Renault Fuego GTX 2,0 litres

- la riscossa di quelli strani -

“...Insomma, un periodo florido ma che, se parliamo di livello puramente tecnico, si può riassumere con una parola sola, magari scritta con un carattere il più futuristico possibile: “Turbo”. Tutto può essere “Turbo” negli anni ‘80: le F1, ovviamente, ma anche l’aspirapolvere, gli occhiali da sole, la fila alle Poste. La Renault, all’apice di questa ricerca di “unicità” tirò fuori, direttamente dai bozzetti di metà anni ‘70 di Michel Jardin, una vettura molto particolare: la Fuego. Persino il nome è di rottura, e non solo perché sembra il titolo di una canzone di Miguel Bosè, ma perché assieme alla mitica Espace fu l’unica eccezione al classico alfanumerico usato a Boulogne-Billancourt dagli anni ‘60…”

Diciamoci la verità, che tanto siamo tra amici: la Renault Fuego è distante anni luce dall’auto “da divertimento” che di solito trattiamo su queste pagine. Eppure, lasciando da parte la versione Turbo e il suo sottosterzo di potenza misurabile in metri, la versione dotata di motore aspirato 2,0 lt vinse ben sei titoli nazionali nella categoria TC2000 argentina. Non è che ci siamo concentrati, accecati dalla scritta Turbo sulle fiancate, sulla versione sbagliata?

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22 febbraio 2022| scritto e pensato dalla mente malata di M.Carito | Inquadrato, scattato, editato dalla mano mossa di Sebastian Iordache

Ahhhh, gli anni ‘80, quello splendido periodo in cui sembrava cool avere le spalline così alte da non sentire ciò che veniva detto nella stanza, si usava così tanta lacca per capelli da aprire piccoli buchi nell’ozono e tutto sembrava inesauribile, dalle materie prime alle payette… Anni particolari, no? Parlando di auto, perché qua (quasi sempre) si parla di questo, è stata un’epoca di grande libertà espressiva. Ogni Casa tentava di affermare la propria immagine, sia a livello di carrozzerie che di pura meccanica, così da dare vita alla propria visione dell’auto. Tutti diversi, tutti unici, o quasi. Ma non solo: si provava a creare lo stile vincente degli anni seguenti. Una libertà che sfocia anche nei contenuti stessi, tipo quali optional adottare, quali forme, colori, comandi. Insomma, un periodo florido che, se parliamo di livello puramente tecnico, si può riassumere con una parola sola, magari scritta con un carattere il più futuristico possibile: “Turbo”. Tutto è “Turbo” negli anni ‘80: le F1, ovviamente, ma anche l’aspirapolvere, gli occhiali da sole, la fila alle Poste. La Renault, all’apice di questa ricerca di “unicità” tirò fuori, direttamente dai bozzetti di metà anni ‘70 di Michel Jardin, una vettura molto particolare: la Fuego. Persino il nome di questa coupé è “di rottura”, e non solo perché sembra il titolo di una canzone di Miguel Bosè, ma perché con la mitica Espace è l’unica eccezione al classico nome alfanumerico usato a Boulogne-Billancourt dagli anni ‘60. Ovviamente, parlando degli anni ‘80, la versione più famosa è la Fuego Turbo presentata nel 1983, con la bellezza di 132 cv e con la tenuta di strada, a gas spalancato, di un carrello della spesa. La Fuego fu una meteora, perché nel Vecchio Continente non è stata particolarmente apprezzata e la produzione si arrestò senza troppo clamore nel 1985. Potrebbe essere l’articolo di Ruggine più breve della storia, non fosse che c’è un “ma” bello grosso. La Fuego, con alcune modifiche estetiche che resero il design sì più banale ma anche più digeribile alle masse, continuò ad essere costruita sino al 1995 in Argentina e divenne amatissima dai giovani. Non so bene il perché, ma immagino questi ragazzi argentini con un taglio di capelli “mullet” e il pacchetto di sigarette arrotolato nella manica della maglietta. Mah, stranezze mie. Torniamo alla Fuego, perchè non vi ho ancora detto la cosa più interessante, cioè che vinse ben 6 Campionati Nazionali TC2000 con il pilota idolo di casa, il Signor Juan Maria Traverso. Giuro, il suo cognome è Traverso. Un pilota con i "cojones" fino a terra: se non ci credete cercate subito il video su Youtube “La Hazana de Traverso” in cui vedrete il nostro eroe vincere una gara correndo per due giri con l’auto in fiamme e con l’abitacolo invaso dal fumo. Sì insomma, era uno che faceva Fuego e fiamme.

Juan Maria Traverso con la Fuego della domenica e quella per la settimana
Il Sig. Traverso taglia il traguardo con la Fuego in fiamme: un pilota che sa fare benissimo anche il pubblicitario

Ma scusate, non ho appena scritto che la Fuego Turbo era, sotto il profilo della guidabilità, terribile? Quindi, come ha fatto il Sig. Traverso a vincere, cognome pazzesco a parte? Semplice, la vettura usata per le competizioni è quella dotata del 2.0 cc aspirato da 110 cv, decisamente meno scorbutica e più bilanciata della versione sovralimentata. E fidatevi, il miglior bilanciamento della versione aspirata è una gran cosa, visto che il resto della meccanica della Fuego è presa dritta dritta dalla berlina R18, non propriamente una Caterham.

E guarda caso, quel Museo di Arte Moderna ambulante color arancio che ci attende sotto la pioggerellina è proprio una Renault Fuego 2.0 GLX. Toh, alle volte la vita…

Impressioni a ruote ferme

La verità è che la Fuego viene largamente considerata, ancora oggi, un’auto bruttina. Strana è strana, ma a vederla da vicino è strana in modo piacevole, interessante, come quei visi dalle proporzioni particolari che però incuriosiscono. Di sicuro non è un’auto per tutti e il proprietario, Alex, in effetti non è proprio un tipo da auto “per tutti”. Oltre a lavorare come designer per Alfa Romeo ha una discreta collezione di auto “particolari” che compra e poi restaura interamente con le proprie mani. Non paga qualcuno per farlo, lo fa proprio lui. Sa usare la matita e il martello, un raro mix di estetica e funzionalità. Se pensate che per fare tutte queste cose gli servano quattro mani, beh, avete ragione: infatti lo aiuta suo fratello gemello. Li immagino dirsi a vicenda: “se ci sono passate le mie dita, di sicuro passano anche le tue, non lamentarti!”. Alex è un appassionato a 360° e la GTX è “figlia” sua: oltre ad averla scelta con l’occhio del designer l’ha anche salvata dalla ruggine e da 30 anni di incurie. Per fortuna l’ha fatto, aggiungo io: per quanto fossi scettico, dal vivo non riesco a non passare le dita sulle varie linee di giunzione della carrozzeria, e farlo mentre uno come Alex ti spiega cosa e dove guardare è una fortuna incredibile. Tra le altre cose la sua GTX è un preserie, perchè questa versione è stata ufficialmente presentata nel 1981 ma la sua è immatricolata 1980. Partiamo dal tetto, che si collega ai montanti come se fosse in un pezzo unico, senza soluzione di continuità: Alex mi spiega che veniva saldato per brasatura, poi molato, lisciato e verniciato, mentre tutte le altre Case nascondevano la saldatura tra fiancata e tetto con una “orribile” (parole di Alex, chi sono io per contraddirlo?) copertura in gomma o plastica. Il portellone posteriore è composto dall’enorme lunotto, dal colore leggermente “seppia” e dalla cornice nera in un unico pezzo che si trasforma in spoiler. Costruirlo deve essere stato un vero incubo. Vi sento dire, nelle retrovie, “ma l’hanno copiato dalla 924!”. Ecco, in verità il caratteristico lunotto avvolgente era apparso già con la Citroen SM, datata 1970, figlia del Sig. Robert Opron: guarda caso lo stesso Opron a capo del progetto Fuego. Comunque sia, tutto questo è realizzato benissimo e si sposa con i fregi “a persiana” in plastica nera che girano attorno alle fiancate unendosi nello specchio di coda, fregi che “tagliano” visivamente in due la vettura in modo da abbassare la linea di cintura e rendere il tutto più filante. Se vi siete mai chiesti da dove l’Alfa Romeo prese questa soluzione per la 75, beh, ora avete la risposta. Da ogni parte si guardi la Fuego c’è qualcosa di unico: ad esempio la linea della portiera che crea un piccolo scalino all’altezza della giunzione con il montante B, i paraurti in plastica che inglobano i fendinebbia anteriori che sono montati a un dito dalla carrozzeria, così da potersi deformare senza rovinare la vernice e nascondere gli inevitabili difetti di stampo della plastica stessa, oppure gli specchietti retrovisori sagomati in modo da non sporcare la perfezione della linea di cintura, i cerchi in lega da 14 pollici diamantati…Alex, che come detto ha l’occhio più allenato di Van Damme ai tempi d’oro, quando mi vede osservare la Fuego di tre quarti anteriori anticipa ciò che sto per dire. “Davanti è decisamente più banale, in effetti. Il meglio lo regala nella side view e nella back view”.

Vero, davanti è un po’ anonima, anche se una volta accesi i fari gialli riescono a regalarmi un altro dettaglio gustoso. Il colore, poi, un arancio\rosso\salmone, è semplicemente unico. Tinta che per altro viene ripresa anche all'interno, altra luogo con un sacco di cose da vedere. I sedili, rivestiti in tessuto quadrettato, hanno la seduta imbottita come una poltrona e lo schienale sottile e scheletrico, iper minimalista, così come il poggiatesta integrato. La pedaliera, in metallo, riprende la forma del logo Renault e spicca sulla moquette, ovviamente arancione, che ricopre tutto il pianale. Tutta la consolle è composta da soli due pezzi di plastica, altro bell’incubo realizzativo, e racchiude una strumentazione decisamente completa, con addirittura l’indicazione del livello dell’olio. Che ne dite di una dotazione che comprende aria condizionata, doppio tergicristallo anteriore a pantografo, lavafari, volante regolabile in altezza, alzacristalli elettrici, chiusura centralizzata e persino il telecomando per l’apertura delle porte, prima vettura ad esserne dotata, anche se non in questo specifico esemplare? Di solito non mi impressiono per queste cose, ma la particolarità è vedere come questa dotazione venisse integrata quarant’anni fa, quando ancora non si sapeva bene dove mettere il tutto. Un esempio? I comandi del clima sono a sinistra del volante e sembrano venire da un’autoradio, con due pomellini circolari e poco altro. Il pomello del cambio è montato su una brillantissima e spessa asta metallica e il volante a quattro razze è un piccolo capolavoro di essenzialità. Va detto che se fuori decisamente non è per tutti, dentro è molto più digeribile, anzi, è un bel posto in cui stare. Non solo, ora che sto per partire mi accorgo che la posizione di guida è buona, comoda e al tempo stesso ergonomicamente corretta, cosa che per essere un’auto degli anni ‘80 è un mezzo miracolo.

Su strada

Come avrete notato non vi ho parlato molto della meccanica che muove la Fuego. L’ho fatto apposta, perché guardando le foto volevo vi faceste un’idea tutta vostra, sempre che non sappiate già di cosa si parla. Così, per capire se chi l’ha disegnata ha centrato il punto: Seba, il nostro fotografo, ad esempio ci è cascato. E’ stata disegnata per sembrare una trazione posteriore, e il fatto che venga accomunata ad una Porsche 924 qualcosa dovrà pur dire, ma la realtà è completamente diversa. Sotto il cofano anteriore il motore è montato longitudinalmente ed è tutto davanti ai duomi, quasi come i cinque cilindri Audi di una volta. Questo quattro cilindri trasmette il moto alle ruote anteriori, con buona pace della linea da coupé sportiva e delle somiglianze con Porsche. Detto della posizione quasi "a sbalzo" del motore, ecco, pensate di aggiungeteci anche un turbo vecchia maniera, di quelli che lanciano coppia motrice con la pala, magari a metà curva, e capirete il perchè la Fuego Turbo fu bollata dalla stampa dell’epoca come un’auto pericolosa e difettosa. Ma, per fortuna, qua abbiamo un aspiratissimo 2.0 lt otto valvole in lega di alluminio con camere di scoppio emisferiche, capace di 110 cv e che attesta la propria coppia al valore rispettabilissimo ma non preoccupante di 163 Nm a 3000 giri\minuto.

non vedo un turbo ragazzi, dovremmo sopravvivere al test…

Tutto questo design pesa solo 1080 kg, quindi quando inserisco la 1° e mi avvio giù per la strada le mie aspettative sono divise tra la cattiva fama della Turbo e l’immagine di Juan Maria Traverso che esce dall’auto in fiamme e saluta la folla. Facciamo che oggi le fiamme le lasciamo perdere però, non facciamo scherzi. Il fondo è bagnato e le gomme non sono eccezionali, eppure da subito la Fuego si dimostra a proprio agio perché, nonostante l’assetto sembri montato su trampoli, è abbastanza sicura di sé da non accendere particolari campanelli d’allarme nella mia testa. Stranamente, considerando il motore “appeso” là davanti, lo sterzo (servoassistito, ovviamente) è quasi troppo morbido e non restituisce molte informazioni. Quell’asta del cambio così lunga ha uno scopo, perché nonostante sbuchi dal pianale, quindi diversi centimetri più in basso, trovare il pomello e cambiare rapporto risulta intuitivo e persino piacevole, con innesti che considerando il tipo di auto sono persino buoni. Certo, bisogna fare i conti con la pedaliera, che obbliga il piede destro a fare una rotazione particolare per sollevarsi dall’acceleratore: alle volte, al salire di rapporto, produco un’impennata di giri degna di un anziano con la Panda verde acqua, ma piano piano ci prendo la mano. Quando inizio a borbottare che, tutto sommato, “pensavo peggio” (terminologia da tester di livello) Alex annuisce e conferma. Mi racconta di averci fatto una vacanza in giro per l’Europa e, parole sue, “l’ho guidata come un asino!”, divertendosi più di quanto si sarebbe mai aspettato. In effetti durante il viaggio l’ha anche rotta due volte, ma questo fa parte del fascino delle storiche, no? Comunque sia, già capisco perfettamente cosa intende. La verità è che ci si avvicina alla Fuego con aspettative di guida basse, bassissime, il che gioca inaspettatamente a favore dell’esperienza reale sulla GTX. Non mi aspettavo una qualità percepita così alta, quindi contro ogni pronostico sta crescendo in me una percezione positiva di questa esperienza. E’ come andare a mangiare nel “Peggior Bar di Caracas” (cit.) e trovarsi davanti un piatto che si presenta particolarmente ricercato e persino buono, piacevole, se capite cosa intendo. Non fenomenale, ma ragazzi, quasi quasi gli dò un’altra forchettata: sono così stupito che cerco di spingere un po’ di più.

Il motore dà il proprio meglio ai medi regimi, mentre agli alti inizia a suonare infastidito e la potenza si plafona, quindi non ha senso insistere. Vorrei darvi numeri più esatti di così ma purtroppo oggi il contagiri ha deciso di scioperare, succede anche alle auto storiche perfette come questa. I cinque rapporti sono spaziati in modo corretto, corti abbastanza da non far “sedere” mai la Fuego, nemmeno in salita, ma al tempo stesso lunghi a sufficienza da godersi la coppia ai medi. Le sospensioni hanno una corsa lunga, in pieno stile francese, ma viene naturale tenere il rollio sotto controllo cercando di arrotondare le traiettorie il più possibile. In un eccesso di entusiasmo raccordo una doppia sinistra con più aggressività, scoprendo così che c’è un momento in cui il rollio aumenta e le ruote interne arrivano all’orlo di una crisi di nervi, aggrappate fino all’ultimo tassello all’asfalto, nel tentativo di gestire la mia mancanza di rispetto. La Fuego in questo caso perde la propria compostezza, ma non la scorrevolezza: anche così le sospensioni fanno il proprio lavoro, compresse sui tamponi ma stabili, e si riesce a tenere una soddisfacente parvenza di traiettoria.

Per la verità a guidare così mi sento un po’ un cretino, perché il ritmo naturale di questa strana Renault è decisamente meno hardcore di così. Lo dimostrano anche i freni, a disco autoventilanti da 228 mm all’anteriore e a tamburo al posteriore, che si limitano a rallentare più che frenare sul serio. Quindi, caro Marco, levati la faccia da pazzo e torna a goderti quella che è più una GT che una GTI. Abbasso di due tacche le richieste e la Fuego torna piacevolmente coesa e coerente, direi fluida, ecco. Ho imparato che se all’anteriore si dà il tempo di pensare, con calma, si riesce persino ad uscire dalle curve con l’acceleratore a fondo corsa senza che le piccole /185 anteriori sbandino sulla superficie umida. Dubito che la TurboEssence (sono francesi, i nomi sono tutti un po’, come dire, raffinati) possa fare meglio e ancora di più che possa essere così piacevole su una strada difficile come questa, proprio perchè probabilmente rovinerebbe il bilanciamento che sta dimostrando la GTX. Forse Juan Maria non approverebbe il mio stile conservatore, ma il mio cognome è Carito, non Traverso, ed un motivo ci sarà.

Quando, a fine test, ci ritroviamo a cercare disperatamente un caffè caldo e ad osservare la Fuego brillare nel grigiore di questa mattinata, ho verso di lei un rispetto tutto nuovo. Sicuramente conta il racconto che Alex mi ha fatto di questa vettura, ma non solo, anche perchè non sono particolarmente impressionabile da fattori estetici. La verità è che c’è del buono anche da dietro il volante, basta prendere il suo ritmo e non guidarla…a fuego. Giuro che è l’ultima.

Considerazioni finali

La Fuego non è un’auto che si acquista per godersi la guida della vita, e su questo siamo d’accordo tutti. Infatti, Alex ha altre vetture dedicate al momento vena chiusa e la Renault arancione è stata comprata per altri motivi. Ammetto che prima del test avevo paura che fosse un po’ borderline con la filosofia del Magazine, fondato sulla ricerca di esperienze di guida memorabili e mezzi costruiti solo per divertire. Eppure, alla fine del tempo passato assieme, la Fuego mi sta simpatica. Da buona francese ha un po’ la puzza sotto il naso e va guidata con un certo riguardo, ma una volta capita risponde con una coerenza e una piacevolezza insospettabile. Scivola sulla strada ed è contenta di farlo, con persino del reale entusiasmo da parte del motore, quantomeno a regimi intermedi. Il gioco è tenere la Fuego all’interno dei propri limiti, stupendosi di come la vettura funzioni meglio delle proprie aspettative e di quanto tempo tu stia passando con l’acceleratore premuto a fondo.

Motivo per cui sento di poter dire che la Fuego GTX 2,0 Litres (francesi…) risponde, se non a tutte, ad alcune delle richieste di Ruggine Magazine. Veloce, eccitante, memorabile? No, non direi. E’ un’esperienza di guida, c’è una soddisfacente interazione uomo-macchina? Sì, c’è.

Lo sapevate che la freccia laterale a forma di losanga Renault c’è solo negli esemplari destinati al mercato italiano e che negli altri mercati il pannello è liscio? Oddio, ma perché adesso parlo di queste cose?

E’ stata una grande occasione: avere un’auto scelta da un designer spiegata da un designer. Persino per uno come me, tutto meccanica, punti di frenata e rapporto peso potenza, è stata un’esperienza eccezionale. Grazie Alex, per tutto.

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