fiat uno turbo i.e.

- tenere lontano dalla portata dei bambini -

“...Più il ritmo sale e più va anticipata l’azione con lo sterzo. L’avantreno va “invitato” ad inserirsi, quasi precaricato, prima che riesca a sterzare sul serio. Così facendo, in un paio di chicane, riesco a tenere un ritmo arrembante, con il singolo scarico che brontola e la lancetta arancione del tachimetro che sale con decisione. Il lavoro con le braccia è fondamentale, più di quello delle gambe. La Turbo, un po’ come tutte le piccole pepate di quegli anni, era famigerata per le reazioni in fase di rilascio del gas. Ecco, nonostante la Uno sia, in questo momento, appoggiata pesantemente alle ruote esterne e che l’anteriore sia leggermente sollevato sotto la spinta del 4 cilindri, quando rilascio il gas, tanto per fare l’asino…”

La Fiat Uno Turbo I.E. è una leggenda. E, come tale, non si riesce bene a distinguere l’esagerazione dalla realtà, oramai saldata assieme da quasi quattro decenni di storie da bar raccontate decine di volte. E’ giunto il momento di capire cosa è vero e cosa no con un esemplare incredibilmente (quasi) originale…

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14 marzo 2023|   scritto e pensato dalla mente malata di M.Carito   |   editato e caricato dal pensiero distorto di Gabry   |   Inquadrato, scattato, editato dalla mano mossa di Simone Bologna

Sto osservando, un po’ triste, un grosso coniglio sul ciglio della strada. Morto, per colpa mia. E’ stato inevitabile: ok, non andavo pianissimo, ma si è buttato sotto l’auto nello stesso istante in cui sono passato. Nemmeno a 30 km\h avrei avuto chance di evitarlo. Sono vegetariano e la brutta fine del coniglio mi ha scosso un po’, eppure, mentre torno verso la mia Punto, ferma con le quattro frecce poco più avanti, un pensiero mi fa sorridere. 

Sto pensando che la “bara con le ruote per eccellenza” riesce a fare vittime anche quando, oramai, è lontana. Sono qua per il test della Uno Turbo I.E. e, anche se direttamente non è successo nulla, eccomi qua a contemplare un incidente con vittima pochi minuti prima che Francesco, il proprietario, se ne andasse.

Non ho mai amato la Uno Turbo. Mettiamola così, non l’ho mai venerata come la stragrande maggioranza dei miei coetanei, tutti innamorati persi delle stesse caratteristiche che mi rendevano tiepidino verso di lei, ovvero velocità in linea retta e pericolosità intrinseca. Riconosco, però, che più di tutte ha delineato con precisione la filosofia Fiat per quel che riguarda le hot hatch. Che si può riassumere così: prendi la tua media da famiglia, uno spoiler, magari un paraurti più pronunciato, 4 cerchi Cromodora e più o meno ci siamo. AM, per prima cosa, apri il cofano e installa un turbo IHI al 1300 cc. Leggendo con più attenzione, per la verità, anche oggi i dati di cui è accreditata sono abbastanza stuzzicanti. 105 cv e 147 NM di coppia non sono moltissimi, ma se devono spingere soli 845 kg riescono a rendere decisamente meglio di quanto ci si possa aspettare. Rapporto peso potenza di 8,05 Kg\cv: se non vi dice nulla sappiate che la mitica Delta Evoluzione sviluppa un rapporto di 6,4, non poi così distante. Ok, comunque sia non riesco a prenderla sul serio fino in fondo, lo ammetto.  Erano gli anni ‘80 e le persone erano evidentemente meno attaccate alla vita, ma oggi la Uno Turbo appare incredibilmente ingenua, oltre che grezza. Non che la rivale Renault 5 GT Turbo fosse da meno.

Ma solo io e pochi altri la pensiamo così: il mito dietro la Turbo non si spegne, anzi, oramai ha raggiunto quotazioni economiche assurde, impensabili fino a pochi anni fa, quando venivano lasciate marcire dei giardini di tutta Italia. Sono comunque un ragazzo particolarmente fortunato, perché avrò modo di provare su una strada degna di questo nome un esemplare meccanicamente a posto e, cosa più unica che rara, quasi completamente originale. E poi che luce c’è? Davvero, mi sento fortunato.

Più di quel povero coniglio. Scusami piccolo.

Impressioni a ruote ferme

La Uno Turbo mk1 è decisamente invecchiata bene. O meglio, è palesemente un oggetto di un’altra era geologica, ma ancora più della Turbo di seconda generazione sembra orgogliosamente vintage, pronta perché qualcuno ne faccia una restomod da 200.000€ che nessun comune mortale potrà mai acquistare. Il “nostro” esemplare, per la verità, si presenta con qualche asso nella manica: l’assetto, nuovo di pacca, è leggermente più basso e al posteriore sono stati installati dei distanziali. L’altro asso nella manica è gentilmente concesso dalla natura: la luce bassa di un fine giornata di inizio Marzo e la Val di Susa come sfondo rendono il Grigio Ardesia della carrozzeria cangiante e, se possibile, regalano alla Uno Turbo un’aria degna di un flashback in un qualche film strappalacrime.

I paraurti in plastica ruvida nera, raccordati dai passaruota dalla stessa finitura, sono il carico da cento: sono bellissimi, nonostante le linee tese e semplicistiche, quasi abbozzati nel loro essere lineari. I cerchi Cromodora da 13 pollici, diamantati, sono perfettamente in stile con la Turbo e, per mia fortuna, sono guantati da nuovissime Toyo Proxes da 175 mm di sezione. Dietro di loro si intravedono i freni, che come tutti sanno, sono la parte probabilmente più carente di tutto il progetto Uno Turbo: strano, considerando che hanno il diametro di un CD (probabilmente di Nino D’Angelo, ma potrei sbagliarmi). I fari piatti, i fendinebbia, gli adesivi sulla fiancata, lo spoiler integrato con il portellone, il singolo scarico: tutto è deciso, a muso duro, come un panettiere che si è alzato alle 4 del mattino e che no, proprio non gli devi rompere le scatole.

Ecco, ci siamo, ho capito perché ancora oggi viene amata così tanto: è un’eroina del popolo, di tutti quelli che devono lottare un giorno dopo l’altro. La vita non le ha servito carte vincenti, un papà famoso o uno zio con la fabbrichetta. No, il destino le ha dato il corpo di una umile vettura da famiglia e un cuore piccolo ma sovralimentato dai sogni e dalle speranze con cui sfidare il mondo intero. Un po’ come tutti noi, ragazzi di periferia, che abbiamo puntato tutto su noi stessi per cercare di realizzare parte di ciò che desideravamo, protetti solamente da uno scudo dolorosamente autoprodotto fatto di autoironia, cinismo e scarso istinto di sopravvivenza. Cara Turbo, anche se non ci siamo mai frequentati, ti voglio bene. Ve l’ho detto o no che con questa luce la nostalgia galoppa? Grazie ai sottilissimi montanti e all’ampia vetratura l’abitacolo è luminoso come un grosso acquario, pieno di luce gialla. Siamo dentro il panettiere di cui sopra, nel suo “IO” più incazzato.

La moquette rossa, i sedili poco profilati con la parte centrale dal tipico rivestimento che richiama, sempre in rosso sangue, il logo della Fiat, la strumentazione analogica bellissima nella sua semplice brutalità, e poi il volante dalla forma particolare: quattro sottilissime razze e, proprio in centro, la scritta “UNO TURBO I.E.”. Sì, il panettiere non va fatto arrabbiare, non importa quanto vi crediate grossi e cattivi. Lui da giovane non ha fatto Judo, ha affrontato “la piazzetta”, ovvero l’MMA quando ancora l’MMA non esisteva e la “gabbia” era solo un posto dove finivi nelle serate particolarmente movimentate. 

Su strada

“Sai, vero, che non frena…”

Francesco, il proprietario, giustamente ci tiene a ricordare che i freni a disco dietro i bellissimi Cromodora sono ridicolmente piccoli. La posizione di guida è la classica, sbagliata, ergonomia FIAT. Qualcuno mi spieghi il perché, a Torino e dintorni, hanno sempre montato i sedili così in alto. Stesso difetto della Panda 100 HP (qui trovi la nostra prova completa) e della 500/595/695 Abarth (qui trovi la nostra prova completa), solo per citarne alcune. Il sedile della Uno è comodissimo e così morbido che gran parte del contenimento, per la verità non eccezionale, è delegato a l'affossamento dovuto al peso stesso del guidatore. Proprio per questo ho le cosce a pochi centimetri dalla corona del volante, leggermente troppo ampio come diametro e dall’impugnatura sottile. La Turbo si percepisce, a livello generale, leggera e stretta, quasi priva di inerzia. Basta un filo di gas perchè accumuli velocità, nonostante stia affrontando una salita con la 3° inserita.

In tutto questo, però, c’è una certa  “gommosità” di fondo ben avvertibile nei comandi principali. Lo sterzo sembra soffrire di un sensibile ritardo, che via via diminuisce all’aumentare dell’angolo. Questo, assieme alla demoltiplicazione della scatola dello sterzo, sta già definendo precisi limiti a livello di inserimento in curva, quantomeno su una strada impegnativa come questa. Il cambio, nonostante la frizione nuova garantisca innesti e stacchi a prova di errore, sembra sempre un po’ morbido e vago. Persino sotto il pedale del gas sembra esserci una pallina di gommapiuma, tanto riesce a trasmettere una leggera opposizione all’essere premuto, quasi fosse trattenuto da un elastico. E sì, ha ragione Francesco, in effetti non frena un granchè, nonostante i freni nuovi. Per adesso mi sto limitando a cambiare attorno ai 4000 giri\minuto, godendomi la buona coppia, che ci spinge su per la salita da circa 3000 giri\minuto in poi. Insomma, siamo qua per divertirci o no? In 2° appoggio il pedale destro al tappetino. La spinta aumenta, senza mai diventare realmente impressionante, ma la velocità sale con un buon ritmo. Non c’è un vero “calcio” della turbina, la IHI ha la chiocciola piccolina e per quanto si impegni, quantomeno a ruote dritte, non crea alcun effetto fionda. Siamo distanti dalla sensazione assurda provata sulla Uno Turbo Racing Mk2 testata in passato, che però di cavalli ne vantava circa 260. Se ve la foste persi, beh, ecco l’articolo test (qui trovi la nostra prova completa). La Mk1 soffia sempre di più, su fino a circa 6000 giri\minuto, dove la spinta si plafona completamente. 3° dentro, la spinta sembra perdere qualcosa in ferocia ma non in efficacia, la velocità sale rapidamente e in breve ci troviamo oltre i 120 km\h. 105 cv belli pimpanti, sicuro, ma della brutale bara con le ruote non c’è traccia. E continuo a pensarla così anche dopo aver affrontato una sezione guidata con un po’ di ritmo in più. Come dicevo all’inizio, la lentezza dell’avantreno nell’andare in appoggio e la quantità eccessiva di sterzo necessario segnano l’esperienza di guida. Cerco da subito di arrotondare il più possibile le traiettorie, così da lasciare una frazione in più di tempo all’asse anteriore per capire cosa fare, e poi torno sul gas. All’uscita dei tornanti, anche grazie alle gomme moderne, la trazione non è un grosso problema. Anche perché, sfruttando la massa contenuta, si può usare la 2°, senza che questo comprometta troppo il ritmo. Non ci si sente “appesi” in attesa dell’ingresso della turbina, ma si mantiene un brio ragionevole, in attesa che la IHI si svegli e produca un picco di spinta piacevole. Nei tratti più veloci, invece, c’è un attimo da prenderci la mano.

Chicane veloce, sinistra, destra, sinistra. Anticipo l’azione sullo sterzo quel tanto che basta per caricare l’anteriore e poi, in un secondo tempo, aggiungo l’angolo che mi serve per l’inserimento vero e proprio, affondando nel frattempo il pedale del gas. A questo punto la potenza solleva l’asse anteriore di quel tanto che basta perché il volante si alleggerisca un po’ e, a causa della perdita di carico, io debba aggiungere ancora angolo di sterzo. Ne devo aggiungere abbastanza da doverlo togliere con un certa fretta quando freno leggermente prima del secondo inserimento. Di nuovo sterzata in due tempi e di nuovo gas sul tappetino. La potenza c’è, è un’auto con un bel brio, ma non c’è quella cattiveria di fondo narrata nelle leggende dei cinquantenni di oggi. Intendiamoci, non è lenta, ma come sempre quando ci sono leggende su leggende l’aspettativa diventa insostenibile per la realtà. Ripeto il percorso due o tre volte, l'acceleratore incollato al tappetino per la maggior parte del tempo. Nel tratto più veloce sfrutto anche un pezzo della 4°. Il piccolo 1300 cc crea velocità con cocciutaggine e, devo dirlo, ha un discreto range di utilizzo: dai 3000 in poi, aiutato dal peso contenuto spinge, tanto che raramente guardo il contagiri. Più il ritmo sale e più va anticipata l’azione con lo sterzo. L’avantreno va “invitato” ad inserirsi, quasi precaricato, prima di sterzare sul serio. Così facendo, in un paio di chicane, riesco a tenere un ritmo arrembante, con il singolo scarico che brontola e la lancetta arancione del tachimetro che sale con decisione. Il lavoro con le braccia è fondamentale, più di quello delle gambe. La Turbo, un po’ come tutte le piccole pepate di quegli anni, era famigerata per le reazioni in fase di rilascio del gas. Ecco, nonostante la Uno sia, in questo momento, appoggiata pesantemente alle ruote esterne e che l’anteriore sia leggermente sollevato sotto la spinta del 4 cilindri, quando rilascio il gas, tanto per fare l’asino, non succede nulla di imprevedibile.

Ok, il trasferimento di carico c’è, l’inerzia “atterra” sulla ruota anteriore esterna con pesantezza, ma il posteriore non molla la presa. Il leggero sottosterzo sottosterzo si annulla, la spinta crolla e basta, nessuna tragedia. Ora, l’esemplare di Francesco è, a livello meccanico, in gran forma e gli pneumatici sportivi del 2023 sono un altro pianeta rispetto ai Pirelli P700 del 1986, ma c’è qualcosa che non mi torna. Continuo a spingere, su e giù, mi prendo anche qualche licenza tagliando le traiettorie, ma tutto sommato la Turbo sta più o meno in traiettoria. Ok, il telaio flette sensibilmente, tanto che posso oramai capire, attraverso lo sterzo e il fondoschiena, quando la cassa anteriore farà sufficientemente pressione sulle ruote anteriori per far si che la Uno si inserisca in curva, ma non ci sono reazioni imprevedibili. Quindi, la bara di cui si parlava, dov’è?

Faccio un’ipotesi, anzi due. La prima è che, semplicemente, la Turbo non può gestire più potenza di quella stock. Per cui, quando negli anni che furono Peppe il meccanico di zona aumentava la pressione di sovralimentazione ciò che si otteneva era sì un piccolo razzo, ma anche un’auto assolutamente incapace di contenere la potenza e le inerzie, oltre che di frenare adeguatamente. Quando poi si facevano elaborazioni più pesanti, beh, poteva passare effettivamente per tentato omicidio. Risultato, grossi incidenti. In particolare se, e arriviamo al punto due, chi siede dietro al volante è coraggioso ma un po’, come dire, asino. E’ chiaro come il sole che l’avantreno sia al limite di tenuta già da originale: spesso bisogna “remare” per farla curvare, manovra ancora più impegnativa considerata la scatola dello sterzo demoltiplicata e quanto, in uscita, la potenza agisca sull’avantreno, facendo perdere aderenza. Nonostante tutto questo, però, posso anche dire che, guidandola con bene in mente i suoi “difetti”  la Uno può tenere un bel ritmo, anche su questa strada. 

Meglio della successiva Punto GT (qui trovi la nostra prova completa), per quanto mi riguarda. Per gas “ragionato” intendo, stranamente, di andare abbastanza forte da alleggerire il lavoro dell’avantreno. Mi spiego meglio.

E’ importante che, al momento di ridare gas, la turbina sia già in funzione. Se la fate entrare in inserimento o percorrenza l’aumento di coppia provocherà una “botta” che, inevitabilmente, sconfiggerà definitivamente la già precaria aderenza, trasformando la vostra curva in una linea retta verso il muretto in uscita di curva. Insomma, è semplice immaginare la scena: Uno Turbo modificata, asino al volante che fa traiettorie quadrate e, sul più bello e magari in 2° a bassi regimi, “zappa” sul gas. La turbina entra sfondando la porta e via, in sottosterzo, verso lo sfasciacarrozze. Oppure, presi dal panico a causa del sottosterzo di potenza, urlando un “inghiaaa” di paura, sollevate il pedale del gas all’improvviso, pensando di aver risolto fino a quando il retrotreno, alleggerito all'improvviso, non vi lancia verso il solito sfasciacarrozze. Diciamolo. La Turbo non è l’auto con il telaio migliore del mondo, e proprio per questo non ha avuto la pazienza o la capacità di sopportare le capre del volante e i tamarri “tutto motore e poco assetto” che tanto andavano (e vanno…) di moda. Ma tutto questo lo posso solo intuire, perchè la “mia” Uno Turbo sta filando via, allegra e cocciuta, anche quando la obbligo ad inserimenti realmente aggressivi. Ok, ora sta anche rollando in modo netto, ma tutto è abbastanza sotto controllo. Quando ci fermiamo la Turbo sembra davvero felice del giretto, con il ticchettio del metallo che si raffredda e il suono del 1300 cc al minimo a farci da sigla di coda di questo test. 

Considerazioni finali

La Uno Turbo, penso di poterlo dire, è un’auto che sa il fatto suo. Ha carattere, ma anche dei limiti precisi e chiarissimi, quindi vi guarda negli occhi e vi sfida a fare del vostro meglio nonostante i difetti. Nonostante il telaio morbido, nonostante i freni, nonostante sia semplicemente una Uno leggermente rivista e con un motore decisamente più potente.

Fatelo, ragionate sulle azioni, e la Turbo si impegnerà a darci dentro, nonostante tutto.

Esattamente come il panettiere che negli anni ‘80 lavorava notte tutta la notte e, di giorno, riusciva comunque ad essere un padre e un amico su cui contare.

Nonostante, a chiunque gli manchi di rispetto, sia perfettamente in grado di far passare veri momenti di paura…

Francesco, grazie mille di averci prestato la tua Turbo. E’ bellissima!

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