mazda mx-3

- l'altra sorella strana della casa -

“...e le orecchie? Beh, loro sono impegnare a percepire il flautato e setoso suono del V6, che purtroppo bisbiglia, nonostante il terminale più aperto di questo esemplare. Alla prima occasione lo lancio oltre quota 7000 giri\minuto: la voce del motore è particolare, perchè il suono è quello di un V6, ma la piccola cilindrata dona al tutto una nota più acuta e indaffarata. E’ come se le note del motore fossero alzate di un tono. Devo dirlo: per quanto siano stati dei folli in casa Mazda, l’idea di una piccola coupé V6 è fantastica, perchè se mi è già chiaro che la Mx-3 è tutto tranne che una vettura da prendere per il collo nel misto stretto quel motore la rende unica, assolutamente originale a livello esperienziale, aggiungendo una opzione gustosa al panorama delle piccole “sportive…”

Mazda è sempre stato un costruttore “borderline”, dai progetti unici e dalle scelte tecniche originali e controverse. La Mazda Mx-3 può rientrare a pieno titolo in queste definizioni: avere sotto al cofano un V6 di soli 1850 cc può bastare?

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25 ottobre 2022| scritto e pensato dalla mente malata di M.Carito | editato e corretto dal pensiero distorto di Gabry | Inquadrato, scattato, editato dalla mano mossa di Sebastian Iordache

Ci sono poche cose che affilano le menti come il circumnavigare i regolamenti. Noi italiani in questo siamo dei maestri assoluti, ma non siamo qua a parlare di t-shirt con la cintura di sicurezza disegnata sopra. Il test di oggi assume contorni ancora più particolari perché stiamo per parlare di un’auto nata in uno dei paesi più ligi alle leggi e ai regolamenti: il Giappone. Tra i tanti costruttori di auto del Sol Levante ce n’è uno che ha fatto del pensiero laterale una sorta di bandiera da sventolare con orgoglio, ovvero Mazda.

Sono quelli della Mx-5, succeso planetario nato in un momento storico in cui le piccole cabrio non avevano mercato, o della cocciutaggine patologica verso il motore rotativo, portato alla vittoria a Le Mans nel 1991 con l'assordante 787B quando quasi nessuno ci credeva più (dagli anni ‘60…) e usato anche per le mitiche stradali Rx-7 e Rx-8 (qui trovi la nostra prova completa). Ma noi siamo qui per mettere le nostre manine curiose su un’altra follia targata Mazda: la Mx-3 V6, anch’essa nata nel 1991. Vi starete chiedendo: “ma che c’entrava quel discorso sull’aggiramento dei regolamenti”? C’entra, c’entra. Torniamo per un attimo ad inizio anni ‘90: in Giappone la tassa di possesso si calcola con un cervellotico rapporto tra dimensioni esterne dell’auto, cilindrata, numero di cilindri e potenza. In Mazda stanno pensando ad un coupé piccolo e filante, quattro posti, ma con un motore dall’architettura raffinata, che dia una esperienza di guida completamente diversa e più raffinata della concorrenza. Ma la vettura in questione sarà lunga solo 4208 mm e con una cilindrata elevata incapperebbe in tassazioni assurde. Ora, un qualunque altro costruttore avrebbe forse cambiato i piani, rinunciando a qualcosa in fase di industrializzazione, ma non loro. Loro si sono seduti e hanno disegnato, ad hoc, uno dei più piccoli V6 mai montati su una vettura di grande serie: 1845 cc e 24 valvole di setosità motoristica, espressi sotto forma di 133 cv a 6800 giri\minuto e 160 Nm di coppia spalmata ai medi regimi.

Per la verità, dalle nostre parti, la Mx-3 si poteva avere anche con un decisamente più normale 1,6 lt da 109 cv, versione che vendette decisamente di più. Ma a chi interessa la versione sensata? La V6 gode, come la versione meno ricercata, di uno schema sospensivo che non è niente male, con un MacPherson all’anteriore e un particolare sistema multilink, brevettato dalla Casa, al posteriore. Oggi quindi siamo qua a raccontarvi un nuovo capitolo di lucida pazzia dei ragazzi di Fuchu, prefettura di Hiroshima: ecco a voi la Mazda Mx-3 V6, una specie di inno alla libertà ingegneristica.

Impressioni a ruote ferme

Da buon malato di auto, ricordavo bene quest’auto: ne vedevo una azzurra vicino a dove abitavo da piccolo. Esteticamente è il classico prodotto giapponese di quegli anni: linee morbide, proporzioni classiche e qualche ingenuità qua e là che ai nostri occhi le fanno apparire sempre un po’... incompiute, non belle in senso assoluto. C’è però da dire che, vista con gli occhi del 2022, la Mx-3 è invecchiata bene: come spesso accade, le linee semplici di quegli anni contrastano in modo netto con quelle tutte spigoli, alettoni e scarichi finti in voga ai giorni d’oggi. Il rosso dell’esemplare di Federico la fa risaltare tra i colori un po’ spenti della campagna a metà ottobre, quasi fosse retroilluminata. Questo esemplare, con i suoi cerchi Ronal Turbo dal giusto ET, potrebbe essere usata sul vocabolario per illustrare la voce youngtimer: ha la propria ben determinata personalità e quel pizzico di nostalgia travestita da voglia di distinguersi dalle masse che non guasta.

Nella vista laterale è di una semplicità spiazzante, quasi fossero partiti da un bozzetto disegnato da un bambino a cui sia stato chiesto di tracciare il profilo di una coupé. Le proporzioni sono quasi perfettamente suddivise: ⅓ frontale, dolcemente spiovente verso i fari morbidi, in stile Mx-5 NB, sezione centrale dedicata all’abitacolo, sospeso tra i due assi e il cui tetto dalla vetratura importante accompagna all’ultimo 33,3% periodico, il posteriore alto e arrotondato che chiude in maniera quasi brusca. Le linee sono così cesellate che le aggiunte “sportiveggianti” della V6 sono quasi troppo impattanti: mi riferisco in particolare ai parasassi dietro alle ruote, mentre lo spoiler a tutta larghezza e lo splitter anteriore sono integrati molto meglio, al pari delle sottili minigonne. Il frontale, per me, è la parte “con l’ingenuità visiva” più grande, ovvero i sopracitati fari, a mandorla, ma sfuggenti e poco definiti. Al posteriore i fanali sono integrati meglio e sotto il grosso paraurti sporgente questo esemplare sfoggia un doppio terminale di scarico tondeggiante, in pieno stile anni ‘90. Ripeto: la Mx-3 è invecchiata bene, sembra un proiettile e sposa benissimo le linee vecchia scuola con un’aria molto naif, di cui sicuramente i ragazzi Mazda sono decisamente orgogliosi ancora oggi. L’assetto originale è alto, ma tant’è.

Apro il cofano motore ed eccoci: il V6 è compatto e, per ragioni di spazio, sensibilmente inclinato verso il frontale dell’auto, con la particolare aspirazione sul lato sinistro. Ah, non ve l’ho detto? L’aspirazione, denominata da Mazda “VRIS”, sfrutta la fisica per dare il meglio di sé. Il sistema è dotato di tre camere, sintonizzate su una specifica frequenza, e sfruttando il principio di risonanza di Helmholtz, la centralina sceglie, in base alla risonanza e ai giri motori in cui si trova il V6, la camera da cui pescare l’aria, così da avere sempre la massima coppia disponibile. Io ve l'avevo detto o no che in Mazda, all’epoca, erano belli fuori di testa?

L’interno è quanto di più “giappo anni ‘90” ci possa essere. Plastiche nere lucide in ogni dove e palpebra che racchiude una semplice e anonima strumentazione. Il pomello, la disposizione delle bocchette, sembra tutto disegnato per farsi notare il meno possibile. Il volante ha una forma strana, rachitica: sembra Christian Bale ne “L’Uomo Senza Sonno”. Ci pensano i sedili, dalla forma vagamente Subaru Impreza coeva (Impreza WRX GT-Turbo WWW, qua trovi la nostra prova completa), ad alzare il livello: seppur morbidi sono accoglienti e hanno un aspetto ricercato.

Su strada

Come sempre, nei primi metri su un’auto nuova si viene investiti da dettagli tattili, tipo il peso dei comandi, la posizione di guida e ciò che gli occhi e le orecchie possono prendere come riferimento su ciò che l’auto fa. La posizione che ne deriva è particolare: schiena e gambe comodo e, nonostante l’angolo corretto delle braccia, queste ultime puntano in basso. E’ una posizione strana, ancora di più perchè di quel lungo muso, dal posto di guida, non c’è traccia: scende così tanto da diventare completamente invisibile da dietro il volante. Il tuo cervello continua a dirti che sei appena salito su una piccola coupé, mentre i tuoi occhi ti parlano di, che sò, uno di quei monovolumi compatti di cui devi indovinare gli ingombri. Per capire dove sone le gomme anteriori devi affidarti al tuo sedere e alle vibrazioni trasmesse dal pianale, di lontana derivazione 323. E le orecchie? Beh, loro sono impegnare a percepire il flautato e setoso suono del V6, che purtroppo bisbiglia troppo a basso volume, nonostante il terminale più aperto di questo esemplare (sempre sia lodato).

Alla prima occasione lo lancio oltre quota 7000 giri\minuto: la voce del motore è particolare, perchè il suono è quello di un V6, ma la piccola cilindrata dona al tutto una nota più acuta e indaffarata. E’ come se le note del motore fossero alzate di un tono. Devo dirlo: per quanto sia chiaro che non sia stata una genialata sotto il profilo economico, sono felice che abbiano avuto il coraggio di realizzare una piccola coupé V6: è unica. Perchè, se mi è già chiaro che la Mx-3 è tutto tranne che una vettura da prendere per il collo nel misto stretto, quel motore la rende assolutamente originale, aggiungendo un'opzione unica al panorama delle piccole “sportive”. La spinta non è mai impressionante, 130cv fanno quello che possono e nonostante i i 1100 kg di questa vettura non riescono a regalare brividi veri, ma tra il suono, le vibrazioni e la risposta vellutata, la rincorsa alla linea rossa è comunque un esercizio piacevole. Ancora di più perchè la curva di potenza è quella tipica degli aspirati “decenti”, con un sensibile crescendo di rendimento fino a circa 7000 giri/minuto e anche oltre. Peccato che, nonostante la strada permetta medie elevate, i rapporti del cambio sono lunghi, lunghissimi, tanto che praticamente ovunque basta la 3°. Quando invece il tracciato si fa più tortuoso la si guida come uno scooter: 2°, sempre e comunque, quasi fosse un monomarcia.

Proprio in quest’ultima sezione del tracciato posso provare a maltrattare la signora dalla voce da usignolo. Freno forte prima di una stretta destra, inserisco. Lo sterzo è calmo ma non troppo lento e l’assetto reagisce con un forte rollio che si stabilizza qualche grado oltre ciò che può essere definito un assetto “sportivo”, ma una volta in appoggio la Mx-3 mantiene la traiettoria impostata. Faccio qualche altro tentativo, portando sempre più velocità in curva e diminuendo il tempo di transizione freno\inserimento\acceleratore, e il rollio cresce fino a quando l’anteriore inizia a fluttuare tra l’aderenza e la scivolata, obbligarmi a qualche “remata” di volante, ma nonostante questo la Mazda si rifiuta di cadere in grossi sottosterzi. Ecco, questo è il classico esempio in cui uno schema sospensivo di buon livello innalza tutta l’esperienza, perché se da un lato posso sentire chiaramente i limiti di setup, dall’altro il multilink posteriore continua ad aiutare l’avantreno ad assorbire le forze e a trasformarle in rotazione, incaricandosi di parte del lavoro. Ad un certo punto faccio l’asino, frenando in pieno appoggio con il sinistro, ma il posteriore guadagna solo ulteriore angolo di attacco, senza mai scivolare veramente, costringendo l’avantreno a chiudere ancora la traiettoria. Certo, ci si sente un po’ a disagio a guidare così la Mazda, è chiaro che non sia in una zona di comfort, ma gestisce lo stress con grande aplomb.

Sul veloce, e questo percorso ha alcune chicane memorabili che si possono affrontare davvero con il cuore in mano, la Mazda non cambia il proprio approccio: rollio marcato, avantreno in appoggio, retro sicuro e stabile. Aumentando il ritmo posso percepire la gomma lavorare tanto per aiutare l’assetto, comprimendosi e urlando infastidita, ma alzando ancora il ritmo si arriva velocemente al limite: l’anteriore si muove sugli appoggi, leggermente a disagio, mentre il posteriore segue come un compasso. E’ chiaro: la Mx-3 è una originale piccola GT e ha tutte le carte in regola per esserlo, non una feroce divoratrice di curve. Rallento un po’, chiedo meno all’inserimento e sfrutto la naturale calma di questo setup per disegnare le linee che voglio sul percorso. Il rollio è l’indicatore di impegno: se lo si mantiene entro un certo limite l’avantreno farà comunque il suo lavoro e conterrà la sensazione di stress sospensivo, restituendo una piacevole scorrevolezza. Il V6 ci accompagna con una sorta di spinta morbida e setosa. E’ come avere a disposizione un maggiordomo, di quelli con i guanti bianchi e la voce bassa e piacevole, che ti accompagna verso l’uscita delle curve con tatto e una certa classe di base. Mi rendo conto che ci sono aspetti di questa vettura che non riesco a valutare, perché lo stile di guida che impone è un po’ più rilassato del solito. I freni, ad esempio, non sono particolarmente potenti ma non saprei dire altro: aggiungere il beccheggio di una forte staccata al rollio in inserimento è da escludere categoricamente, quindi l’uso del pedale centrale è stato sempre tranquillo. Il cambio non è velocissimo né particolarmente corto negli innesti, ma a causa della rapportatura l’ho usato veramente poco e sempre in modo molto rilassato. Eppure, nonostante ami le auto più “da guerra”, percepisco l’unicità dell’esperienza in modo chiaro, netto.

Considerazioni finali

Tornando all’inizio dell’articolo, dobbiamo a Mazda alcune delle più “strane” vetture degli ultimi anni e di questo sarò sempre grato. La Mx-3 è meno famosa delle sorelle rotative, questo è chiaro. Eppure ha un suo modo di essere piacevole, più sottile e raffinato, probabilmente: certo, non è studiata per fare fuoco e fiamme sulle vostre strade preferite, ma nel 2022 è uno dei modi più originali ed economici di guidare qualcosa di unico. Non troppo veloce, forse, ma decisamente con stile.

Ma, per favore, per prima cosa montate uno scarico meno timido: qualcuno ha mai chiesto a Mina di cantare sottovoce?

Grazie mille Federico, non potevamo avere una Mx-3 migliore della tua. A presto!

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