bmw 120i f20
- l'anello di congiunzione -
“...Attendo da lei, Sua Signoria La Trazione Posteriore, la rivelazione della giornata. Tifo per lei, se non si fosse capito, e al primo tornante vengo ripagato: inserimento, 3° (tanto la coppia c’è, di cosa mi preoccupo?) e affondo il gas. Il posteriore parte leggermente di lato, ma la 120i fa semplicemente troppa trazione per farsi scomporre sul serio, in particolare sull’asciutto e se, come in questo esemplare, per ragioni estetiche si è optato per i cerchi da 19 pollici. Sarò infantile, ma sono felice di aver provato, anche se leggera, la sensazione delle ruote dietro che “spingono” e che aiutano la vettura a curvare…”
Un anello di congiunzione: la BMW Serie 1 serie F20 è proprio questo. Motore “globale”, cambio ZF ma ancora, ultima della propria specie, la trazione posteriore.
Siamo qua per capire se BMW, eliminando questa storica caratteristica che la rendeva unica nel Segmento C, non si sia tirata la zappa sui piedi da sola…
L’esistenza della BMW Serie 1 è stata, a lungo, una sorta di cartina tornasole del mercato dell’auto. Pur non avendone mai desiderata una era stranamente confortante sapere che, nonostante la proposta automotive andasse già verso un appiattimento totale di contenuti, ci desse la possibilità di avere una segmento C con motore 6 cilindri, tre porte e, soprattutto, a trazione posteriore. Questo almeno fino al 2019, quando la Serie 1 F20\F21 è stata sostituita dalla F40 basata sulla Mini, a trazione anteriore: ovvero, come uccidere due vetture in un colpo solo, creando una Mini enorme e seriosa e una Serie 1 senza l’unica caratteristica tecnica di rilievo che ancora conservava. Un applauso ai ragazzi del Marketing, anni e anni di studio almeno sono serviti a qualcosa. Da allora mi sono spesso chiesto se, per BMW, non fosse possibile fermarsi un attimo prima e, pur rispettando le economie globali, restare aggrappati al baluardo della trazione posteriore.
Per capirlo, oggi proverò una BMW 120i F20. Che, per la verità, è già frutto di compromessi: il motore che la muove è un 4 cilindri turbo “modulare”, siglato B48, in pratica lo stesso motore che trovate ovunque nella gamma BMW, ma non solo. Lo trovate anche nelle Mini e, tanto per non farsi mancare nulla, sotto il lungo cofano della Toyota Supra 2.0 (qui trovi la nostra prova completa). Il cambio, se possibile, è ancora più “comune”: lo ZF a 8 rapporti è onnipresente, letteralmente. Detto questo, però, c’è ancora la sana e storica trazione posteriore. Sono qua per capire cosa ci siamo persi.
Impressioni a ruote ferme
La 120i F20 di Federico parte con il piede giusto. Bianco ghiaccio, linea di cintura spigolosa che sfoggia il classico tricolore “Motorsport”, a sottolineare il lungo muso che fa da contraltare all’abitacolo arretrato. Fa capire al primo sguardo che c’è da fare maggiore attenzione alle ruote dietro, anche se meno che in passato. Per i miei gusti i cerchi da 19 pollici sono persino eccessivi, così come il tetto verniciato di nero, ma come detto sono gusti. Federico è giovane e, giustamente, esuberante. Posso dirlo? Rispetto all’attuale Serie 1, esteticamente, è ancorata ad un certo concetto BMW che tutti noi riconosciamo. Ok, il lungo frontale una volta nascondeva un 6 in linea, ma i tecnici dell’elica hanno comunque orgogliosamente montato il B48 longitudinalmente, come si faceva una volta.
A proposito di motore, ecco i dati: 184 cv a 5000 giri\minuto e 290 NM di coppia costanti tra i 1350 e i 4600 giri\minuto. Numeri che nel 2023 non sembrano eccezionali, considerati i 1450 kg da spostare, ma oggi non siamo qua per parlare di pure prestazioni, quanto più di sfumature di guida, roba da filosofi delle quattro ruote, di quelli che davanti ad una birretta o ad uno Spritz potrebbero parlare ore di vibrazioni al volante e altre menate simili. Comunque sia, la 120i si staglia ancora oggi con decisione nella noia estetica delle vetture moderne. Il frontale, anche grazie al pacchetto “M”, è originale e deciso: paraurti muscoloso, mascherina “inclinata” in avanti in stile BMW anni ‘70, passaruota ben disegnati. I montati fortemente piegati all’indietro slanciano la fiancata e, da alcune angolazioni, la fanno sembrare un po’ una coupé.
Continuo a girarci attorno. Il posteriore massiccio ci riporta alla realtà, definendo chiaramente la tipica volumetria da “segmento C”. Anche qua, però, grazie alla classica piega del montante posteriore, c’è una certa ricerca di originalità, di voglia di creare qualche dettaglio al quale gli occhi possono aggrapparsi senza scivolare via annoiati. La linea viene leggermente incattivita dallo spoiler e dal paraurti posteriore, sempre M. Ora, può piacere o non piacere, ma è riconoscibile, unica. Era, scusate, era riconoscibile e unica. Il dettaglio che preferisco, grazie di avermelo chiesto, sapete qual’è? Il doppio scarico: semplice e bello da vedere, nel solco delle BMW dei tempi che furono. Se volete percepire quanto la F20 sia una sorta di “guado” tra la vecchia e la nuova scuola vi basta dare uno sguardo all'abitacolo.
Questo, infatti, è ben distante da quelli tutti schermi, tasti e lucine che impazzano nella produzione più recente. I sedili, ad esempio, hanno la classica “forma BMW”, talmente classici da richiamare in alcuni dettagli e nella forma generale addirittura le M3 E36, roba di 30 anni fa. Belli. Se poi guardo davanti a me, ecco il volante a tre razze e la strumentazione su fondo nero, con le chiarissime cifre bianche dal Font BMW, tutto decisamente in linea con un certo DNA perduto. La seduta è distesa, ma vorrei che scendesse ancora un po’, mentre il volante ha la corona un po’ troppo cicciottella. Comunque si sta bene, senza percepire quell’ansia di adattamento che si prova in alcune auto moderne. In tutto questo stile vintage, il pomello del cambio ZF, dalla forma quadrangolare, sembra preso da una vettura diversa, nettamente più modaiola e moderna, esattamente come lo schermo con l’indicazione di potenza e coppia che troneggia sul cruscotto. Sono dettagli in contrasto stilistico e concettuale così netto da apparire aggiunte successive, così come le palette dello ZF che sbucano da dietro al volante, su questo esemplare “ingrandite” con degli estensori. Se l’idea alla base di questo test era trovare l’anello di congiunzione tra la produzione moderna e quella passata, beh, sono nel posto giusto. La F20 sembra davvero una sorta di sovrapposizione temporale tra momenti evolutivi diversi, quasi come vedere un ragazzino con l’IPhone e la coda. Non resta che provarla.
Su strada
Lo ammetto: scrivere gli articoli delle vetture moderne è molto più difficile, in particolare se hai giurato e spergiurato che non farai mai quegli articoli tristissimi che si riducono al mettere in prosa la scheda tecnica fornita dal Costruttore. Nelle auto storiche e nelle youngtimer si viene subito colpiti da qualche caratteristica: una vibrazione, il peso di un comando, la posizione di guida, gli odori, c’è sempre qualcosa che posso usare per immergermi nel ricordo e da usare come leva per iniziare il racconto dell’esperienza. Le auto moderne, invece, sono così educate, neutre e simili tra loro, da rendere difficile anche solo iniziare a scrivere. La Serie 1 scorre sulla strada con la gentilezza di un’auto da famiglia ben costruita. Ora, non è un test improntato sulle prestazioni, l’ho già detto e lo ripeto come un mantra.
Se c’è una cosa che le auto moderne fanno in abbondanza, però, è dare libero accesso alle prestazioni. Quindi, dopo qualche passaggio allegrotto, imposto la modalità di guida su “Sport +”, allentando i controlli elettronici, e poi il cambio in “M”, spostando il selettore verso di me. A questo punto Federico mi dice che se lasciassi il cambio in “D” avrei prestazioni migliori, perché il cervellone elettronico attiva la funzione kick-down in caso si schiacci con decisione sul pedale destro. Grugnisco e faccio finta di non sentirlo: passi il cambio automatico, ma quantomeno scegliere il rapporto in caso di guida “sportiva” mi sembra il minimo, se si vuole guidare sul serio. Per altro, anche solo pensare che l’elettronica è stata messa a punto per dare il proprio meglio solo tagliando completamente fuori il guidatore dalla cambiata mi mette leggermente di malumore. Conosco benissimo questo tracciato: un bell’antipasto di tornanti e curve secche, seguito da un piatto forte fatto di rettilinei e veloci curve inframezzate da chicane a vista. Insomma, un posto a cui sono molto legato e che conosco bene, anche troppo. La risposta del B48 è quella classica di tutti o quasi i 2.0 litri turbo moderni: spinge da subito e con decisione, ma non si percepisce nessuna curva di potenza o “crescita” nella resa meccanica, ma solo una costante spinta sulla schiena. Il suono, da fuori scoppiettante e pieno, da dentro si percepisce come una “U” ripetuta ad oltranza. Ho studiato la scheda tecnica e so che la potenza massima arriva attorno ai 5000 giri\minuto, ma raggiungo e sorpasso questo limite senza avvertire un cambio di spinta deciso. A circa 6000 giri\minuto il motore sembra aver dato il meglio, quindi inserisco il rapporto successivo.
Lo ZF mi asseconda senza troppa fretta, quantomeno nel salire di rapporto, mentre in scalata è un filo più celere. Due o tre lanci dopo mi ritrovo ad osservare il “potenziometro” e il “coppiometro”, rappresentati sullo schermo in cima alla consolle, per cercare di capire quando e dove il motore dà il proprio meglio. Non c’è verso: non sono abbastanza “sensibile” da capire quando questo avviene. Quindi, detto in soldoni, effettivamente l’uso del cambio in “manuale” ha poco senso, ai fini pratici, perché il motore ha un'erogazione così “piatta” che decade la ricerca, da parte del guidatore, del regime migliore. Ecco che la parte più “moderna” del progetto F20 mi colpisce in pieno viso: il motore è, nel bene e nel male (in particolare se ami gli aspirati…) il tipico prodotto funzionale, elastico e leggermente sintetico che possiamo trovare sotto il cofano delle vetture recenti. Mi rendo però tristemente conto che, spesso, le nuove generazioni (Federico è decisamente più giovane di me) non “sentono” questo appiattimento di contenuti, per cui cerco di prenderla così com’è. Anzi, guardate, arrivo persino a trovare una sorta di lato positivo: il cambio non impegna, il motore spinge sempre, tanto vale passare direttamente alla dinamica di guida, no? Attendo da lei, Sua Signoria La Trazione Posteriore, la rivelazione della giornata. Tifo per lei, se non si fosse capito, e al primo tornante vengo ripagato: inserimento, 3° (tanto la coppia c’è, di cosa mi preoccupo?) e affondo il gas. Il posteriore parte leggermente di lato, ma la 120i fa semplicemente troppa trazione per farsi scomporre sul serio, in particolare sull’asciutto e se, come in questo esemplare, per ragioni estetiche si è optato per i cerchi da 19 pollici. Sarò infantile, ma sono felice di aver provato, anche se leggera, la sensazione delle ruote dietro che “spingono” e che aiutano la vettura a curvare.
L’assetto, da dietro il volante, è quasi imperturbabile: morbido, sembra fluttuare sulla strada, nonostante l’asfalto non sia perfetto, e anche i comandi principali sono tarati più per filtrare che per comunicare con chi guida. Con un buon ritmo si affaccia velocemente un po’ di sottosterzo in entrata, quasi che la 120i sia troppo leggera davanti (e non è così), ma sfruttando la buona modulabilità dei freni miglioro l’inserimento portando la staccata fino dentro alla curva. E’ chiaro, la 120i non è tarata per una guida realmente arrembante. Diciamo che mi sta sopportando, più che supportando, ma lo sta facendo con la classica serietà teutonica. Freno forte, inserisco, leggero sottosterzo, tutto gas verso l’uscita, leggerissima rotazione del posteriore. In inserimento trovo che sia una frazione troppo lenta, anche considerando l’animo da GT, ma ho paura che i cerchi così grandi influiscano sulla capacità di cambiare direzione. Sto per arrivare nella sezione più entusiasmante del percorso, quella che mi permette di capire meglio le auto: chicane a vista con veloci punti di staccata, curve a 90° in appoggio e scollinamenti, bump interni e punti di frenata in pendenza, un vero parco giochi.
Lungo rettilineo, la 120i accumula velocità con la solita cocciutaggine, frenata brusca. Il frontale punta decisamente a terra, inserisco, ancora una volta leggero ritardo prima di “agganciare” il punto di corda, giù il gas, in 4°. A questa velocità la coppia non è sufficiente per fare sbandare il posteriore, ma comunque la sensazione che l’asse con la trazione “aiuti” la rotazione c’è ancora, ed è piacevole. Frenata e inserimento in una medio veloce destra, la Serie 1 si scompone e scivola un po’ sulle 4 ruote prima di trovare l’appoggio, poi di nuovo gas a fondo. La BMW continua a non sembrare fatta per questo tipo di guida, ma accetta la sfida con un certo distacco ma con compostezza invidiabile, tanto che intere sezioni le affrontiamo ad un ritmo brioso. Non è molto soddisfacente, perché la 120i ti fa capire di non essere felice di farlo, ma se non siete particolarmente sensibili potreste aver trovato una discreta stradista. Oltre un certo limite, però, la fisica inizia a bussare alla mia spalla: la massa non propriamente da ballerina della 120i si fa sentire, gli inserimenti diventano decisamente imprecisi e devo aspettare che il telaio si assesti prima di tornare sul gas. Emerge con forza la curiosa percezione che la BMW fletta un con la cassa anteriore, come se si deformasse sotto le forze in gioco, mentre il posteriore resta granitico. E’ ora di fermarci e tornare a far respirare il buon Federico.
Considerazioni finali
Di ritorno dal test, imbottigliato (tanto per cambiare) nel traffico della tangenziale, cerco di mettere in ordine i pensieri. Lo ammetto, non è stato il test più entusiasmante della mia vita, ma la BMW bianca mi ha regalato l'esperienza che mi aspettavo. E’ un mix tra nuovo e “antico”, tra appiattimento moderno ed estro passato, tra DNA storico e scelte (codarde? semplicistiche?) di marketing. Mi hanno regalato, se non propriamente qualche brivido, una bella soddisfazione: quella di godermi la libertà di guidare qualcosa di diverso, non migliore o peggiore, semplicemente diverso. Che è un gran lusso, intendiamoci. Ovviamente mi riferisco agli interni “analogici” e a quella trazione posteriore che, volenti o nolenti, regala una dinamica diversa e con più sfumature. Purtroppo le caratteristiche “moderne” della F20 sono il vero specchio dei tempi in cui viviamo: efficienza, sicurezza, ma scarso carisma. Detto questo, lo dico con ancora più convinzione dopo questo test, dovremmo essere tutti arrabbiati per la scelta di BMW di privarci di una Segmento C realmente diversa dalle altre.
La casa dell’Elica ci ha privato della possibilità di scegliere, rinunciando essa stessa ad essere qualcosa di diverso, puntando la mediocrità, la massa, a discapito del proprio retaggio storico. Già.
A vederla così, in effetti, è proprio BMW ad averci perso di più. Spiace.
Grazie Federico per averci concesso la tua amata auto!
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