, sempre con lo Zetec da 1700 cc ma con 125cv, nessun autobloccante e molto meno testosterone in giro. Ora, dimenticate un attimo i numeri, perché il motore è tutto meno che banale, anche grazie allo zampino che Yamaha mise in fase di sviluppo.
Apro la portiera e quello che vedo mi commuove come un gattino sotto la pioggia che ti chiama con la zampetta. L’abitacolo è di una semplicità disarmante: cruscotto morbido che abbraccia una strumentazione chiarissima a fondo bianco, stoffa spessa e tristina stile fondo di magazzino di negozio di divani e poco altro. Entro, i sedili confermano l’aspetto esteriore da “poltroncina” risultando davvero troppo imbottiti, ma tutto sommato la posizione di guida è soddisfacente.
L’odore della stoffa delle vetture anni ‘90 e primi 2000 lo riconoscerei tra mille, un misto tra stoffa grezza, polvere e vecchia stanza dei ricordi. Il volantino a calice di questo esemplare aiuta molto a sentirsi al centro dell’azione, ma tutti i comandi sono esattamente dove dovrebbero essere e raggiungibili da un movimento contenuto e senza guardare. Il dettaglio memorabile però è il pomello del cambio in metallo, clamorosamente perfetto nella sua sfericità e nella totale assenza di sovrastrutture stilistiche. Maraviglioso, sul serio.
Accendo le luci per pura curiosità e la retroilluminazione del quadro strumenti mi fa sorridere, di nuovo: la luce è verde, come la sorellona famosa Ford Escort Cosworth, un richiamo adorabile.
Mezzo giro di chiave e lo Zetec si mette in moto con il classico minimo zoppicante dato dagli alberi a camme dal profilo incivile, stacco la frizione e… spengo l’auto. Ok, ora è sicuro, oggi si suda. Tantopiù che l’aria condizionata è stata eliminata per questioni di peso…
La Puma vibra e mi sbatacchia lungo il percorso di prova, riempiendomi le orecchie del tipico roco brontolio degli aspirati non silenziati. Purtroppo, a causa del Giro D’Italia (o, più precisamente, della totale mancanza di organizzazione del sottoscritto) ho dovuto cambiare il percorso del test, optando per un nastro di asfalto decisamente più adatto a vetture dalla cavalleria importante, a causa della pendenza maggiore della strada. Questo, inizialmente, castra un po’ la percezione che la Puma mi trasmette. Sembra un po’ rallentata nelle risposte, nonostante le modifiche e il fare da Gruppo A, mentre esploro cambio, sterzo e freni tenendo il motore attorno ai 5000 giri/minuto. L’assetto tende al morbido, quindi sotto questo punto di vista la Puma si lascerà sicuramente guidare dentro gli avvallamenti della strada senza scalciare. Il cambio dai rapporti moooolto ravvicinati ha un’azione precisa e naturale e lo sterzo è comunicativo ma non particolarmente diretto, ai piccoli angoli sembra un po’ perdersi. Tutto questo rende la Ford facile e calma, aiutata dall’accoppiata più potente che c’è: leggerezza e compattezza.
Quando questi due aggettivi si fondono in un’auto potete stare certi che il risultato sarà un mezzo che, semplicemente, raggiungerà picchi di immediatezza. Per dire, arrivi lungo in curva? Semplice, ti attacchi ai freni e, in qualche modo, gli pneumatici (degli ottimi Toyo Proxes, ma del 2018…) riusciranno a vincere la guerra con la massa mettendo in rotazione l’auto. Non solo: la carreggiata stretta permette di infilare il muso della Puma praticamente dove vuoi, senza dover per forza tagliare le traiettorie in modo assassino. Per altro, così facendo, senza prendersi troppi rischi si può far lavorare il telaio e non solo gli pneumatici grazie a traiettorie tonde, “giuste”, per quanto su strada pubblica.
Faccio su e giù un po’ di volte, la temperatura dell’acqua si stabilizza e inizio a darci dentro sul serio. Il motore spinge con buona rotondità fino a circa 5500 giri\minuto, dopo di che inizia ad arrabbiarsi sul serio e si lancia verso i 7000 con il risucchio dell’aspirazione (un barilotto BMC in carbonio, tanto per restare in tema nostalgia) che copre il suono dello scarico. Piccolo inciso: quando il suono dell’aspirazione copre lo scarico vuol dire che quello che state guidando, molto probabilmente, sarà un motore capace di farvi godere, chiedere all’Integra Type R (la prova? qua).
La Puma, pur soffrendo la pendenza della strada, sembra tutta impegnata a produrre velocità vibrando e scalciando, davanti a me un tornante destro, quindi mi attacco ai freni. L’assetto è seriamente un po’ troppo morbido, tanto che il muso punta a terra con decisione in frenata, senza però che questo alleggerisca il posteriore. Scalo in 2°, il cambio ha una bella azione secca e precisa, inserisco il muso in curva, i pesi schiacciano le ruote esterne a terra e giù il gas. Non sento la mancanza di un autobloccante, i cavalli vanno alle ruote e da là all’asfalto senza sprechi. Interessante. Mi sistemo un po’ meglio sul sedile imbottito e ci do dentro. Il feeling generale che la Puma mi trasmette è molto vintage, e lo dico come complimento. Lo sterzo è un po’ lento e probabilmente è l’aspetto che tradisce di più la provenienza proletaria, anche se guadagna vita e soprattutto coerenza una volta aumentata la richiesta di sterzata. I freni sono piccoli ma con una massa inferiore ai 1000 kg smaltiscono la velocità senza problemi e il cambio ha una corsa netta e istintiva. Dopo un lungo dritto, con la montagna che scorre confusa a destra e il nulla a sinistra, arriva un doppio destra su sinistra piena. E’ una sezione che mi ha sempre rivelato molto della vettura in test, perchè serve un assetto preciso ma abbastanza di qualità da assorbire il taglio in entrata della prima destra: se questo taglio scompone l’anteriore potete dire addio ad una bella traiettoria sull’ultima sinistra che ci lancia su un corto rettilineo. La Puma risucchia l’aria a 40 gradi, cercando ossigeno da sacrificare nei pistoni, 4° piena, freno. Il frontale si abbassa, terza, inserisco. Inutile cercare numeri da circo o chissà cosa; la Puma è una semplice auto e fa cose semplici, ma non per questo meno apprezzabili. Paolo aveva ragione. C’è però un ultimo tentativo per aggiungere una sfumatura al piatto, esattamente come farebbe il proprietario dell’auto, che è uno Chef. Inverto la marcia e, con la discesa a favore, il mondo scorre più veloce e “rimappo” il motore nel modo più semplice che c’è. Ho in mente la doppia destra di prima, che ora è una doppia sinistra con la seconda più stretta. Approccio a velocità più alta, uso la prima curva solo per lanciarmi, inserisco la seconda sinistra e freno forte inserendo. Il posteriore cerca in tutti i modi di contenere l’inerzia, poi inizia ad ondeggiare e finalmente perde la presa, guadagnando qualche grado di sovrasterzo. Nulla di che, ragazzi, intendiamoci. Ma c’è un momento esatto, quando un’auto smette di aggrapparsi con tutta se stessa e inizia a scivolare sulla strada, che per me è tipo il Santo Graal della guida. Ecco, per un attimo, nonostante tutto, la Puma si è innalzata da “semplice” a “memorabile”, tanto che sono qua a raccontarvelo. Non credo di poter ricavare molto di più dalla Puma senza cercarmi grossi guai e no, non ne sono per nulla deluso.
Questo esemplare di Puma è uno strano mix tra un’auto molto, come dire, posata, e un’altra più hardcore. Il telaio è morbido e a prova di scemo, nonostante barre e barrettine cerchino di indurirne il carattere. Le piccole gomme fanno ciò che possono per contenere la rabbia del motore, che così preparato ha un bel caratterino da aspirato vecchio stampo. E’ un mix, come la posizione di guida: volante, pomello del cambio e visuale dall’ampio parabrezza lavorano assieme per farti credere di essere su una sportiva affilata, salvo poi essere seduto su un sedile alto e poco contenitivo. Posso dirlo? Va bene così, sono ripartito dalle basi, senza cercare gol in mezza rovesciata o cose complesse.
Le ricette semplici non sono sempre le migliori, ma spesso sono decisamente gustose.
Paolo, ti ringrazio di tutto. Di aver capito, ti aver spinto senza essere pesante, insomma di aver permesso che tutto questo avvenisse.
La Puma del test è in vendita: se foste interessati non esitate a contattarci, ci metterò in contatto con Paolo. Grazie!
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