ac cobra

la mangia corvette

“ Ma la domanda che nasce nel nostro eroe, tra i rumori della digestione, è la seguente: ma se, per dire, in una di quelle macchinette inglesi noi installiamo un bel V8 americano, cosa vien fuori? Cioè, per farla breve, una ACE V8 potrebbe tirare qualche sberla a quei presuntuosi di Chevrolet? E magari far venire qualche capello bianco anche oltre oceano?

La storia della nascita della AC Cobra è un incredibile incrocio di genialità, sprezzo del pericolo e assoluto amore per le auto. Vi raccontiamo a modo nostro come quel genio di Carroll Shelby ha unito i puntini creando una delle auto più maschie mai esistite: la AC Cobra 427 s/c. Avete mai visto un’auto che attenti alla vostra vita in modo così chiaro?

20 aprile 2021| scritto e pensato dalla mente malata di M.Carito | editato e corretto dal pensiero distorto di Gabry

1960. Fuori da uno studio medico c’è un omone con un grosso cappello texano in mano, uno di quelli con la tesa delle dimensioni di una tenda da giardino. Sta pensando a quello che il dottore gli ha appena comunicato: “a causa di un problema cardiaco congenito non potrai più correre in auto”. Ripensa a quando ha corso per Maserati e Aston Martin in F1, nel 1958 e nel 1959, ma soprattutto alla vittoria alla 24h di Le Mans del 1959, sempre su Aston Martin. E’ bello triste, come possiamo immaginare, ma in Texas gli uomini non piangono nemmeno davanti ad un campo di cipolle. L’uomo indossa nuovamente il cappello di 24 mq e parte alla ricerca di una bistecca da 2 kg, per tirarsi su il morale. Il suo nome è Carroll Shelby. Mentre mangia metà della sua razione giornaliera di carne rossa, come impone una sana dieta per cardiopatici, il nostro Carroll riflette. Ha ottime conoscenze ed un’esperienza enorme nelle competizioni. Ok, da ora in poi non potrà più essere un pilota, ma può restare nel mondo delle corse come costruttore, no?

Carroll Shelby ai tempi di Aston Martin

Il nostro texano è, come tutti gli americani, un patriottico convinto. Sai, di quelli con l’aquila tatuata sul braccio, il fucile nel portabagagli per dispensare democrazia e tutto il resto. Però, visto che scemo non è, una cosa l’ha capita: le auto americane, se si vuol vincere in Europa, non vanno molto bene. Le “sportive” a stelle e strisce sono grosse, pesanti e arretrate come carrozze a confronto di roba come Ferrari 250 GTO, per non parlare di Maserati, Aston Martin, Porsche e via discorrendo. Senza scomodare questi mostri sacri, l’inferiorità delle auto americane è palese anche contro costruttori meno blasonati. Come quando i suoi compatrioti si presentano alle corse Turismo europee con le Falcon o le Camaro Z28, convinti di fare brutto con i loro V8 da “minimo” 5 litri, per poi prendere schiaffoni da Lotus Cortina ed Alfa Romeo Gt. Auto con la cilindrata che le casalinghe americane hanno nei frullatori. Son figuracce, ma peggio ancora quando a passarti sopra sono quelle dannate Mini, grosse come le "tue" cucce dei cani… La 24h di Le Mans, così come tutte le corse che contano, è territorio delle europee, senza se e senza ma. Se ti presenti al via con una Americana, vieni passato anche dal triciclo che vende le gazzose a bordo strada, che peserà sicuramente meno e avrà sospensioni migliori rispetto alla migliore produzione a stelle e strisce. Quindi, patriottismo o no, non c’è americana che tenga, se si vuole vincere. V8 a parte, perchè di quella forza bruta nessuno si lamenta, ciò che manca è un telaio leggero, delle sospensioni accettabili e un peso contenuto. Dettagli, che vuoi che sia? Rifletti e rifletti, ciò che torna in mente a Shelby durante la burrascosa digestione post-pranzo è una garetta nazionale a cui ha assistito nel 1957, la Columbia Trophy. Per l’esattezza ciò che gli torna in mente è che, al termine della gara, le prime 19 (DICIANNOVE) posizioni erano occupate da una piccola barchetta inglese, dall’aspetto fragile e dal nome minimalista: ACE Bristol. Con soli 150 cv sotto il cofano, le leggerissime inglesi si sono messe dietro tutte le americane stragonfie di V8 con una facilità disarmante, sfruttando al meglio la propria leggerezza (800 kg), la frenata e la superiorità in curva.

una ACE Bristol a Sebring nel 1958. Lo vedete come ride il tizio?

Una vittoria schiacciante, roba da chiudersi in casa con le proprie sospensioni a balestra e non uscire più. Ma la domanda che nasce nel nostro eroe, tra i rumori della digestione, è la seguente: ma se, così per dire, in una di quelle macchinette inglesi noi installassimo un bel V8 americano, cosa vien fuori? Cioè, per farla breve, una ACE V8 potrebbe tirare qualche sberla anche oltre oceano? E perchè non mi porta ancora mezza bistecchella, signora, che tutto questo pensare mette fame?

Ok, Carroll Shelby ora ha un piano. Prova a convincere Chevrolet che sia una buona idea fornirgli il V8 che monta sulla Corvette, ma il costruttore non ha alcuna intenzione di dare potenza ad un potenziale concorrente, quindi gli sbatte la porta in faccia. Ed è qua che si vede quanto sia sveglio il buon Carroll. Sa che Ford sta rosicando forte per paura che la Corvette possa vincere sulle piste americane, quindi chiede di parlare proprio con loro. Appena Ford sente che l’idea è di battere Chevrolet, viene immediatamente concordata la prima fornitura di V8: due nuovissimi, compatti e leggeri “Windstor” da 3,6 litri. Poi il nostro Carroll vola in UK per parlare con i fratelli Hurlock, i proprietari inglesi della AC Cars. Dovete sapere che, nel momento in cui ricevono il texano, i due fratelli sono poco meno che disperati. Già, perché la Bristol ha appena deciso di interrompere la fornitura dei motori a 6 cilindri utilizzati da AC e, come se non bastasse, le casse dell’azienda sono più in rosso di un campo di San Marzano a fine luglio. Immaginate quindi con quale entusiasmo gli Hurlock accolgono il nuovo (grosso) ordine di vetture che Carroll gli propone, una volta finito il thè delle 17.00. Una roba che a confronto il Carnevale di Rio sembra la festa dell’oratorio.

La sede Londinese di Ac Cars

Una volta tornato negli USA e ricevute le prime vetture dall'Inghilterra, ovviamente prive di motore, Shelby trasferisce tutto in California, dove fonda al volo la Shelby-American. Ha anche un nome sbruffone il giusto per la nuova nata: AC Cobra, più macho di Rambo. Siamo nel 1961 e tutto è pronto, si parte con la progettazione. Il V8 “Windstor” è leggermente più largo ma è anche più corto del 6 cilindri in linea che normalmente trova posto nel telaio ACE, quindi va dentro senza troppe storie. La parte anteriore viene semplificata e irrobustita, ma l'aspetto curioso è che il lavoro più importante sulle vetture è causato dal trasporto tra UK e USA. Eh già, perchè telai e scocche non verniciate vengono spedite in nave e la salsedine intacca le superfici "nude". Ora, all'arrivo in California i tecnici non trovano le cozze attaccate agli sportelli, ma ossidazione a palate. Altri tempi, altro che Amazon Prime. La colonna dello sterzo, a causa della larghezza maggiore del V8, fa un giro strano. Tutto sommato la AC accoglie bene le modifiche di Shelby. Quello che però è subito chiaro è che la coppia del nuovo motore non può essere scaricata attraverso il delicato retrotreno della ACE. Così, visto che ormai in Shelby si chiamano in causa gli inglesi per risolvere qualsiasi problema, mettono su il retrotreno della Jaguar E-Type opportunamente modificato. Poi portano il motore a 4,3 litri, perché il 3,6 sembrava roba da femminucce ed a quel punto sono pronti per i test a metà 1962. Ora, il V8 in questione eroga solo 165 cv, ma ha una coppia da tir. La ACE, come detto, pesa circa 800 kg con il suo bel 6 cilindri in linea. Il V8 Windstor, considerato “leggero” dagli Americani, pesa da solo 220 kg. Oh, da qualche parte bisogna pure iniziare. Comunque sia, la AC è un successone: la società vende 90 auto nel primo anno di vita, ma siccome la cubatura del motore per gli americani non è mai abbastanza, la società proporre una versione della Cobra dotata di V8 portato a 4,7 litri. Così, per dire. A Riverside, nel 1963, arriva anche la ciliegina sulla torta: nella categoria riservata alle vetture di serie, una AC Cobra si mette dietro svariate Porsche e Maserati, vincendo la prima gara della sua storia. Ma quel che fa godere Carroll e Ford più di ogni altra cosa è che si mette dietro un mucchio di noiosissime Corvette. Alla faccia loro.

Carroll posa felice accanto alla primissima Cobra, sigla CSX 2000
La primissima vittoria di una Cobra, nel 1963. Notare lo stile composto.

L’auto viene continuamente sviluppata. Il che, per gli americani, significa equipaggiarla col motore più grosso disponibile e, se avanza tempo, affinare qualcosina qua e là. Nonostante l’idea di base sia buona e la Cobra riesca a vincere diversi Campionati nazionali, in Europa è tutta un’altra storia. Ok, la Cobra sul dritto è velocissima, ma la concorrenza è ancora tecnicamente troppo forte. Nel 1964 il pilota, collaudatore e amico di Shelby, il celebre Ken Miles, testa una AC Cobra sperimentale con un 6,4 litri V8 sotto al cofano. Quando scende dichiara che “la vettura è completamente, definitivamente e chiaramente inguidabile” e così si parte la riprogettazione da zero di telaio e sospensioni. A fine 1965 questo sforzo produce un risultato: la Cobra Mark III. Una versione riprogettata interamente per poter sfruttare al massimo i cavalli del V8. Con le carreggiate allargate a dismisura per contenere la gommatura proporzionata alla potenza ed una presa d’aria sul cofano per tentare di raffreddare il V8, ecco a voi la Cobra 427. Per cosa sta “427”? Beh, per la cubatura, in pollici, della cilindrata unitaria di ogni singolo cilindro del V8. Per dirla in altri termini: il V8 Ford della Cobra 427 ha una cilindrata di 7000 cc e sviluppa la bellezza di 425 cv e 660 Nm di coppia. Una roba mai vista, violenza pura, se si considerano i 1250 kg della vettura stessa.

la Cobra 427: ci va il valium solo per accenderla.
Notare la dimensione degli scarichi. 7 litri sono 7 litri eh...

Memori dei problemi di guidabilità, hanno anche montato sospensioni indipendenti. Oh, si sono impegnati! La versione S/C, o Semi-competition, ha addirittura 492 cv e viene cronometrata a 299 km/h negli UK. Diventerà il Santo Graal dei collezionisti di Cobra. Già, perchè l'auto è così estrema che non viene omologata per alcune corse e quindi ne vengono prodotte pochissime, facendola diventare una specie di unicorno bianco nel mondo della Cobra. Insomma, ora la Cobra fa davvero fa impressione a tutti. Purtroppo però la vettura soffre di qualche problemino di affidabilità e, nonostante le prestazioni devastanti sul dritto, non riesce ad imporsi in Europa. Per il vecchio continente Ford, aiutato da Shelby, sta sviluppando l’arma definitiva, la GT40. In America, invece, la Cobra fa strage di Corvette, così come quasi ogni altro mezzo a quattro ruote. Il mito è nato: la 427 diventa immediatamente “LA” sportiva americana per eccellenza.

una 427 mentre fa quello che le riesce meglio: spaventare gli avversari

Ma Shelby non è uno che molla facilmente: nel 1964 decide addirittura di costruire una Cobra pensata appositamente per le gare Europee. Per ovviare alle difficoltà aerodinamiche riscontrate dalla Cobra “aperta” lungo i rettilinei infiniti di Le Mans, Shelby disegna in casa, senza l’aiuto della galleria del vento, una carrozzeria chiusa con coda Kamm, in stile Ferrari 250 GTO. Poi incarica una ditta modenese, la Grandsport, di costruirne la carrozzeria. A Modena le auto le sanno fare si sa, quindi correggono l’aerodinamica grezza pensata da Shelby e tirano fuori le forme definitive della impressionante Shelby Daytona, lo sviluppo definitivo in chiave coupé del progetto Cobra.

Shelby Daytona.
La Daytona durante lo sviluppo
La Daytona all’attacco della Le Mans nel 1965

Per non correre rischi inutili, le vetture vengono dotate di un motore meno potente ma più affidabile, un V8 da circa 390 cv. Ecco, ora ci siamo. Vengono costruite 6 Coupé, portate in giro per i tracciati di tutto il mondo e la vettura così modificata non delude: la Daytona fa il pieno di vittorie pesanti. 12 ore di Sebring, 24h di Daytona, Gran Premio di Monza per vetture GT. Fino al termine del 1965 la Coupé detta legge quasi ovunque. Quasi. Alla 24h di Le Mans del 1965 la Daytona Coupé si ferma per problemi di pescaggio benzina poco dopo la partenza: mentre cercano di capire il problema i meccanici trovano un giornale appallottolato nel serbatoio. Roba strana, no? La Coupé riparte ma chiude 11°, 4° di categoria, ancora non all’altezza di Ferrari, che vince per il 6° anno consecutivo in terra francese.

Carroll Shelby in quegli anni è molto preso dallo sviluppo della GT40 che, come detto, Ford ha deciso di sviluppare proprio per fermare il dominio Ferrari, rea di aver anche rifiutato l'acquisizione dell'intera società da parte del colosso americano. Nel 1966, durante i test di sviluppo della Ford GT40 di cui si sta occupando personalmente Ken Miles, il pilota muore a causa di un incidente. Per Shelby è un colpo così forte che decide di ritirarsi dalle competizioni e di chiudere per sempre l’azienda. Diventerà una sorta di collaboratore occasionale per Ford ma nulla più. Quel che ha creato in pochi anni però, la Cobra, oramai è entrato nel mito ed è diventato una sorta di culto in tutto il mondo. Come fa a non piacere la trasformazione di un fragile barchetta inglese in un mostro V8, gonfio e brutale? E’ impossibile. E se a voi che state leggendo la Cobra non fa venire voglia di andare fuori e guidare beh, fatevi vedere da uno bravo.

La AC Cobra 427 è l’auto americana per eccellenza ai miei occhi. E’ un’auto costruita con il metodo europeo, equipaggiata con la sboronaggine tipicamente Yankee che, mio malgrado, è irresistibile. E’ un concentrato esperienziale assoluto, un pugno d’acciaio in un guanto di velluto, un V8 di 7 litri trattenuto a stento dentro una semplice e bellissima carrozzeria battuta a mano. E non devo essere l’unico a pensarla così, visto che la Cobra rivive nelle decine di costruttori che propongono repliche più o meno fedeli all’originale ancora oggi.

Perchè, si sa, un diamante è per sempre, ma una Cobra è molto, molto, molto più divertente.

Carroll e Ken alla Le Mans.

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